Il Papa incontra i rom in Vaticano, alla vigilia della Pentecoste.
È un incontro storico. Mentre oggi cresce anche nell’opinione pubblica la marginalizzazione sociale di questo popolo, ancora non riconosciuto tra le minoranze linguistiche in diversi Paesi europei compreso il nostro, il Papa apre le braccia a una rappresentanza di almeno 1.400 persone rom, ma anche sinti, caminanti e di altre tradizioni, provenienti da dieci regioni e da una cinquantina di città italiane. I rom vengono da Roma e Milano, Cosenza, Torino, Firenze, Messina, Reggio Calabria, Pescara, Avezzano che sono alcune delle città da cui sono emerse – in questi ultimi mesi – storie di discriminazione, di sgomberi, di violenze e purtroppo anche di tragiche morti innocenti, ma anche storie belle di prossimità, di percorsi educativi e sociali straordinari, che vedono spesso protagoniste tra i rom altre famiglie italiane, parrocchie, insegnanti e associazioni. Il cosiddetto popolo ‘nomade’ – una galassia di popoli e un mondo di mondi diversi – in Italia è composto da circa 170mila persone, almeno la metà delle quali bambini e ragazzi. Spesso si sottovaluta il fatto che più o meno il 70% di loro è italiano, un buon gruppo è europeo (soprattutto originario della Romania) e solo una minoranza è di provenienza extracomunitaria. Meno del 20% vive nei campi, la stragrande maggioranza vive nei condomini, nelle case rurali, in paesi e in città. In prevalenza sono di fede cristiana (il 70%), soprattutto cattolici, presenti in 100 città italiane, seguito da oltre 180 operatori pastorali, molti dei quali provenienti dalle stesse famiglie rom e sinti. Ci sono anche comunità di evangelici e ortodossi.
Si tratta di un’esperienza cristiana che alcune volte sa anche interpretare in maniera originale la liturgia, la festa, la vita familiare, il ricordo dei defunti, la devozione mariana. Le migrazioni più recenti dalla Bosnia, Romania, Serbia, Macedonia e dai Paesi dell’est in genere, ha portato alla formazione di comunità musulmane. Non sempre si conosce e riconosce questo popolo complesso e la sua storia, la sua tradizione di fede aperta anche al dialogo ecumenico e interreligioso. È importante cogliere questa ricchezza di esperienza religiosa, perché alla marginalizzazione sociale dei rom non si accompagni anche un’impensabile marginalità sul piano ecclesiale. La figura del beato Zefirino, il rom spagnolo massacrato e ucciso durante la guerra civile solo perché osò difendere un prete e la propria fede semplice e popolare. Il suo rosario – a 150 anni dalla sua nascita e a 75 anni dal suo martirio – ci ricorda l’importanza e il valore di tutti nella Chiesa, anche le persone più semplici e ‘differenti’. A Pentecoste, con il dono dello Spirito, che aiuta a parlarsi, a conoscersi, a capirsi il Papa invita a riconoscere il popolo rom come Chiesa. Ci chiede di guardare a queste persone – uomini e donne – che oggi faticano più di altre a ‘entrare’ dentro la città, e ad accompagnare il loro cammino con la fantasia dell’amore, della carità. A Pentecoste, il Papa chiede a noi un ‘supplemento d’anima’, perché evitiamo l’omologazione che politica, cultura, mezzi di comunicazione talora rischiano di insinuare nella lettura di storie e mondi differenti e altri.
A Pentecoste, Benedetto XVI ha scelto di invitare a riconoscere l’altro come la persona da cui ripartire in questo cammino di nuova evangelizzazione, che fugge da ogni forma di chiusura, di distanza, di separazione, di esclusione. L’incontro del Papa con i rom ci ricorda che non si può pensare di costruire Chiesa e città senza di loro. Tutti siamo responsabili di tutti. Nessuno escluso.
* Direttore generale Migrantes.
in “Avvenire” dell’11 giugno 2011