a colloquio con Arturo Paoli
Che cosa significa essere autentici?
L’autenticità è la prima qualità della persona. Autentici equivale a veri. Fin dall’infanzia la realtà ci inclina a degli adattamenti: la mamma è una donna debole e quindi quando voglio ottenere qualcosa da lei so come fare perché il no diventi sì; il papà è un uomo che si arrabbia ed è arrivato a picchiarmi. Così imparo a nascondergli quello che penso, dico e faccio. Crescendo mi rendo conto che questa è la legge del vivere sociale. Mi avvicino alla autenticità quando un grande ideale dirige le mie energie interiori e le concentra in un punto. Non conosco una definizione della persona
autentica migliore di quella data da Paolo nella lettera agli Efesini (4,15): fare la verità nell’amore.
Come ci si educa all’autenticità?
Ci si educa attraverso la fedeltà. Io credo che l’autenticità sia un valore religioso nel senso che la prima coerenza dobbiamo averla con Dio, che non si può ingannare. Questo non vuol dire non commettere peccati perché dobbiamo sempre riconoscere la nostra fragilità e la nostra debolezza, ma quando non vi è coerenza tra ciò che siamo e ciò che appare di noi è la prova che non amiamo seriamente le persone che ci circondano. È il fallimento della vita, E purtroppo capita spesso.
Ma esiste la possibilità di cambiare?
Penso che la Chiesa allontani le persone per la sua eccessiva intransigenza su certi principi che la persona non è in condizione di seguire. Non significa lasciar andare le cose, ma accettare la debolezza della persona umana, invece di respingerla attraverso l’affermazione intransigente dei principi cristiani. Il nostro fratello Giorgio Gonella, nel suo libro sul deserto, ha scritto un bellissimo capitolo sulla misericordia di Dio: Dio non dice va tutto bene, ma il suo atteggiamento è espresso perfettamente dall’episodio di Gesù in casa del fariseo quando entra la donna peccatrice. Il
fariseo si scandalizza, gli dice: se tu conoscessi questa donna, Gesù in effetti la conosce ma conosce anche il suo dolore, la sua sofferenza, il suo pianto che ha una forza di conversione e trasformazione della sua vita che lei stessa non si aspettava. Certamente ci sono ambienti in cui si è facilmente trascinati dal negativo, ma c’è sempre la possibilità del ritorno che cancella il passato, una possibilità di cambiamento.
A proposito di luoghi dove cercare la propria autenticità: tu sei stato diverse volte a Romena,
che impressione ne hai ricavato?
Una impressione ottima perché la forza di aggregazione che ha don Gigi è piuttosto singolare, ed essa si deve alla sua ampiezza di vedute, alla sua libertà di accoglienza per cui la persona sente di andare in un luogo che non lo costringe ad assumere forme inautentiche. Come lui ho sempre desiderato che la gente venga, veda, che non sia obbligata ad assumere atteggiamenti diversi da quelli della vita ordinaria. Tra le tante iniziative che propone ce n’è una molto bella, che ho conosciuto da poco, che è consolare le persone che hanno avuto lutti gravi, perdite laceranti, e che
ricevono realmente molto conforto.
Quale contributo può offrire una realtà come Romena alla chiesa e alla società?
La Chiesa può ricevere una grande ricchezza: la rinascita della fede da parte di molte persone che sono vissute per anni trascurando la fede e che si riavvicinano perché trovano un ambiente familiare, fatto di semplicità e autenticità a cui possono aderire con entusiasmo.
*Silvia Pettiti, giornalista, ha recentemente pubblicato una bella biografia di Arturo Paoli raccontando i suoi 98 anni di vita spesi per gli altri, specie per i poveri delle favelas del Sudamerica. Il libro si intitola “Ne valeva la pena”, Edizioni Paoline.
in “http://www.romena.it/” dell’aprile 2011