VIII Domenica del Tempo Ordinario Anno A

 Preghiere e racconti   La ricchezza La ricchezza diventa un idolo che si oppone al Dio vivente e la scelta del discepolo dev’essere netta: «Non potete servire a Dio e a mammona».
Eppure questo non significa un masochismo pauperista.
Gesù si preoccupa dei miseri e invita a sostenerli coi propri mezzi come fa il Buon Samaritano nella celebre parabola.
La ricchezza può diventare una via di salvezza se è investita per i poveri: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33).
(Gianfranco Ravasi, La “ricchezza” in «Famiglia cristiana» (2006) 40,131).
Quello che non abbiamo cercato “Michail […] non si vantò mai delle grandi ricchezze che aveva accumulato.
Diceva che nessuno merita di possedere un centesimo in più di quanto è disposto a cedere a chi ne ha più bisogno di lui.
La notte in cui conobbi Michail mi disse che, per qualche motivo, la vita è solita offrirci quello che non abbiamo cercato.
A lui aveva concesso ricchezza, fama e potere, mentre desiderava soltanto la pace dello spirito e di poter tacitare le ombre che gli tormentavano il cuore…”.
(Carlo Ruiz ZAFÓN, Marina, Mondadori, 2009, 248-249).
Che cosa è tuo? «A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?», dice l’avaro.
Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a sé e soltanto suo quello che è offerto a tutti.
Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi.
Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sareb-be bisognoso.
Non sei uscito ignudo dal seno di tua madre? E non farai ritorno nudo alla terra? Da dove ti vengono questi beni? Se dici «dal caso», sei privo di fede in Dio, non riconosci il Creatore e non hai riconoscenza per colui che te li ha donati; se invece riconosci che i tuoi beni ti vengono da Dio, spiegaci per quale motivo li hai ricevuti.
Forse l’ingiusto è Dio che ha distribuito in maniera disuguale i beni della vita? Per quale motivo tu sei ricco e l’altro invece è povero? Non è forse perché tu possa ricevere la ricompensa della tua bontà e della tua onesta amministrazione dei beni e lui invece sia onorato con i grandi premi meritati dalla sua pazienza? Ma tu, che tutto avvolgi nell’insaziabile seno della cupidigia, sottraendolo a tanti, credi di non commettere ingiustizie contro nessuno? Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente.
Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno.
E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito.
Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra.
Così commetti ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare.
(BASILIO DI CESAREA, Omelia 6,7, PG 31,276B-277A).
L’imperativo biblico: amare le persone e usare le cose L’imperativo biblico è piuttosto chiaro: dobbiamo amare le persone e usare le cose.
Gesù ci avverte che, ovunque sia il nostro tesoro, lì ci sarà anche il nostro cuore.
Sento il Signore dirci: “Risparmiate il vostro cuore per l’amore, e date il vostro amore solo alle persone: a voi stessi, al vostro prossimo e al vostro Dio.
Non date mai il vostro cuore alle cose: se lo farete, quella cosa, qualunque essa sia, diventerà gradualmente la vostra padrona, vi conquisterà e vi terrà stretti al guinzaglio della dipendenza.
Le preoccupazioni che ne deriveranno, vi renderanno inquieti e vi terranno svegli la notte.
Quel che è peggio, se date il vostro cuore a una cosa, ben presto inizierete a invertire in modo radicale le vostre priorità.
Quando si incomincia ad amare le cose, si iniziano ad usare le persone per ottenere queste cose, per avere sempre più cose.
È dunque opportuno osservare che la Bibbia non dice che il denaro è la causa di ogni male, bensì che l’amore per il denaro è la causa di ogni male.
Avere dei soldi non è un male, ma vendere il proprio cuore al denaro è una tragedia, perché, ovunque sia il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore.
Se date il vostro cuore alle cose di questo mondo, presto inizierete a competere con gli altri per ottenere tutto il possibile.
Incomincerete ad accendere la candela ad entrambe le estremità pur di avere sempre di più.
Questa è la strada giusta se volete farvi venire la pressione alta e l’ulcera, se volete diventare ansiosi e depressi.
Se scegliete di percorrere questa strada, finirete per essere tentati di ingannare, raggirare e scendere a compromessi con la vostra integrità, pur di fare del “denaro facile” o di concludere un “grande affare”».[…] La conclusione è la seguente: non posso pronunciare il mio «sì» d’amore in risposta all’invito di Dio senza pronunciare un «sì» d’amore agli altri; mi è impossibile amare Dio senza amare gli altri, così come agli altri è impossibile amare Dio senza amare me.
(J.
POWELL, Perché ho paura di essere pienamente me stesso, Milano, Gribaudi, 2002, 89-90).
Quali sono i criteri per un giusto rapporto con il denaro? Il denaro serve in primo luogo a sostenere le spese necessarie per mantenersi.
Infatti, serve ad assicurarsi il sostentamento anche per il futuro.
È quindi sensato mettere da parte dei soldi e investirli bene, in modo da poter vivere nella vecchiaia senza paura della povertà e della miseria.
Ma nei confronti del denaro dobbiamo sempre essere consapevoli che è a servizio degli uomini e non viceversa.
Il denaro può dispiegare anche una dinamica propria.
Ci sono persone che non ne hanno mai abbastanza.
Vogliono averne sempre di più.
Ed eccedono nel preoccuparsi per la vecchiaia.
In ultima analisi diventano dipendenti dal denaro.
Nel rapporto con il denaro dobbiamo rimanere liberi interiormente e non lasciarci definire sulla base del denaro e nemmeno lasciarci dominare da esso.
Se giustamente si dice che il denaro è al servizio dell’uomo, allora non dovrebbe essere solo al mio servizio, ma anche a quello degli altri.
Con il mio denaro ho sempre una responsabilità nei confronti degli altri.
Le donazioni a favore di una causa buona sono solo una possibilità di concretizzare questa responsabilità.
Da dirigente d’azienda posso creare posti di lavoro sicuri mediante investimenti e, in questo modo, essere al servizio degli altri.
O sostengo progetti che aiutano a vivere in modo più umano.
Importante è l’aspetto del servizio agli altri e della solidarietà: soprattutto l’evangelista Luca ci ammonisce a tenere un atteggiamento di condivisione reciproca.
Ci sono risposte diverse relative al modo di investire bene denaro per il futuro.
Non da ultimo la decisione dipende dalla psiche del singolo.
Uno accetta più rischi, l’altro meno, perché preferisce dormire sonni tranquilli.
Ma anche qui si tratta di utilizzare i soldi in modo intelligente.
Tuttavia, è necessaria sempre la giusta misura, che argina la nostra avidità.
E sono  necessari criteri etici.
Non dovremmo depositare i soldi solo dove ottengono gli utili maggiori, ma piuttosto dove vengono tenuti in considerazione criteri etici.
Oramai molte banche offrono fondi etici, che investono solo in aziende che corrispondono alle norme della sostenibilità, del rispetto delle dignità umana e dell’ecologia.
Decisivo per il rapporto, con il denaro: non dobbiamo soccombere all’avidità.
È necessaria soprattutto la libertà interiore.
(Anselm GRÜN, Il libro delle risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2008, 157-158).
Dire Dio Dio! dice la porta schiudendosi sulla strada piena di passanti.
Dio! dice l’ape posandosi sulla ciotola cerchiata di luce.
Dio! dice il vento che rigira senza fine la sua fronda familiare.
Dio! dice il tordo chinandosi per bere il cielo nello stagno.
Dio! dice la neve ricoprendo di lana le fredde carreggiate.
Dio! dice il bambino vedendosi giocare nelle braccia di sua madre.
E solo, quaggiù, l’uomo attende per dire Dio a modo suo.
(M.
Carême, Il sapore del pane)       * Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Lezionario domenicale e festivo.
Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
– Temi di predicazione.
Omelie.
Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004.  – Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 91 (2010) 10,  71 pp.
– E.
Bianchi et al., Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
– Fernando ARMELLI, Ascoltarti è una festa.
Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
      VIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO   Lectio – Anno A   Prima lettura: Isaia 49,14-15          Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
       v In Israele, prima di ripudiare la moglie, il marito doveva riflettere a lungo perché si trattava di una scelta irreversibile, non erano ammessi ripensamenti, non gli era più permesso di riprendersela.
     In esilio, a Babilonia, Israele si sente una sposa ripudiata.
Sa di essere stata infedele, di aver tradito il suo Dio, ha abbandonato ogni speranza di ricostruire il rapporto d’amore infranto e, mestamente, va ripetendo: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato» (v.
14).
È il lamento con cui inizia la lettura di oggi ed è l’espressione della dolorosa esperienza di chiunque, caduto nell’abisso del peccato, si rende conto di aver fatto scelte di morte ed è convinto che anche il Signore lo rifiuti.
     Questi pensieri sorgono quando vengono proiettati in Dio i nostri criteri di giudizio e le nostre meschinità.
Compare allora il Dio suscettibile, permaloso e persino vendicativo.
Questa deformazione del suo volto è la più subdola delle astuzie diaboliche e il Signore si premura di cancellarla.
Per bocca del profeta dichiara: «Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Io ti riprenderò con immenso amore» (Is 54,6-7).
     Il suo amore non è una risposta ai meriti o alle dimostrazioni di affetto dell’uomo, è una passione incontenibile che prescinde dalle nostre opere buone, è come l’amore di una madre – ecco la nuova, commovente metafora introdotta dalla lettura di oggi (v.
16) — un amore incondizionato e invincibile.
Una madre ama il figlio non perché è riamata, ma perché è suo figlio e lo amerà sempre, qualunque cosa egli faccia.
     Quest’immagine ha già in sé una forte risonanza emotiva, tuttavia, per comprenderne tutta la ricchezza, vale la pena ricordare alcune celebri figure di madri bibliche: il sublime eroismo di Rispa che «dal principio della mietitura dell’orzo, fino a quando dal cielo non cadde su di loro la pioggia», vegliò i cadaveri dei figli consegnati alla morte da Davide (2Sam 21); il coraggio della madre di Mosè che sfida l’ordine del faraone pur di salvare il figlio (Es 2,2-9); il tormento della meretrice che accetta di essere privata del figlio purché non venga ucciso (1Re 3,16-17); la forza d’animo della madre che incoraggia i figli ad affrontare la morte per non rinnegare la fede (2Mac 7).
     Tutta questa carica di emozioni e di sentimenti è presente nell’immagine dell’amore di una madre e aiuta a comprendere con quale passione Dio ama e si interessa dell’uomo.
  Seconda lettura: 1Corinzi 4,1-5          Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.
Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.
A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato.
Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà.
Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
          v La parola del vangelo è il più grande dono che si possa ricevere, per questo è facile non solo provare profonda simpatia e riconoscenza per chi lo ha offerto, ma anche legarsi fin troppo al messaggero.
Accade oggi ed è accaduto anche nella comunità di Corinto dove, a causa dell’attaccamento all’uno o all’altro degli apostoli, erano sorti dei partiti: alcuni si gloriavano di appartenere a Pietro, altri ad Apollo, altri ancora a Paolo (1Cor 1,12).
     Il brano di oggi conclude la lunga trattazione di questo argomento, iniziata con il severo monito: «Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?» (1Cor 1,13).
     Paolo impiega il plurale – «Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (v.
1) – perché non parla solo di sé, si riferisce a tutti gli annunciatori del vangelo.
Con due termini espressivi ne definisce il ruolo: sono servi (hypêrétai in greco) cioè inservienti che liberamente hanno accettato di svolgere un incarico; sono dei subordinati, dei dipendenti a servizio di un signore, Cristo; sono degli amministratori (oikónomoi in greco, economi) non dei padroni, hanno in mano beni che appartengono a Dio, a loro sono stati solo affidati affinché li facciano fruttare.
     Agli amministratori si richiede solo la fedeltà (v.
2).
Chi annuncia il vangelo – intende dire Paolo – deve avere un’unica preoccupazione: trasmettere il messaggio del Maestro, senza nulla aggiungere e nulla togliere.
Il padrone non gli chiederà se è riuscito a convincere molte persone, se si è accattivato la simpatia degli uomini, se ha ricevuto applausi e approvazioni; domanderà soltanto se ha annunciato il vangelo secondo verità, senza cedere agli opportunismi, senza scendere a compromessi, senza rispetti umani.
     Nella seconda parte del brano (vv.
3-5) Paolo risponde alle critiche che i corinzi gli muovono.
Assicura che non è per niente preoccupato dei giudizi pronunciati su di lui, siano essi di approvazione o di condanna.
Non è ai corinzi che deve rendere conto del proprio operato, ma a Dio.
Non si fida nemmeno del giudizio della sua coscienza, anche se, onestamente, riconosce che non gli rimprovera nulla (v.
4).
Tiene presente questo giudizio, ma non lo considera definitivo, attende quello del Signore che verrà pronunciato al termine della dura «giornata di lavoro».       Le parole dell’Apostolo non sono un invito a ignorare il giudizio che una comunità pronuncia su chi svolge un ministero.
La comunità ha il diritto e il dovere di esprimere il proprio parere sull’operato dei ministri e amministratori e questi non possono arrogarsi il diritto di agire in modo arbitrario e di «comportarsi da padroni» (1Pt 5,3).
Ma non va dimenticato che, solo alla fine, «ciascuno riceverà da Dio la lode».
  Vangelo: Matteo 6,24-34          In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro.
Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”.
Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani.
Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso.
A ciascun giorno basta la sua pena».
     Esegesi        Il bambino che perde i genitori non può stare solo, ha bisogno di avere qualcuno in cui riporre la sua fiducia, qualcuno che gli dia sicurezza.
Egli cerca spontaneamente un modello, un punto di riferimento nella vita.
     Capita anche con Dio: non se ne può fare a meno, non si può rimanerne orfani; chi lo rifiuta, lo rimpiazza subito con un sostituto.
Il pericolo non è l’ateismo, ma la scelta del dio sbagliato.
     Molti credono che, nell’alto dei cieli, ci sia un Padre che si prende cura di loro; costoro sono convinti che egli prova per loro anche sentimenti materni: si interessa, con affetto e sollecitudine, dei loro bisogni.
Se egli è padre di tutti, gli uomini non sono dei compagni di viaggio, dei vicini più o meno simpatici, più o meno meritevoli di attenzioni; non sono degli antagonisti con i quali competere o, peggio ancora, dei nemici da combattere, ma dei fratelli da amare e aiutare.
     Non tutti accettano questo Padre.
A chi lo rifiuta si presenta subito, con tutto il suo incantevole fascino, il più seducente, il più subdolo degli idoli, il denaro.
Il vangelo di oggi inizia con una denuncia della pericolosità di quest’idolo (v.24).
     Matteo ci ha conservato il termine aramaico – mamônâ – usato da Gesù.
È significativo: deriva dalla radice ‘aman che vuol dire offrire sicurezza, essere solido, affidabile.
Il denaro, come Dio, garantisce ogni bene a chi gli presta culto: dona cibo, bevande, salute, piaceri, divertimenti; ma cosa chiede in cambio? Come ogni dio, esige tutto.
     Dio è il punto di riferimento dei pensieri, delle azioni, della vita dell’uomo e vuole essere amato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5).
Anche il denaro pretende il coinvolgimento totale dei suoi devoti.
Per amor suo bisogna essere disposti a rinunciare alla propria dignità, a ingannare, a rubare, a rovinare gli altri, a perdere le amicizie, a trascurare persino moglie e figli (per loro non ci sarà più tempo!), bisogna essere pronti anche a uccidere.
Coloro che adorano il denaro hanno tutto, ma non sono più uomini, divengono schiavi.
«L’attaccamento al denaro – scrive l’autore della lettera a Timoteo – è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono, da se stessi, tormentati con molti dolori» (1Tm 6,10) ed è un’idolatria (Ef 5,5).
     La prima follia in cui trascina l’adorazione di mamônâ e l’accumulo.
Chi accumula si illude di aver trovato un obiettivo concreto e gratificante che dia un senso alla vita, ma ha solo scoperto un vano ripiego per esorcizzare il pensiero della morte.
«Lasciare in eredità» è un palliativo.
     Il Padre che sta nei cieli si colloca agli antipodi: invita alla rinuncia all’uso egoistico del denaro.
Non chiede di «non rubare», di fare elemosine, ma di instaurare un rapporto com-pletamente nuovo con i beni; propone la condivisione, l’attenzione ai bisogni dei fratelli.
Qualunque forma di accumulo egoistico è una violazione del primo comandamento: «Non avrai altro dio all’infuori di me» (Es 20,3).
     Nessuno può servire a due padroni; o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro.
Non è possibile servire Dio e mamônâ.
     Noi vorremmo tenerceli buoni tutti e due, convinti che quello che non ci concede l’uno ce lo darà l’altro.
Ma i due non sono soci in affari, sono antagonisti, non possono stare insieme nel cuore dell’uomo, danno ordini opposti.
Il Padre che sta nei cieli ripete: «Ama, aiuta tuo fratello, dà cibo a chi ha fame, vesti chi è nudo, offri la tua casa a chi è privo di casa».
Il denaro ordina invece: «Sfrutta il povero, non dare nulla gratuitamente, non preoccuparti di chi è nel bisogno, stima e apprezza le persone in proporzione di ciò che possiedono».
     Il distacco dai beni è uno dei temi ricorrenti nel vangelo ed è uno dei più difficili da assimilare.
L’uomo infatti si affeziona ai tesori di questo mondo, è portato a idolatrarli fino a dimenticare l’eredità «che non si corrompe, non si macchia e non marcisce, quella che è conservata nei cieli» (1Pt 1,4).
     Fin dal suo primo discorso – quello della montagna dal quale è tratto il brano di oggi – Gesù mette in guardia i discepoli: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano e non rubano.
Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 19-21).
A chi lo vuole seguire chiede di dare anche il mantello e raccomanda di non volgere le spalle a chi chiede un prestito (Mt 6,40.42).
     Le richieste di Gesù sono paradossali e sconcertanti.
Prima di decidersi ad accettarle, non si può non chiedersi: Che ne sarà della mia vita? Che cosa mangerò, che cosa berrò, come mi vestirò? Chi mi assicura che avrò poi il sufficiente per vivere? Non mi pentirò di aver rinunciato alla sicurezza che offre il denaro accumulato e goduto? Non sarà meglio limitarsi a elargire qualche elemosina?      È a questi interrogativi che Gesù risponde nella seconda parte del vangelo di oggi (vv.
25-34) dove invita alla fiducia nel Padre che sta nei cieli, che si prende cura dei figli e che non lascerà mancare il necessario a chi ha creduto in lui.
     Le immagini con cui è presentata la premura di Dio nei confronti delle sue creature sono deliziose: «Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (vv.
26-29).
Dà quasi l’impressione di essere un ingenuo sognatore, di proporre una vita spensierata, giuliva, ma completamente staccata dalla realtà.
  &nbs

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *