L’intervista Ieri ventuno rose rosse, ventuno «bocoli» , sono state offerte all’altare della Madonna Nicopeia nella Basilica di San Marco al termine della messa presieduta dal Patriarca, cardinale Angelo Scola.
Un gesto speciale per ricordare il martirio dei cristiani nel mondo e la strage di 21 persone che ha colpito la comunità copta ad Alessandria d’Egitto, una chiesa particolarmente vicina a quella di Venezia, perché nate entrambe dalla predicazione dell’evangelista Marco.
Cardinale Scola, l’imam Al Tayyeb, capo della moschea di Al Azhar, ha chiesto in un’intervista al Corriere un segnale del Papa per ristabilire la fiducia.
Lei, da decenni, si occupa della presenza dei cristiani in Medioriente anche attraverso la Fondazione Oasis.
Cosa pensa delle parole di Al Tayyeb? «Prima di tutto bisogna prendere atto che sappiamo ancora poco gli uni degli altri.
Lo prova il fatto che nessun cristiano praticante si riconoscerebbe nell’immagine della sua fede che è corrente tra i musulmani e viceversa.
Poi è urgente affrontare il grande nodo del rapporto tra verità e libertà.
Si tratta di un equilibrio sempre da riconquistare perché senza verità l’uomo si smarrisce, ma senza libertà l’uomo si ritrova schiavo.
La violenza nasce anche da qui».
Ma i cristiani non hanno minacciato nessuno, semmai sono vittime di chi in nome della religione fa stragi e semina paura e morte.
«Purtroppo le percezioni sono radicalmente diverse tra una sponda e l’altra del Mediterraneo.
Molti in Occidente si sentono sotto attacco da parte dell’Islam, mentre in Oriente molti ritengono che sia l’Islam a essere sotto attacco.
I media hanno una responsabilità in questo.
Tuttavia dobbiamo rimanere aderenti ai fatti: non per la prima volta, alcuni terroristi che sostengono di agire in nome dell’Islam hanno perpetrato un esecrabile attentato suicida in una Chiesa in cui erano radunati in preghiera diversi fedeli cristiani».
Benedetto XVI ha chiesto protezione per tutti i cristiani.
Come spiega che questa posizione venga etichettata come un’ingerenza? «Il Papa non chiede alcun trattamento privilegiato per i cristiani.
Chiede il rispetto dei diritti fondamentali di ogni uomo, tra i quali c’è evidentemente quello a vivere, a professare pubblicamente la religione e a non essere cacciati dal proprio Paese.
Siccome negli attentati di Alessandria, come a Bagdad in ottobre, come a Nag Hammadi un anno fa, come in Pakistan molto di frequente, come in India o in Cina, a essere colpiti sono i cristiani, il Papa, che porta la responsabilità di più di un miliardo di fedeli, ha ritenuto doveroso attirare l’attenzione del mondo sul problema della persecuzione dei cristiani».
Quale ruolo per l’Europa? «L’Europa deve operare in modo molto più deciso per il rispetto dei diritti fondamentali, avendo il coraggio di non subordinarli agli interessi economici.
Inoltre può promuovere, nei fatti, un modello di società plurale nella quale le diverse componenti si riconoscano a partire dal bene pratico dell’essere insieme.
È un’idea su cui si possono incontrare laici e credenti delle varie religioni.
Un’idea che, nel medio termine, può essere un paradigma per tutti i Paesi».
Proprio il giorno dell’attentato di Alessandria, il Papa aveva reso noto che ad ottobre parteciperà all’incontro interreligioso di Assisi…
«L’incontro di Assisi ha esattamente questo significato: il terrorismo, prima ancora di essere un problema di sicurezza e di intelligence, solleva una questione di esperienza e di cultura.
Esiste una violenza che viene perpetrata in nome di Dio.
Occorre che le religioni tolgano ogni legittimità a questi atti criminali.
Non dobbiamo dire solo che è sbagliato, ma anche perché è sbagliato».
I kamikaze musulmani si ritengono martiri.
Anche per i cristiani i martiri sono chiamati a dare testimonianza a Cristo nel modo più alto e definitivo.
Che differenza c’è? «La differenza tra un martire e un terrorista suicida è radicale.
Il primo abbraccia anticipatamente nella sua offerta il proprio persecutore.
Il suo perdono previo vince così un male ingiustificabile.
Il terrorista suicida si dispone a morire, ma il suo gesto è rivolto all’annientamento dell’altro.
Perciò è intrinsecamente un male, è una negazione dell’umano».
Cristiani ed ebrei nei secoli passati sono stati costretti a vivere da «dhimmi», da assoggettati, sotto l’Islam.
Ciò è ineluttabile? «Assolutamente no.
Le parole dell’imam Al Tayyeb nell’intervista che lei citava sono molto chiare.
E a onor del vero l’imam ha già espresso questa posizione anche in altre circostanze, ad esempio in un’intervista al giornale libanese an-Nahar di qualche mese fa.
Ne ho potuto leggere in anteprima un sunto preparato per la prossima newsletter di Oasis.
Nel mondo musulmano è in corso una battaglia delle idee, accanto a quella delle armi che tutti possono vedere: sbaglierebbe chi pensasse che nulla si muove» .
in “Corriere della Sera” del 7 gennaio 2011
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