un libro coraggioso di Bianca Stancanelli (Marsilio, 350 pagine, 19 euro): ventuno storie di vita rom, ognuna con la sua specificità, senza mai nascondere nulla.
Nel 1422 una nuova popolazione si affacciò in Italia, e non riscosse il plauso di un cronista bolognese, rimasto anonimo. «Era la più brutta genia che mai fosse in queste parti. Erano magri e negri e mangiavano come porci». È passato qualche anno da allora, loro sono rimasti dalle nostre parti. Ma l’opinione di molti sui rom non è molto differente da quella riportata qui sopra. Anche per questo — per il suo essere un piccolo antidoto alla nostra eterna paura dell’altro, perché affronta un tema scabroso e difficile — La vergogna e la fortuna (Marsilio, 350 pagine, 19 euro), di Bianca Stancanelli, è un libro coraggioso. Ventuno storie di vita rom, ognuna con la sua specificità, senza mai nascondere nulla, senza mai cadere nello stereotipo opposto, quello del popolo che a forza di essere vento assurge a una categoria poetica. Coraggioso non è sinonimo di militante. Stancanelli applica lo stesso metodo che ha usato per raccontare la vita di don Pino Puglisi in A testa alta: è la cara, vecchia cronaca, niente di più. Solo che questa volta il tema è dei più difficili per i nostri palati abituati al pregiudizio. E per vederne gli effetti, basta leggere la vicenda dei genitori dei 4 bimbi bruciati in una roulotte a Livorno nel 2007. Provate, se avete figli, a mettervi nei loro panni, come
talvolta capita in questi giorni con i padri storditi dall’afa che dimenticano i bimbi in macchina, ai quali offriamo una confusa solidarietà. E poi a proseguire, seguendo la violenza giudiziaria che hanno dovuto patire, colpevoli soprattutto di essere zingari. Questo libro non è un almanacco di tipi umani, perché ogni vicenda personale si fonde con informazioni decisive e sconosciute ai più. La vergogna e la fortuna, che tra gli altri pregi ha quello della bella scrittura, non fa sconti alla nostra memoria. Quanti si ricordano di Emilia Neamtu? Era la rom che tentò di fermare la mano di Nicolae Mailat, il delinquente che aggredì e straziò Giovanna Reggiani, al buio di un vialetto all’uscita di un fermata periferica della metropolitana di Roma. Mailat, romeno, divenne rom per ellissi e convenienza, Emilia cadde nell’oblio, non era funzionale alla narrazione richiesta allora. Alla fine restano soprattutto i volti delle persone, gli esempi di vita. Marta, che considerava Natale il tempo della vergogna, perché quello era il periodo in cui le toccava chiedere l’elemosina per strada. La giovane rom di Torino che miete premi con i suoi film e un giorno, forse, stringerà la mano a
Woody Allen. E anche l’autrice, che non fa sconti a neppure a se stessa e descrive la sue esitazioni nel premere il citofono di un palazzo elegante per incontrare l’ex operaio Graziano Halilovic: in fondo, si scopre a pensare, uno zingaro deve stare in una baracca, non in un quartiere borghese.
Appunti a futura memoria da un libro esemplare, magari da far leggere a chi ancora la pensa come l’anonimo bolognese e straparla di zingaropoli. I rom sono fragili e forti, umani e furbi, virtuosi e imperfetti. Come tutti, come noi.
Marco Imarisio
in “Corriere della Sera” del 30 maggio 2011