Secondo un calcolo per difetto, nel Novecento sono usciti centomila libri su Gesù, con una media quindi di un migliaio ogni anno.
Di lui ci si interessa persino in Giappone, come ha dimostrato in un suo saggio – pubblicato però in tedesco nel 2006 -lo studioso Takashi Onuki.
Lo scorso anno a Montréal in Canada è uscita un’indagine sulla figura del «Gesù storico» negli ultimi 25 anni e le rassegne bibliografiche elencate erano ben 23 distribuite per aree geografiche (4 nelle Americhe, 8 in Europa, 3 in Africa, 6 in Oriente, 2 nel Pacifico).
E che dire poi della galassia internet? Non cliccate Jesus o Christ perché perdereste subito il conto dei milioni di occorrenze: c’è persino un Jesus Project che riunisce 50 esperti internazionali che si sono programmati sul tema fino al 2012 (dal 2007) per rispondere fondatamente a una sola domanda, quella sull’esistenza di Gesù.
Sì, perché il soggetto che più conquista studiosi e ciarlatani è il cosiddetto «Gesù storico»: esiste addirittura un quadrimestrale intitolato «Journal for the Study of the Historical Jesus» che esce dal 2003.
I manuali al riguardo si sprecano, tant’è vero che una prestigiosa editrice come la Brill di Leida ha pensato di metterne in cantiere uno di taglio sintetico che, però, avrà bisogno di ben quattro volumi attualmente in preparazione sotto il titolo generale The Handbook for the Historical Jesus.
In questa foresta bibliografica ben pochi riescono a inoltrarsi senza smarrirsi.
Uno di questi è un italiano, il padovano Giuseppe Segalla, docente emerito della facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, e dobbiamo essergli grati per il fatto che – accanto alla buona dose di pagine “tecniche” da lui dedicate al tema – ha voluto ora approntare una mappa che ci guidi almeno lungo i sentieri più ampi di questa selva lussureggiante ove alligna ogni tipo di vegetazione, rara e comune, eccezionale e banale, sofisticata e insulsa.
Si deve, comunque, già in partenza badare a un «circolo ermeneutico» a duplice traiettoria: il Gesù della storia ci costringe a un movimento centripeto, di risalita alle fonti genetiche storiche; il Gesù nella storia (così s’intitolava anche un notissimo testo del 1985 di Jaroslav Pelikan) ci invita, invece, a un moto centrifugo inverso che procede dal passato inseguendo il Gesù “ricostruito” e “ricreato” nel successivo flusso dei secoli che recano il suo nome.
Così, per fare il primo percorso – tanto per esemplificare – la studioso americano John P.
Meier ha avuto bisogno finora di quattro tomi che nella traduzione italiana totalizzano qualcosa come 3.282 pagine, dedicate a un personaggio che merita solo il titolo di Un ebreo marginale (edizioni Queriniana)…! Ma ritorniamo alla nostra metafora “silvestre”.
Tre sono i percorsi disboscati da Segalla in questa densa foresta bibliografica.
Il primo reca il tradizionale cartello con la scritta Old Quest, è la «Prima Ricerca» che si aprì in Germania con la pubblicazione nel 1778 del celebre «settimo frammento» dello studioso tedesco Hermann S.
Reimarus.
È l’ingresso del sospetto e della critica razionalistica, tant’è vero che Segalla classifica questa ricerca come «il paradigma illuministico»: apostoli ed evangelisti «con astuta invenzione», come dirà Reimarus, dopo aver trafugato la salma di Gesù lo fecero «risorgere», così da fondare un nuovo movimento nel suo nome, distanziandosi dal Gesù storico, che aveva predicato solo una dottrina morale elevata, sognando di essere il Messia definitivo, ma che di definitivo ebbe solo la sua tragica condanna a morte.
Elaborata in forme ben più raffinate e sofisticate dal protestantesimo liberale, dalle teorie “mitiche” di Strauss, dal famoso Renan, dalla teoria del Gesù apocalittico di Weiss e Schweitzer, questa «Prima Ricerca» fu surclassata ai primi del Novecento da una nuova strada, denominata appunto New Quest, e da Segalla rubricata come «paradigma kerygmatico» proprio perché al centro si poneva il kérygma, ossia l’«annunzio» del Cristo Salvatore.
Secondo questa impostazione, i Vangeli non sono documenti storici informativi sul Gesù della storia, sono invece testimonianze performative di fede che provocano il lettore alla conversione esistenziale.
Brilla su questo viale l’astro del famoso teologo tedesco Rudolf Bultmann (1884-1976).
Detto in altri termini, più che offrirci una figura storica e una vicenda, i Vangeli dipingono il ritratto di una persona spirituale e un messaggio.
Anche su questo percorso si registrarono molte variazioni, rettifiche e deviazioni: un esempio è quello espresso dal saggio The Real Jesus dell’americano Luke T.
Johnson che preparava la transizione a un nuovo itinerario.
Egli criticava soprattutto l’ultima e radicale formulazione dell’impianto antistorico incarnata dal cosiddetto “Jesus Seminar”, un curioso sistema di tabulazione di 1.500 detti e di 176 atti del Gesù evangelico, sottoposto a votazione da parte di un’équipe di studiosi, con esiti sconcertanti per quanto riguarda la loro autenticità storica.
Siamo giunti, così, alla Third Quest, il terzo sentiero aperto nel 1985 e ancora in cantiere: è «il paradigma giudaico postmoderno», come lo definisce Segalla, inaugurato da Ed Parish col suo Gesù e il giudaismo, tradotto da Marietti nel 1992.
Alla base c’era la fiducia di conoscere il Gesù storico collocandolo all’interno dell’alveo del giudaismo in cui egli era sorto e vissuto, ma col quale aveva anche segnato discontinuità e originalità.
Questo nuovo modello storiografico e teologico, accuratamente presentato da Segalla, ha subito alcune ramificazioni interessanti attraverso il «Gesù ricordato» nella tradizione orale (James D.
G.
Dunn) e il «Gesù testimoniato» (Richard Bauckham).
Ma fermiamoci qui per non disperdere i nostri lettori che comunque rimangono avvertiti della complessità attuale della ricerca, dell’alto livello degli studi storico-critici condotti dagli esegeti, della conseguente volgarità di chi pensa che “cristiano” sia sinonimo di “cretino”, ma anche dei rischi di offuscamento che una simile galassia di analisi può generare.
Il modo più trasparente per guidare il lettore non “tecnico” in questa selva rimane forse quello narrativo adottato in Spagna da due studiosi, Armand Puig i Tàrrech (Gesù.
Risposta agli enigmi, San Paolo) e José Antonio Pagola (Gesù.
Un approccio storico, Boria).
Certo è che rimane sempre viva quella domanda che Cristo aveva lasciato serpeggiare nel suo uditorio e che Mario Pomilio aveva posto al centro del suo Quinto Evangelio (1975): «Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei suoi discepoli di fronte alla domanda: Ma voi, chi dite che io sia?».
in “Il Sole 24 Ore” del 5 dicembre 2010
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