Tu quis es? Tu chi sei? È una domanda sull’ identità di un’altra persona.
Chi la pone sul serio, tuttavia, sperimenta in sé gli stessi interrogativi: Tu quis es? Chi pensi di essere? Quale definizione dai di te stesso? Da questa domanda si apre una via all’interiorità.
Di fatto, noi vorremmo conoscere a fondo che cosa muove il nostro fratello o sorella ad agire in un certo modo.
Questo rifluire della domanda su noi stessi ci coglie soprattutto quando interroghiamo le persone che ci sono care o con cui abbiamo una comunità di vita.
Quando poi si tratta di qualcuno da cui dipende la nostra vita e il nostro futuro, questa ricerca può assumere anche un carattere drammatico.
La Scrittura è particolarmente conscia di quanto questa domanda ci interpelli e ci mostra, in particolare nei Vangeli, esempi di questo cammino interiore che può anche giungere a una prova, come quella di Giacobbe con l’angelo (Gen 32) o l’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi (Mc 14,32- 42).
Questo atteggiamento fondamentale di domanda si pone fin dagli inizi della predicazione di Gesù.
Chi viene a contatto con il suo ministero si stupisce di come Egli possieda la forza del dire, connessa con il potere di fare miracoli.
Il quarto Vangelo ha nella sua prima pagina la domanda «tu quis es?» posta a Giovanni il Battista.
La sua risposta è molto chiara: «Egli confessò e non negò.
Confessò: “Io non sono il Cristo”.
Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”.
“Non lo sono” disse.
“Sei tu il profeta?”.
“No” rispose.
Gli dissero allora: “Chi sei perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato.
Che cosa dici di te stesso?”» (Gv 1,20-22).
Occorreva una grande umiltà per rispondere così.
Con questo il Vangelo di Giovanni ci fa comprendere come per conoscere il Cristo sia necessario anzitutto sapere chi non si è, ed essere molto sinceri sulle cose che non abbiamo.
I primi che si pongono questa domanda rispetto a Gesù sono i due discepoli dello stesso Giovanni.
Secondo il quarto Vangelo, non osano essere espliciti, ma chiedono timidamente: «Maestro, dove abiti?» e Gesù risponde con una proposta: «Venite e vedrete» (Gv 1,39).
Dunque, per rispondere alla domanda «tu quis es?» occorre avere la capacità di ascoltare e comprendere il mondo della persona in questione.
Natanaele poi viene colpito da grande stupore perché, incontrandolo, Gesù gli dice di averlo visto sotto il fico.
A questo stupore Gesù risponde: «Vedrai cose più grandi di queste» (Gv 1,50).
I capitoli terzo e quarto di Giovanni ci fanno comprendere che è attraverso dubbi e fatiche che si arriva a conoscere l’altro.
Nel terzo Gesù cerca di chiarire le idee a un uomo fondamentalmente buono ma legato da difficoltà e fatiche.
Di fronte alla Samaritana Egli afferma: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice dammi da bere, tu avresti chiesto a lui e lui ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10).
La donna, quindi, non è ancora giunta a riconoscere chi gli sta di fronte, ma arriverà alla conoscenza di Gesù evocando la questione messianica e sentendosi rispondere: il Messia «sono io che parlo con te».
Nel capitolo quinto Gesù viene rimproverato dai giudei per aver compiuto un miracolo nel giorno di sabato, e le resistenze alla sua missione si fanno via via più forti.
Chi vuole conoscere intimamente il mistero di Cristo deve pagare un duro prezzo.
Da qui in avanti si ripeteranno queste auto-affermazioni di Gesù con l’uso di termini metaforici.
Egli si presenta come luce del mondo che dona la luce della vita.
In questi capitoli prevalgono le diatribe di coloro che non sono disposti ad accettare la sua testimonianza.
Gesù guarisce il cieco nato e il quarto Vangelo ne trae occasione per esprimere tutte le difficoltà a riconoscere che Gesù sia il Messia.
In seguito Egli paragona se stesso alla porta delle pecore e soprattutto al buon pastore.
Finalmente Gesù si dichiara come la risurrezione e la vita (Gv 11,10-25).
Intanto si sono già formati a proposito della sua persona due schieramenti opposti: quelli che gli credono e valutano positivamente i suoi gesti e, dall’altra parte, quelli che prendono scandalo dalle sue parole e dal suo modo di agire.
Si vede di qui che nella formazione del giudizio su una persona vengono fuori molte ragioni emotive ed è quindi necessario un cuore puro.
In conclusione, per rispondere al «tu quis es?» bisogna: primo, riconoscere coraggiosamente ciò che io non sono; secondo, incontrare l’altro nel suo ambiente e nella sua storia; terzo, avere il senso dello stupore, ossia la capacità di meravigliarsi che suscita la ricerca; quarto, essere disponibili ad andare oltre il visibile; quinto, accettare insieme anche il reale nelle sue manifestazioni meno appariscenti.
Infine, per conoscere un’altra persona bisogna essere disposti a lasciarsi mangiare per dare vita e riceverla.
La domanda «tu quis es?» coinvolge tutta la persona ed è una domanda primaria: conoscersi e conoscere significa lasciarsi attraversare e insieme condurre dall’altro.
in “Corriere della Sera” del 7 dicembre 2010
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