CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, Evangeliario secondo il rito romano, EMP, Padova 2010, ISBN: 8825025106, pp.340, Euro 140 Nel volume sono riportati tutti i brani dei vangeli letti nelle domeniche, nelle solennità e quelli per le messe rituali.
Le pericopi sono disposte secondo l’ordine canonico dei vangeli e per ognuna di esse è indicata la celebrazione in cui viene letta.
Quattro Vangeli da baciare e ascoltare di Gianfranco Ravasi in “Il Sole 24 Ore” del 16 gennaio 2011 II diacono ha incensato prima e cantato poi il testo evangelico della solennità; richiude il volume, lo eleva e lo porta processionalmente verso il papa che presiede la celebrazione.
Il pontefice accoglie e bacia questo libro dalla legatura d’argento tempestata di gemme e con esso benedice l’assemblea che ha ascoltato in piedi.
Molti ricordano questa scena visibile nelle trasmissioni televisive dei riti papali: il gesto, che può essere ripetuto anche nelle altre liturgie locali solenni, esprime la venerazione per la Parola sacra, proclamata a voce e cristallizzata nella pagina scritta.
Già nell’ebraismo la Torah era ed è nel cuore stesso della sinagoga.
Infatti, una copia manoscritta della «Legge», i primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco), usata per la pubblica lettura, è custodita nell”aron haqodesh, l’«arca santa» del luogo di culto.
Si tratta di un rotolo di pergamena sul quale un sofer, uno scriba, ha trascritto a mano l’intero testo ebraico di quei libri, con inchiostro nero brillante così da far sfolgorare ogni lettera e parola, e – secondo un’antica tradizione – con calamo vegetale o animale, perché ogni penna metallica avrebbe evocato la materia con cui si approntano le armi, negando così la missione di pace della Parola.
Anche il cristianesimo ebbe i suoi “lezionari”, ossia i testi liturgici che contenevano i brani biblici (le “pericopi”) proclamate nella celebrazione eucaristica.
Al loro interno si distinguevano gli “evangeliari” che contenevano solo i quattro Vangeli: uno studioso tedesco, Theodor Klauser, nel suo Das römische «Capitulare Evangeliorum» (Münster 1935), ne ha classificati un migliaio di latini, attestati tra il 645 e il 750.
All’interno, poi, degli evangeliari è da identificare una categoria più specifica sorta in epoca successiva, l’«evangelistario»: proprio perché nella liturgia si leggono, di volta in volta, a brani e non integralmente i quattro Vangeli, si pensò di preparare volumi nei quali fossero raccolti solo quelle “pericopi” distribuite nella sequenza delle varie domeniche e feste.
Questi «evangelistari», dall’evidente finalità pratica, acquistarono uno splendore particolare perché le loro pagine furono costellate di miniature, di capilettera in oro o argento, e furono raccolte in legature o teche impreziosite da smalti, avori e gemme.
Negli anni 80 si decise di elaborare – nello spirito del fervore liturgico post- conciliare – un «evangeliario» per le Chiese d’Italia che «avesse l’ambizione di competere per decoro e bellezza con gli splendidi esemplari trasmessi dall’antichità».
Apparve, così, nel 1987, per i tipi dei Fratelli Accetta, editori palermitani, Haec sunt Verba sancta.
Evangeliario delle Chiese d’Italia, un prodotto pregevole, ma certo non all’altezza di quegli «splendidi esemplari» del passato coi quali si voleva gareggiare.
Un nuovo Evangeliario secondo il rito romano, voluto dalla Conferenza Episcopale del Piemonte e della Valle d’Aosta, è ora disponibile per tutte le comunità ecclesiali italiane: in esso si nota il tentativo di fondere i due generi dell’«evangeliario» e dell’«evangelistario».
Infatti, da un lato, si hanno i testi integrali dei quattro Vangeli; d’altro lato, però, essi sono suddivisi secondo i vari brani che la liturgia propone nella sua articolazione annuale (anzi, triennale).
All’opera si può assegnare la definizione di «nobile semplicità» che il Concilio Vaticano II proponeva per lo stile liturgico sia per il candore della legatura, sia per il nitore tipografico, sia per la sobrietà delle immagini, riproduzioni di sculture in marmo di Trani, eseguite nel 2001da Novello Finotti per la facciata della Basilica di S.
Giustina a Padova.
Certo, si potrebbe pensare anche a un dialogo più intenso e serrato con l’arte contemporanea, auspicabile dopo gli anni del divorzio che si è consumato nel secolo scorso.
Qualcosa del genere fu tentato con coraggio dalla Conferenza Episcopale Italiana col suo recente Lezionario domenicale e festivo in tre volumi: l’idea era felice e suggestiva, anche se l’attuazione fu guidata con poco rigore e il risultato fu eterogeneo e diseguale.
Su questa scia si muove ora anche la Chiesa di Milano che sta allestendo un suo «evangeliario», illustrato da artisti contemporanei di alta qualità, considerato come il suggello della recente riforma del lezionario del rito ambrosiano (una riforma oggetto di discussioni e critiche varie da parte di alcuni esperti).
Significativo è, comunque, lo sforzo di riannodare il confronto con l’arte dei nostri tempi, propugnato da Paolo VI già nel 1964 in un memorabile discorso tenuto agli artisti nella Cappella Sistina, evento e appello reiterato il 21 novembre 2009 da Benedetto XVI nello stesso luogo mirabile, sulla scia anche della Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II del 1999.
Si tratta di un incontro necessario e benefico sia per la liturgia sia per l’arte che nella storia sempre s’incrociarono, generando capolavori straordinari in una continua evoluzione: si pensi solo ai trapassi tra paleocristiano, romanico, gotico, rinascimentale, barocco, neoclassico o alla rivoluzione della polifonia rispetto alla “monodia” del gregoriano…
Ora, purtroppo, da un lato in ambito ecclesiale si ricorre spesso soltanto al ricalco di moduli, stili e generi di epoche precedenti o si adotta il puro e semplice artigianato o, peggio, ci si adatta alla bruttezza dei nuovi quartieri urbani e dell’edilizia aggressiva, innalzando edifici sacri simili, come diceva sarcasticamente padre David M.Turoldo, a garage sacrali ove è parcheggiato Dio e vengono allineati i fedeli.
D’altro lato, però, l’arte ha imboccato le vie della città secolare, archiviando i temi religiosi, i simboli, le narrazioni, le figure e quel “grande codice” che era la Bibbia.
Ha abbandonato, come pericolosa, ogni proposta di messaggio, si è consacrata a esercizi stilistici sofisticati o provocatori e fin blasfemi, si è rinchiusa nel cerchio dell’autoreferenzialità, si è asservita alle mode e alle esigenze di un mercato spesso artificioso ed eccessivo.
Le parole di Benedetto XVI possono essere di stimolo ad ambedue gli ambiti: «Non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare coi credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita.
La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi, li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la meta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente».
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