Teologi e filosofi contro l’evoluzione

 

 

Le critiche mostrano un concetto inadeguato di azione creatrice, non considerano il tempo come struttura necessaria delle creature e valutano il loro divenire come un dato secondario. Non tengono conto che il fascino della teoria evoluzionista non sta tanto nelle molte prove documentarie accumulate negli ultimi secoli, quanto nella spiegazione che offre di molti fenomeni altrimenti inspiegabili.


 

 

In questa rubrica ho illustrato più volte la prospettiva evolutiva nella convinzione che oggi essa sia necessaria per una corretta formulazione della dottrina cristiana. Siccome non mancano gli oppositori dell’evoluzionismo e alcuni di loro si richiamano alle dottrine di fede, credo sia utile esaminare le argomentazioni con le quali essi negano la solidità della teoria evolutiva e fondano la loro credenza in un Dio creatore che opera in modo perfetto e interviene nei momenti cruciali.
Il 26 febbraio 2009 si è svolto a Roma un convegno a porte chiuse «per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell’anno darwiniano». L’iniziativa era del Vice presidente del Consiglio Nazionale delle ricerche, lo storico Roberto De Mattei. Il volume che ne rende pubbliche le undici relazioni già nel titolo indica l’orientamento comune degli scienziati, scrittori e filosofi intervenuti: Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi (Cantagalli, Siena 2009).

Non esamino gli argomenti scientifici degli altri interventi. Mi limito alle prime due relazioni che presentano soprattutto riflessioni di tipo filosofico e teologico. De Mattei sostiene che il darwinismo non è «scienza» bensì una «cosmogonia capovolta». Mentre i miti di tutti i popoli considerano «perfetti» gli inizi del cosmo, della vita e della specie umana, gli evoluzionisti pongono «l’archetipo della perfezione non nel passato, ma nel futuro, non nelle sfere celesti, ma nel processo immanente della storia» (p. 30). La cosmogonia evoluzionista, quindi è una «narrazione fantasiosa di un passato, immaginato per sorreggere una radicale avversione ai principi metafisici di trascendenza e di causalità» (p. 30). Anche secondo gli evoluzionisti «nell’impresa scientifica l’onere della prova spetta allo sfidante» (Pievani T., Creazione senza Dio. n. 84). Ora. argomenta De Mattei «la ‘sfida’ di Darwin e dei suoi seguaci alla scienza tradizionale non è mai stata suffragata da prove» (p. 29). Per questo conclude: «il tramonto dell’ipotesi evoluzionista è un processo ormai irreversibile» (p. 30).
Se però si esamina come vengono affrontati i problemi che hanno stimolato la soluzione evoluzionista si resta delusi. De Mattei non dice nulla del disordine presente nei processi naturali, degli sprechi enormi che essi comportano, dei molti vicoli ciechi imboccati dalla vita nella sua diffusione sulla terra, dei suoi rami secchi e improduttivi, del male presente in tutte le fasi dei processi vitali, delle numerosissime catastrofi naturali che hanno fatto scomparire la stragrande maggioranza delle specie viventi, non dice nulla delle immani sofferenze e tragedie della storia. Non offre nessuna spiegazione di come tutto ciò possa attribuirsi a un Dio buono e provvidente. Propone una figura di Creatore senza alcuna spiegazione delle caratteristiche della sua azione. Non esamina nessuna riflessione dei teologi evoluzionisti su questi temi. Egli afferma solo che «le posizioni dei teoevoluzionisti sono confuse» (p. 24 n. 73). Scendendo ad alcuni nomi ricorda che: «antesignano degli evoluzionisti cattolici è il gesuita Vittorio Marcozzi (1908-2005)» e che «oggi si distinguono l’ex-sacerdote Francesco Ayala, il sacerdote paleoantropolgo mons. Fiorenzo Facchini e, in parte, il filosofo della scienza, Don Stanley L. Jaki (1924-2009)» (ib). Non menziona neppure Teilhard de Chardin (1882-1955), e il profondo influsso che egli ha esercitato anche nel mondo laico. De Mattei non sembra neppure ammettere la presenza di eventi «casuali», quelli cioè che non hanno alcuna finalità in ordine alla vita, ma che fanno parte dei processi e sono oltreché imprevedibili anche ineliminabili.
Per lui: «il ‘caso’ diviene la ‘spiegazione’ dell’inspiegabile, ossia dell’assurdo… La scienza diviene storia dove `tutto è permesso’ e dove «non vi sono più leggi divine che assegnino limiti all’esperimento» (Jacob F., La logica dei viventi, Einaudi, Torino 1971, p. 215)» (o. c. p. 27). De Mattei non sembra dare alcun rilievo al principio di indeterminazione dei processi fisici elementari e soprattutto non richiama il valore della libertà che Dio è in grado di suscitare nelle creature.
Molto più coerentemente il filosofo Robert Spaeman ha osservato nel Convegno Cei del dicembre 2009: «Dio agisce tanto attraverso il caso quanto attraverso leggi naturali» (La ragionevolezza della fede in Dio, in Dio oggi, Cantagalli, Siena 2010, p.75). Questa è una caratteristica del creatore: offre contemporaneamente diverse possibilità tra le quali scegliere.
Nello stesso volume Joseph Seitert, Direttore della Accademia internazionale di Filosofia del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia della Vita, propone una riflessione filosofica con alcuni cenni teologici: Riflessioni critiche sull’evoluzionismo come teoria scientifica o pseudscientifica e come ideologia atea (pp. 31-64). Egli presenta tre forme di l’evoluzionismo: atea, teista e limitata.
1.Circa la prima inanella una serie impressionante di affermazioni critiche: «non è una teoria scientifica, ma un’ideologia pseudo-metafisica» (p. 34). «Essendo falsa, non può passare il ‘test di realtà’, nel senso che non soddisfa i criteri propri per la conoscenza oggettiva e inoltre i test empirici contraddicono le sue false affermazioni scientifiche e filosofiche» (p. 35). «Tale evoluzionismo ideologico, materialista ed ateo non è solamente una tesi impossibile, ma realmente stupida, per non dire idiota» (p. 39). «Non esiste assolutamente alcuna prova né alcuna plausibilità che tutte le specie di animali, dalle amebe agli elefanti, si siano sviluppate l’una dall’altra tramite una qualche evoluzione» (p. 39). «Una delle obiezioni filosoficamente più importanti della teoria dell’evoluzione… consiste nella intuizione dell’assoluta irriducibilità della vita alla materia inerte» (p. 50); «l’essenza della vita è irriducibile a sistemi fisici di qualunque tipo» (p. 53). Il passaggio dagli animali all’uomo «per lo meno per quanto riguarda l’anima umana… è realmente impossibile metafisicamente» (ib. p. 38).
«Una promessa o qualsiasi atto libero è necessariamente impossibile, se non assurdo, se tale atto è identico a, o determinato da, un processo materiale o organico, o se è un semplice prodotto causale dello sviluppo evoluzionistico» (p. 56). E «la conoscenza contraddice la possibilità di essere un epifenomeno del cervello o delle sue funzioni» (p. 57).
2.Anche «l’evoluzionismo teista, o ‘deista’ (o cripto-atea essendo panteista)… è insostenibile in virtù del fatto che dimentica le differenze insuperabili tra le sfere e gli ordini di esseri che non potranno mai evolvere l’uno dall’altro: il vivente dal morto, il personale dall’impersonale, lo spirito dalla materia» (p. 40 si riferisce esplicitamente al paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin).
Seifert non sembra tenere conto della notevole differenza tra evoluzionismo ateo e teista. Chi crede in Dio ritiene che la perfezione iniziale contiene già tutte le qualità che nel tempo fioriranno nelle creature. Le sue difficoltà non considerano che nella prospettiva teista tutto il processo è alimentato e sostenuto da Dio, perfezione compiuta, per cui non è lo spirito a derivare dalla materia, ma viceversa questa deriva dallo Spirito. Quando le strutture materiali lo consentono il pensiero, la consapevolezza, la libertà possono emergere ed esprimersi perché già presenti alla radice di tutto.
Siefert si chiede: «Per quale motivo mai avrebbe Egli [Dio] usato leggi tanto primitive come `la sopravvivenza del più forte», la `selezione naturale’, ‘l’adattamento’, che in realtà sono del tutto prive di significato, e perché egli avrebbe impiegato un tempo senza fine per permettere a tali assurde cause di produrre il mondo, osservando e aspettando innumerevoli incidenti di percorso in tale processo?» (p. 42). Questo modo di argomentare suppone che le creature (cioè il vuoto o caos iniziale) siano in grado di accogliere la perfezione divina in modo istantaneo. Non tiene conto che l’azione creatrice alimenta il processo del divenire perché le creature non vengono prodotte o fatte, come l’artigiano
modella una statua da materia preesistente, bensì create: esse diventano nel tempo.
3.Della forma limitata di evoluzionismo egli ammette qualche possibilità, ma sempre condizionata dagli interventi puntuali di Dio. «È piuttosto probabile che abbia avuto luogo un qualche processo evolutivo limitato e sviluppo trans-specifico, ad es. dai lupi a certi tipi di cani, ed è certo che le pratiche di allevamento possono condurre a nuove razze canine, le cui caratteristiche sono trasferite alle generazioni successive» (p. 39; cfr p. 41).
In conclusione le critiche mostrano un concetto inadeguato di azione creatrice, non considerano il tempo come struttura necessaria delle creature e valutano il loro divenire come un dato secondario. Non tengono conto che il fascino della teoria evoluzionista non sta tanto nelle molte prove documentarie accumulate negli ultimi secoli, quanto nella spiegazione che offre di molti fenomeni altrimenti inspiegabili. In particolare dà ragione della casualità, del lungo tempo necessario ai processi cosmici e vitali, della distruzione della maggioranza delle specie un tempo viventi, della imperfezione cronica e del male smisurato che accompagna il divenire del creato e la storia umana.

 

in “Rocca” n. 7 del 1 aprile 2011

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