Fede politica e ragione spirituale possono convivere in noi

Tempo di Natale, tempo dello spirito.
Magari buono per riflettere su grandi temi come il seguente:  viviamo davvero— come si sente dire da parte di molti — in un periodo «contro secolare» ? No, non spaventatevi alla vista di una parola cosi complicata.
In fondo, come dicono i dizionari, «secolare» vuol dire semplicemente il contrario di religioso o spirituale.
Con tutte le conseguenze istituzionali del caso, prima fra tutte la separazione netta tra i destini dello Stato e quelli della Chiesa.
E con gli effetti che tali conseguenze apportano alla vita delle persone, per cui chi vive nel chiostro — in un’età secolare— si vede preclusa la vita pubblica.
Detto questo, parlare di «controsecolare» significa né più né meno che queste separazioni, virtuali o reali che siano, non hanno più molto senso nel periodo in cui viviamo e che proprio per questo bisogna rifiutarle.
Il pensatore tedesco Habermas ha parlato da tempo, e con maggiore prudenza, di «post-secolare» , alludendo in questo modo a una fase preliminare a quella di cui stiamo parlando.
In fondo, «post-secolare» equivale rozzamente a pluralistico, per cui non si può puntare su una sola narrativa trionfante, come lo era quella laica e illuministica della modernità.
E bisogna piuttosto scommettere su una sana ma complicata convivenza di forme di vista plurime e differenti (i temi del sacro e della politica saranno trattati nella Biennale Democrazia 2011, che si terrà a Torino nel prossimo aprile).
Insomma, il «post-secolare» ci vede affiancati gli uni agli altri nella relativa incertezza metafisica e morale che contraddistingue il tempo nostro.
Da questo punto di vista, il «post-secolare» habermasiano addomestica nel dialogo paritario la fantasiosa temperie post-moderna.
Quest’ultima, che abbiamo visto nella versione French thought eternamente obbligata a ripetere il mantra dell’incommensurabilità delle grandi narrative si è, nel tempo, auto-divorata negando le premesse teoriche stesse su cui poggiava.
Ma se il post-secolare habermasiano fotografa un percorso di dubbi addolciti dalla certezza finale per cui alla fine della corsa — come nei vecchi bei film americani — la saggezza della ragione finirà per prevalere, cosi non è per il più recente «contro-secolare» .
Questa ultima temperie dello spirito si presenta, infatti, più aggressiva e critica.
Non si accontenta di regalare all’individuo religioso la pari dignità con quello laico nella sfera pubblica, ma pretende di più.
Pretende che la parola di dio abbia un valore più profondo, autentico e vero di quanto non ne abbiano le ragioni dei laici.
Al contrario di quanto sosteneva Giorgio Guglielmo Federico Hegel, la teologia— da questo punto di vista— non è più l’ancella della filosofia, ma piuttosto il contrario.
Papa Benedetto XVI, che di queste cose si intende per antichi studi oltre che per saggezza pastorale, d’altronde ha insistito sul fatto che il vantaggio dell’uomo di fede sta nel potere mettere talvolta da parte la pari pretesa delle ragioni in nome dell’unicità del vero.
Questo è un modo per entrare nel merito del contro-secolare, che lo stesso papa — nel suo discorso alla Sapienza — ha voluto rilanciare in rispettosa polemica con il più discorsivo dei filosofi liberal democratici, quel John Rawls di Harvard da molti giudicato il più grande teorico della politica dai tempi di Machiavelli e Hobbes.
In questo modo, oggi Rawls è entrato a pieno diritto nel «cortile dei gentili» così come la chiesa di Roma chiama il luogo in cui i laici discutono coi non-laici delle cose divine.
L’interesse per questi temi sembra assai notevole, senza distinzione per classi di età.
Nel convegno su «Rawls and Religion» , tenutosi la scorsa  settimana presso la Università Luiss di Roma, studiosi di molte nazioni e continenti si sono predisposti in dialogo a discutere di questi temi.
E, come appare del resto ovvio, la liberal-democrazia— impersonata da Rawls— non si confrontava solo con la tradizione cristiana ma anche con quella islamica e hinduista.
È interessante notare come i protagonisti del discorso si muovano, in questi casi, in maniera convergente.
Con gli studiosi occidentali di liberal democrazia a cercare di capire le ragioni degli altri, e gli studiosi islamici e indiani ansiosi di coniugare antiche saggezze con il pensiero critico dell’Occidente.
Alla fine, nonostante  l’infuriare del dibattito, sotto la schiuma delle onde l’incontro prende piede.
Gli occidentali laici sono portati ad ammettere, sia pure con nostalgia, che l’esperienza di fondo da cui partono, e cioè l’Illuminismo, al termine della corsa ha fallito: (I) la teologia non sarà mai solo filosofia della religione perché la parola di dio non è mai completamente addomesticabile; (II) scienza e industria non sostituiranno mai a pieno titolo la fede.
I non-occidentali si accorgonoinvece che l’addormentamento mistico del passato li ha portati a dover abitare una società meno libera e meno eguale.
In questo modo, l’infelicità di destini contrapposti conduce a un cocktail originale di fede politica e ragione spirituale.
Questo cocktail costituisce in qualche modo il vissuto collettivo dell’esperienza contro-secolare da cui sono partito.
Dopo averlo assaggiato, ognuno di noi sente qualcosa di antico.
Un gusto di grandi narrative del passato piene di senso e verità ritorna.
Nell’altalena mai ferma della vita spirituale si assaggia lo shock di un sapore forte e riconoscibile.
Con tutte le certezze sue là, ben allineate.
Forse, questo sapore è l’essenza del contro-secolare.
Un’essenza che sola può ricacciare indietro la frenesia critica del post-moderno col suo puzzo di morte, malamente truccato da ironia.
Così va avanti il pendolo della storia spirituale.
Mentre noi, vecchi liberali, contempliamo e speriamo che prima o poi le incessanti oscillazioni tra il pre dell’affidarsi a dio e il post dell’abbandonarsi al nulla torni ad affermarsi la saggezza piena del moderno.
Che si risolva in un tutt’ora improbabile nuovo equilibrio tra io e es, fede e ragione, speranza e realtà, senso della vita ed efficienza.
professore di Filosofia politica, Università Luiss di Roma in “Corriere della Sera” del 24 dicembre 2010

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