Un appello all’inizio della scuola: occorre è più che mai un cambiamento di mentalità e di stili di vita, “essere per gli altri”.
Bello spettacolo quello di Madrid invasa da centinaia di migliaia di giovani venuti dai cinque continenti per assistere alla Giornata mondiale della gioventù, presieduta da Benedetto XVI, che per diversi giorni ha trasformato la capitale spagnola in un’affollata Torre di Babele. Tutte le razze, lingue, culture, tradizioni si sono mescolate in una gigantesca testa di ragazze e ragazzi adolescenti, studenti, giovani professionisti venuti da ogni angolo della terra per cantare, ballare, pregare e proclamare la loro adesione alla Chiesa cattolica. Tutto è trascorso in pace, in allegria, in un clima «simpatia generale». A scrivere queste parole su El País di domenica 28 agosto è Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura 2010. Lo scrittore peruviano (significativamente L’Osservatore Romano ha ripreso per intero l’articolo il martedì successivo), dichiaratamente agnostico, non si limita a constatare la bellezza di ciò che è successo a Madrid: ne indica un significato profondo, quello per cui «tutti, credenti e non credenti, dobbiamo rallegrarci di quanto è accaduto nella capitale spagnola». Lo esprime così: «Una società democratica non può combattere efficacemente i propri nemici -a iniziare dalla corruzione – se le sue istituzioni non sono saldamente sostenute da valori etici, se al suo interno non fiorisce una ricca vita spirituale come antidoto permanente contro le forze distruttrici, dissocianti e anarchiche che sono solite guidare la condotta individuale quando l’essere umano si sente libero da ogni responsabilità». E aggiunge che non la religione è superstizione, ma precisamente la presunzione ideologica di ritenerla tale, una superstizione moderna, «che la realtà ha pian piano fatto a pezzi».
È a partire da queste considerazioni del premio Nobel peruviano che vorrei proporre alcune riflessioni dedicate soprattutto ai ragazzi e ai giovani che iniziano in questi giorni il nuovo anno scolastico. Non è difficile ritenere che essi avvertano in maniera più o meno consapevole la grave situazione di difficoltà che sta attraversando il nostro Paese, insieme peraltro all’intero Occidente. La crisi annunciatasi tre anni fa ha mostrato progressivamente i suoi effetti drammatici sul mondo del lavoro e sulla vita quotidiana delle nostre famiglie: la menzogna che aveva indotto molti a ritenere equivalenti l’economia reale e quella virtuale dei giochi finanziari, ha prodotto conseguenze devastanti in Paesi, la cui stabilità era finora ritenuta immune da rischi, e si fa sentire da noi nel settore produttivo e dell’occupazione, nella fatica di molte famiglie a tirare avanti fino alla fine del mese, nei provvedimenti da “lacrime e sangue” di cui chi governa dovrà farsi carico, con la speranza che – fra tanti sconcertanti tentennamenti – sia salvaguardata al massimo l’equità e l’attenzione ai più deboli.
Certamente i nostri ragazzi avvertono sulla propria pelle il peso di queste difficoltà, anche quando esse non avessero toccato direttamente le loro famiglie, e questo perché a rischio è non solo il presente, ma anche l’immediato futuro di cui saranno i primi protagonisti. Il senso diffuso di scoraggiamento e di frustrazione, che colpisce specialmente chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, potrebbe diventare nei nostri ragazzi la tentazione pericolosa di cedere a illusioni violente o l’altra, non meno grave, espressa dalle parole fulminanti di Corrado Alvaro, di «pensare che vivere rettamente sia inutile».
Mi sembra perciò giusto chiederci quale contributo i nostri giovani possono dare al superamento della crisi in atto. In quanto essa nasce da processi economico-sociali, che hanno evidenti risvolti politici ritengo che il primo compito che spetti loro sia quello di impegnarsi al massimo nello studio per prepararsi a portare un contributo qualificato alla società di domani. Non esito a dire loro studiate, leggete, informatevi, pensate, fatevi un’idea di ciò che è avvenuto e sta avvenendo, individuatene le cause e cercate di vaccinarvi il più possibile nei confronti degli errori che sono alla base delle difficoltà attuali!
Nella sua radice più profonda, però, la crisi è di ordine morale: egoismi e cecità colpevoli hanno permesso che alcuni si avvantaggiassero a scapito di molti altri, i più deboli. L’Italia, nonostante la vivacità del suo tessuto imprenditoriale e manifatturiero e la qualità dei suoi lavoratori, non è stata meno colpita dalla tempesta etica ed economica che ha investito il “villaggio globale”. Il bisogno di motivazioni morali e di spiritualità, ritenuto decisivo da Vargas Llosa per il “bene essere” di ogni società democratica, si affaccia qui in tutta la sua gravità. Ciò che occorre è più che mai un cambiamento di mentalità e di stili di vita: alla logica egoistica dell’accaparramento bisogna opporre un’educazione alla solidarietà e allo spirito di servizio in vista del bene comune; al consumismo sfacciato e ai falsi modelli che puntano all’avere di più per essere di più, bisogna reagire con una scelta di sobrietà, allenandosi al sacrificio e alla condivisione con i più deboli. Questo non avverrà senza il concorso di tutti e specialmente senza il concorso dei giovani, nostro futuro.
È l’ora di un sussulto etico e spirituale che parta da uomini e donne dal cuore puro, sinceramente desiderosi di impegnarsi per il bene di tutti: e i giovani dovranno stare in prima linea in questa “rivoluzione morale”. E mia convinzione profonda che l’aiuto di Dio, cercato attraverso la preghiera e sperimentato nell’esercizio dell’amore al prossimo, sia forza decisiva di cui tutti abbiamo bisogno per vivere e sviluppare questo nuovo inizio. Ai giovani specialmente ripeterei, perciò, le parole dell’amatissimo Papa Giovanni Paolo II, dichiarato beato lo scorso 1° maggio: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!» (22 ottobre 1978).
A tutti, comunque, credenti e non credenti, è lanciata la sfida dell’urgenza indicata: è tempo di scelte radicali, di un vigoroso ritorno al primato del bene comune e alla concezione della vita vissuta come “essere per gli altri”, e quindi come dono e servizio! Solo preparando a queste scelte la scuola potrà contribuire a far crescere la qualità della vita di tutti. A docenti e studenti l’appello a non sottrarsi a questo compito decisivo.
*Arcivescovo di Chieti-Vasto
in “Il Sole 24 Ore” del 4 settembre 2011