ENZO BIANCHI, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, Torino 2011, 978-88-06-20465-5, pp.127, Euro 17 Confesso che nella mia vita stare accanto al camino acceso verso sera, all’ora del tramonto, è una delle gioie più grandi che mi è stato dato di vivere.
[…] Assieme agli altri, mi offre in dono poche parole, dense di rara capacità comunicativa. È impossibile sostare davanti a un camino acceso e parlare troppo: quel fuoco che scoppietta e manda faville con ritmi e tonalità tutte sue invita al silenzio e fa dell’ascolto reciproco un sussurro eloquente.
Non “ogni cosa ha la sua stagione”, ma “ogni cosa alla sua stagione”.
Un sottile spostamento di senso per dire come siamo noi, assieme alle cose di cui riempiamo i nostri giorni, ad appartenere al tempo.
Non il contrario.
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, conosce gli uomini e il mondo: dalla sua cella, al rapporto con la quale dedica uno dei capitoli più intensi, non si limita ad osservare ciò che accade al di fuori.
Piuttosto, cerca nella solitudine che quello spazio comporta, un contatto autentico e profondo con sé stesso, così da poter poi tornare nel mondo forte di una nuova consapevolezza di quello che è altro da sé.
Attinge agli insegnamenti di un cistercense del dodicesimo secolo per riscoprire la radice comune a “cella” e a “coelum”, cielo, e costruisce un ponte fra due concetti apparentemente opposti, e invece accomunati da un’idea di orizzonte interiore che supera ciò che gli occhi possono vedere.
Il libro pubblicato da Einaudi inanella riflessioni maturate nel corso di una vita che Bianchi sente essere stata – ed essere ancora – piena, matura, ricca; e accanto a questi pensieri trovano spazio ricordi di gioventù, rievocazioni di momenti significativi e alcuni ritratti delle persone care.
Fra questi, spiccano le pagine dedicate alla Teresina del Muchèt, donna “selvatica” vissuta accanto al paese dove lui è cresciuto, che nell’umile regola di una vita condotta fra le malghe e una casina modesta, a fare formaggi, rimarrà un esempio luminoso per le scelte future di Bianchi.
Fuge, tace, quiesce.
Fuggi, taci, rappacificati.
Tre precetti che Bianchi ci illustra con passione, mostrandoci un ciclo virtuoso di cui l’uomo dispone per riappropriarsi della propria vita in tre passi.
Fuggire: “lasciare il luogo abituale di vita – anche se solo per il breve tempo di una vacanza – può diventare affermazione “che il luogo in cui si vive non basta, e che desideriamo altri luoghi”.
Tacere: regola d’oro nel mondo “assordante in cui viviamo oggi, dove il silenzio costituisce una creatura in via d’estinzione”.
Rappacificarsi, infine: per rinfrancarsi dalle fatiche, e “esercitarsi a pensare in grande, all’amare contemplando l’amore di cui siamo oggetto e l’amore che può sbocciare dal nostro cuore”.
Ma attenzione: non si tratta di un itinerario low cost, perché questo viaggio verso sé stessi richiede la rinuncia alle proprie abitudini, e la disponibilità ad allontanarsi dagli schemi cui ci appoggiamo per sentirci più forti.
La ricompensa, però, è grande, e può significare un rinnovato patto fra noi stessi e la società degli uomini nella quale viviamo ogni giorno.
Belle pagine, in un libro che sa regalarci anche osservazioni non banali, sull’importanza del convivio; sulle verità che il vino può dispensare se goduto con intelligenza; sull’amicizia, esercizio perpetuo di coltivazione della bellezza oggi più che mai indispensabile.
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