intervista a Pablo Colino, a cura di Orazio La Rocca
Monsignor Pablo Colino dirige il Coro della Filarmonica Romana
«Drammatica, disperata, insignificante». Non usa mezzi termini il maestro don Pablo Colino, nel descrivere lo stato di salute della musica eseguita oggi nelle chiese. Anche se poi tiene a precisare che «c’è ancora la possibilità di capovolgere questa pericolosa tendenza al ribasso, potenziando lo studio della musica sacra e dei canti liturgici, a partire dal gregoriano». Monsignor Colino è universalmente noto come musicista e diretore d’orchestra. Dopo anni di servizio in Vaticano, ora dirige il Coro della Filarmonica Romana. Un’autorità, dunque, in materia di musica religiosa, da anni impegnato a «ripulirla» dalle scorie che, a suo parere, l’hanno compromessa. «È papa Benedetto XVI il primo a chiedercelo e a credere in questo impegno», dice. «Tante volte il pontefice mi ha incoraggiato ad andare avanti, perché la musica sacra è un patrimonio universale, radicato nella più genuina tradizione liturgica».
Maestro Colino, perché la musica sacra e liturgica è in crisi?
«Tutto è precipitato dopo il Concilio Vaticano II, con quella superficiale ondata di pseudorinnovamento che ha fatto tanti danni in quasi tutte le nostre chiese. Basta assistere a una qualsiasi celebrazione liturgica, per sentire orride schitarrate, pianole assordanti e cori superficiali. Il tutto diretto da maestri poco preparati. Anche se non mancano incoraggianti eccezioni che, se coltivate, potrebbero far ben sperare per il futuro».
Potrebbe fare qualche esempio?
«Recentemente, a Terni si è svolto un interessante convegno sulla musica sacra, e, per l’occasione, si sono esibite molte corali giovanili e tanti gruppi di artisti specializzati in musiche liturgiche. È stato bello e interessante sentirli. E anche incoraggiante».
Ma c’è una «ricetta» per rilanciare la musica sacra?
«Occorre tornare allo studio serio, rigoroso e appassionato nelle scholae cantorum, nei conservatori e, magari, nelle scuole. La musica sacra è patrimonio universale, una forma d’arte tra le più alte e immortali. E l’Italia ne è piena, avendo dato i natali ai più grandi autori di musiche liturgiche».
E quali dovrebbero essere i programmi in queste scuole?
«È di fondamentale importanza tornare a diffondere la conoscenza diretta del gregoriano e, parallelamente, affinare la preparazione di musicisti, direttori d’orchestra e di corali. Non si va da nessuna parte senza rigore didattico e senza la conoscenza del gregoriano, la madre della musica sacra, ma oserei dire di tutta la musica, anche di quella contemporanea».