I percorsi di Rozanov tra i monasteri russi di Stefano Garzonio Eremo silenzioso è il titolo di un celebre dipinto di Isaak Levitan del 1890, oggi conservato alla Galleria Tret’jakov di Mosca.
Vi si raffigura un paesaggio idealizzato, ispirato, pare, al monastero di Jur’evec sulla Volga, che fa tuttavia solo da spunto per una composizione fortemente interiorizzata, quasi impalpabile.
Fin dalla sua prima esposizione, alla mostra degli Ambulanti del 1891, quando provocò tra le altre la reazione entusiastica di Anton Cechov, l’opera acquistò un carattere per così dire paradigmatico nella raffigurazione della spiritualità russa.
Più di un decennio più tardi lo scrittore e filosofo Vasilij Rozanov dedicò un lungo saggio alla visita dei monasteri legati alla vita del Santo Serafim di Sarov (1754-1833) e lo intitolò Per eremi silenziosi, quasi volesse riportare su carta nella sua articolazione il complesso intreccio raffigurativo della spiritualità russa simbolicamente tracciato da Levitan nel suo quadro.
Il testo di Vasilij Rozanov è ora proposto in italiana dall’editore Lindau nella cura e traduzione di Gian Luigi Giacone, cui si deve anche una informatissima postfazione e una breve nota sul grande scrittore russo.
Il pellegrinaggio nei monasteri di Ponetaevka, Sarov e Digeev, fu compiuto da Rozanov insieme ai famigliari nella speranza di ottenere un miglioramento della salute della figlia Tat’jana.
Vicino in gioventù alle idee slavofile e poi pensatore inquieto, critico acerbo del cristianesimo e dell’ortodossia, assertore della «santità del sesso» in chiave veterotestamentaria e in opposizione al cristianesimo «lunare» e ascetico, Rozanov fornisce qui un’analisi partecipe, ma non univoca dei principi spirituali del cristianesimo.
Si tratta infatti di una descrizione appassionata dei luoghi, dei monumenti artistici e del mondo umano dei pellegrini, percorsa da riflessioni, ora pacate, ora anticonformiste, sulla fede cristiana dei russi e, più concretamente, sulla specificità dell’ascetismo nella spiritualità russa.
Per il lettore italiano si tratta di un documento di particolare interesse informativo, perché offre un’immagine a tutto tondo della figura di San Serafino la cui venerazione, legata all’epoca di Nicola II che partecipò personalmente al rito della canonizzazione, è tornata oggi al centro della vita spirituale della chiesa ortodossa russa nell’epoca post-comunista.
Al tempo stesso è da rilevare la pregnanza letteraria del testo, sia per gli aspetti formali che testimoniano la grandezza di Rozanov scrittore, come risulterà evidente nella prosa frammentaria delle Foglie cadute, sia per i rimandi propriamente letterari, come nel parallelo tra la descrizione del monachesimo proposta da Rozanov e la figura dello starec Zosima nei Karamazov di Dostoevskij.
In questa prospettiva è curiosa l’annotazione secondo cui «la letteratura russa vanta quattro scrittori – Lermontov, Gogol’, Dostoevskij e, in misura minore, Tolstoj – che possiamo immaginare senza difficoltà come monaci».
Al contrario, prosegue Rozanov: «Con Puskin…
questo sarebbe impossibile.
Un uomo nella cui anima alberghi la varietà e la mutevolezza non è adatto a indossare la veste monacale…».
Lo scritto di Rozanov tende in ogni caso a sostenere un atteggiamento critico nei confronti dei concetti di «società cristiana» e «famiglia cristiana», individuando nell’ascetismo monastico l’idea centrale e rivoluzionaria del cristianesimo e sottolineando il carattere «pagano» di istituzioni come famiglia, stato e società.
In una accesa diatriba contro l’umanesimo, nella convinzione che «a Cristo appartiene la cella, il mondo non appartiene a Cristo!», Rozanov giunge a riferire il complesso dell’anima umana, dai culti precristiani alle arti e alle filosofie, al paganesimo e ai concetti di bellezza dell’antichità.
Nota lo scrittore: «Non è un caso che i templi antichi fossero pieni di vitelli, agnelli, colombi, pieni cioè di una salute ancora pre-umana, mentre le nuove chiese sono piene di storpi, ciechi e paralitici».
Non pochi sono i riferimenti alla specificità dell’ortodossia, cui lo scrittore dedicherà poi il celebre saggio La chiesa russa.
Nel contempo Rozanov sottolinea il carattere rigido, severo, del cristianesimo, dal quale «ogni gioia terrena viene vista …
attraverso il prisma della tristezza».
L’immagine del cristianesimo come «guarigione», ma non «salute», ha in nuce tutto il complesso polemico del Rozanov teista naturalista che di lì a poco nei celebri Il volto oscuro (nel quale peraltro sarà inserito il saggio Per eremi silenziosi) e Gli uomini del chiarore lunare (i due libri erano parte del volume Negli oscuri raggi religiosi bloccato nel 1910 dalla censura) leverà un grido di sfida allo spirito consolatorio del cristianesimo.
Conclude nel suo scritto Rozanov che «coloro che si ribellano al monastero non vogliono capire che la loro è al tempo stesso una ribellione al cristianesimo o, detto francamente, al Cristo stesso…».
Pare quasi un accenno alla propria evoluzione di pensiero che negli anni seguenti lo porterà, anche attraverso un contraddittorio atteggiamento verso l’ebraismo (fino alla velenosa campagna contro gli ebrei negli anni dell’affare Bejlis), alla sofferta revisione catartica di Apocalisse del nostro tempo, ultima tragica testimonianza dello scrittore prossimo alla morte negli anni della guerra civile.
Nella chiusa di Per eremi silenziosi Rozanov riporta la tragica storia di una donna morente, sfigurata dalle fiamme di un incendio, la cui unica preoccupazione prima di spirare è che non la vedano il marito e i figli.
Si tratta di un’altissima testimonianza di amore: «Questa è etica, non estetica!», esclama lo scrittore, individuando quel principio evangelico iniziale che sta alla base della vita monastica, il principio che, secondo Rozanov, è all’origine di «quelle tante piccole isole primordiali, i monasteri, che immerse nell’antico oceano del paganesimo, iniziarono a saldarsi tra loro fino a formare il continente della Chiesa».
in “il manifesto” del 14 dicembre 2010 ROZANOV VASILIJ, Per eremi silenziosi, Lindau 2010, pp.
91, € 12,50 Vasilij Rozanov intraprese il viaggio ai tre monasteri legati alla figura del beato Serafini di Sarov (uno dei più famosi asceti del XIX secolo) nella speranza che in quei luoghi benedetti potesse migliorare la salute della figlia Tanja, di nove anni.
Accompagnato dalla moglie Varvara Dmitrievna, dalla stessa Tanja e dal figlio Vasja, di cinque anni, Rozanov ebbe modo di osservare la folla di pellegrini di ogni ceto sociale e di ammalati in attesa di una guarigione miracolosa, di godere della quiete irreale che circonda i monasteri ortodossi, di visitare le celle dei monaci e di seguire con stupore le monache impegnate nei lavori della semina e del raccolto, nella cura dell’eremo, nelle preghiere estatiche.
Il viaggio gli offrì l’occasione per rappresentare (oltre alla difficile condizione dei connazionali) la realtà del monachesimo ortodosso, mettendola a confronto con la sua problematica interpretazione del cristianesimo inteso come religione della sofferenza e, soprattutto, della tristezza: “Ogni gioia terrena viene vista nel cristianesimo attraverso il prisma della tristezza: dove non c’è tristezza, non c’è cristianesimo!”, e portandolo a riflettere sulla centralità della figura di Cristo.
Pur nella sua brevità, Per eremi silenziosi racchiude, almeno in nuce, molti dei grandi temi filosofico-religiosi di Rozanov, e riflette i fermenti, i dubbi, le contraddizioni e le attese che caratterizzavano l’atmosfera culturale russa d’inizio ‘900.
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