Virginio Colmegna, Non per me solo. Vita di un uomo a servizio degli altri, Il Saggiatore, 2011, pp.208, Euro 10,46
Descrizione
L’ambrosiana via alla carità
di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 16 luglio 2011
Nel patrimonio spirituale di cui il nuovo arcivescovo di Milano assumerà nei prossimi mesi la custodia e la guida vi è un tesoro nascosto che raramente attira l’attenzione dei media ma che ben esprime il cuore della «diocesi più grande del mondo»: è la sollecitudine per i poveri, che la chiesa ambrosiana ha sempre considerato tra le eredità evangeliche più preziose lasciate da sant’Ambrogio.
Non che a Milano le ingiustizie sociali e la sproporzione tra i molti beni in mano a pochi e le difficoltà economiche di molti siano minori che altrove, ma sembra quasi che la chiesa abbia in sé degli anticorpi che le consentono di reagire con inventiva e alacrità in nome del Vangelo. Anche lì risuona quanto mai attuale il monito di Gesù: «I poveri li avrete sempre con voi», ma lungi dall’essere una maledizione, questo richiamo è «un’incredibile restituzione di senso alla vita: i poveri sono coloro che portano al cuore dei problemi, agli snodi dell’esistenza».
Chi parla così è un prete milanese che di poveri se ne intende: don Virginio Colmegna nel suo Non per me solo. Vita di un uomo al servizio degli altri (Il Saggiatore, pp. 210, 15) ripercorre «quel cammino di felicità che è la sua vita», dall’infanzia in una famiglia di condizioni modeste fino all’attuale incarico di presidente della «Casa della carità», luogo di accoglienza e sollecitudine nel cuore di Milano, voluta dal cardinal Martini come ultima iniziativa prima di lasciare il governo della diocesi.
Sono pagine autobiografiche in cui don Virginio parla certo di se stesso, ma l’unica cosa di cui appare protagonista è la gratitudine verso tutti quelli che l’hanno aiutato nel cammino di uomo, di prete e di testimone della carità. La sua attività più importante – prima della «Casa della carità» era stato direttore della Caritas ambrosiana, prima ancora parroco e presenza instancabile in un quartiere ricco di povertà di ogni genere sembra essere quella di riconoscere il bene ricevuto dagli altri, dai poveri e dagli emarginati in primo luogo, ma anche dai suoi vescovi che lo hanno capito e incoraggiato, dai preti più anziani che lo hanno consigliato e sostenuto, dall’umile e discreta presenza dei suoi genitori.
Nel corso della sua vita questa gratitudine don Colmegna non l’ha espressa innanzitutto a parole, ma con azioni molto concrete, a volte perfino «eccessive», e con un’attenzione particolare a quel gesto umano e cristiano per eccellenza che è l’accoglienza dell’altro, povero, malato, straniero: non a caso egli arriva a rileggere l’episodio dei tre uomini accolti da Abramo al querceto di Mamre come «Dio che si presenta a noi chiedendo ospitalità e quindi già schierato dalla parte di chi esprime un bisogno, e poi immerso nella misteriosa dinamica della relazione».
Sono pagine da cui emergono sì volti e nomi precisi della chiesa e della città di Milano, ma questi in realtà divengono volti e persone di respiro universale, perché là dove si raggiunge in verità il cuore di un solo essere umano, là si entra in contatto con l’umanità intera.
«Se il tesoro più prezioso è la disponibilità ad accogliere – osserva don Virginio – allora i poveri possono avere una ricchezza inestimabile!». Di questa ricchezza è testimonianza il semplice racconto della «vita di un uomo al servizio degli altri» .