Il bullismo nelle scuole: un fenomeno da conoscere e prevenire.
Il fenomeno del bullismo, spesso alla ribalta della cronaca negli ultimi anni, ha sicuramente origini lontane nella letteratura per ragazzi.
È possibile trovare “bulli” che rappresentano la parte cattiva della storia e che fanno sì che venga ancora di più esaltata la figura del “buono” che non si fa sottomettere dalle minacce e dalle prevaricazioni.
Nel 1886 De Amicis descrive la figura di Franti che racchiude in sé i tratti distintivi del prepotente.
Altri esempi classici li troviamo in Charles Dickens e Stephen King, fino ai “Ragazzi di vita” di Pasolini e – perché no – Draco Malfoy in Harry Potter.
Oggi però è diventato un aspetto allarmante della società, come ha pubblicato – sul periodico di Lampedusa “Punta Sottile” – la dott.ssa in Scienze e tecniche della psicologia dello sviluppo e dell’educazione Caterina Fumularo: non accade solo nella favola di “Cappuccetto rosso”.
Anche nella realtà quotidiana ci sono bambini e adolescenti che si perdono in un bosco insidioso e incontrano un “lupo-bullo” prepotente o un branco di lupi violenti, pronto ad aggredirli fisicamente, verbalmente o psicologicamente, minacciando il loro microcosmo interiore con l’intento di intimorire, disorientare o allontanarli dal “bosco” stesso.
Ci sono ragazzi che, per sfuggire al lupo, si riempiono le tasche di sassolini e li buttano a terra, in modo da saper ritrovare più facilmente il sentiero del proprio equilibrio interiore o in modo che qualcuno si accorga delle loro tracce di disagio.
Ci sono ragazzi, però, che sono così vulnerabili da non riuscire a fare provvista di sassolini o a chiedere aiuto a qualcuno.
Incapaci di difendersi dal lupo o di affrontarlo per timore di rappresaglie e vendette, lasciano cadere dalle loro tasche, vuote di speranza e di fiducia, soltanto delle briciole di fragilità, silenzio, rassegnazione e insicurezza.
Come pane secco, mangiato da formiche o da uccelli, quelle “briciole” diventano tracce poco visibili a genitori, insegnanti o ad altre figure significative dalle quali poter ricevere attenzione e ascolto.
Purtroppo, come si apprende dai mass-media e dai recenti fatti di cronaca, quel bosco d’aggressività non è soltanto la strada, un posto di svago o un quartiere sconosciuto;quel bosco è anche la scuola, istituzione educativa per eccellenza, luogo privilegiato di socializzazione, di promozione del benessere e di costruzione dell’autostima.
Un contesto all’interno del quale ogni studente vorrebbe e dovrebbe sentirsi protetto, come nel proprio ambiente familiare.
Eppure, il “lupo-bullo” che molesta, insulta, ricatta, minaccia, offende, schernisce, danneggia oggetti, maltratta psicologicamente le persone più deboli e indifese (come i diversamente abili o quelli più piccoli) e addirittura ferisce fino ad uccidere, è proprio un compagno di classe o uno studente della stessa scuola o un gruppo di studenti, che, rifiutando di seguire le regole formali della società, le sostituisce con altre in cui prevale l’affermazione personale anche a costo di un uso sistematico della violenza.
Quest’ultima può essere “agita” dal bullo non solo in forma diretta e manifesta ma anche in modo indiretto e latente, con la calunnia, il prendersi gioco della diversità degli altri, la manipolazione dei rapporti d’amicizia, i pettegolezzi e le mal dicerie che mettono in cattiva luce e rovinano la reputazione.
La conseguenza è che la vittima rimane intrappolata nella ragnatela dell’esclusione sociale e viene condannata all’isolamento dai gruppi d’aggregazione ad atteggiamenti ansiosi e insicuri, a continui sensi di colpa per non essere in grado di affrontare da sola il problema, ad una progressiva perdita dell’autostima e alla produzione di un’immagine negativa di sé.
Il bullismo, quindi, non si configura come un semplice atteggiamento conflittuale tra pari o un comportamento litigioso nei confronti dei compagni ma come un fenomeno più complesso che vede coinvolti i due protagonisti, il bullo e la vittima, in una dinamica relazionale, caratterizzata da una certa intenzionalità a fare del male e da un’asimmetria (dovuta alla forza fisica o all’età) che accentua la probabilità del ripetersi di tali manifestazioni aggressive del più forte verso il più debole.
La persistenza nel tempo contribuisce a determinare l’interiorizzazione di modalità comportamentali che rafforzano i rispettivi ruoli, con l’effetto di un quadro patologico serio sia per la vittima, che può presentare sintomatologie anche di tipo depressivo, sia per il bullo, che rischia problematiche antisociali e devianti.
Nel “bosco”del bullismo, infatti, non si perdono solo le vittime ma anche i bulli, gli insegnanti, i genitori (che spesso rimangono all’oscuro di tutto) e gli altri ragazzi “spettatori” (che preferiscono restare dietro le “quinte” dell’indifferenza e dell’omertà, ad osservare la violenza che va in scena proprio su un palcoscenico educativo come la scuola).
E’ necessario, quindi, che le proposte d’intervento debbano svilupparsi da un piano individuale ad un piano istituzionale, in una prospettiva sistemica che miri al cambiamento non solo dei singoli elementi del “bosco” (il bullo, la vittima) ma del bosco stesso nella sua complessità (il gruppo, la scuola, la famiglia, gli insegnanti, i rapporti con altri contesti, ecc.).
Il “cacciatore buono”, metaforicamente un buon progetto educativo che si propone di prevenire o contrastare il fenomeno, non può, come succede nella favola di “Cappuccetto rosso”, avere la finalità di “annientare”il lupo cattivo per salvare chi è stato divorato dalla sua “fame aggressiva”.
Oltre ad aiutare la vittima, è necessario, cioè, intervenire sul lupo stesso e su tutti i soggetti coinvolti, favorendone il recupero psicologico, attraverso la promozione dell’empatia, dell’altruismo, della cooperazione e di quei comportamenti prosociali che possono contribuire a trasformare quel luogo d’aggressività in un terreno fertile, per educare alla legalità e per garantire il diritto di non subire più aggressioni e violenze.
Milano, 14 gennaio 2011 Segreteria Nazionale ANAPS per la consultazione dell’intero contributo IL BULLISMO.pdf 587K
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