La verità sul preservativo

Profilattico Perché è diventato un simbolo del rapporto tra morale e sessualità di Vito Mancuso Il mondo intero si è interrogato incuriosito sulle parole di apertura di Benedetto XVI all’uso dei preservativi contenute nel libro-intervista Luce del mondo con il giornalista tedesco Peter Seewald.
L’agenzia dell’Onu per la lotta all’Aids ha applaudito, la Sala stampa vaticana ha precisato, i giornali di tutti gli orientamenti hanno lungamente commentato.
Persino a me sono arrivate telefonate dall’Italia e dalla Svizzera per prendere posizione e partecipare a pensosi dibattiti.
Ma che cosa è successo per giustificare tutto questo polverone? Siamo in presenza di una svolta reale, o di una delle tante montature mediatiche? Tanto rumore per nulla, o c’è qualcosa che invece giustifica il clamore? Qualcosa in effetti c’è, e non è di poco conto: consiste nel fatto che Benedetto XVI ha affermato che per l’uso del preservativo “vi possono essere singoli casi giustificati”.
Anzi, è arrivato a connotare il ricorso al preservativo come “il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità”.
Parole inaudite, nel senso letterale del termine perché nessuno mai le aveva udite, non solo da una mente poco incline alle aperture progressiste come quella dell’attuale papa, ma da tutti i papi precedenti.
Mai un papa, prima di queste dichiarazioni di papa Ratzinger, era arrivato a tanto.
Il che comporta anzitutto il mutamento di un principio dottrinale: d’ora in poi nei documenti del magistero e nei manuali di teologia morale non si potrà più affermare che i preservativi sono un mezzo “intrinsecamente cattivo” (vedi Humanae vitae 14 e Catechismo 2370) e quindi sempre da evitare a prescindere dai fini che si intendono perseguire.
Da oggi, chiunque tra i vescovi e i teologi sosterrà che i preservativi sono sempre e comunque cattivi, verrà per ciò stesso ad attribuire a Benedetto XVI, che in alcuni casi li ha ammessi, la morale di sapore machiavellico secondo cui i fini giustificano i mezzi.
In realtà, se ci sono casi in cui si possono  lecitamente usare, i preservativi non possono non essere leciti.
La dottrina morale della Chiesa ha registrato una piccola, timida, imbarazzata, ma al contempo chiara e significativa svolta.
Nulla di epocale, certo, il direttore della Sala stampa vaticana padre Lombardi ha ragione nel dire che le parole del papa “non sono una svolta rivoluzionaria”.
Ci vuole ben altro per compiere la salutare “rivoluzione” di cui ha urgente bisogno la morale sessuale cattolica al fine di giungere a parlare concretamente alla vita degli uomini e liberarsi dall’ipocrisia di precetti proclamati dal pulpito ma oramai largamente ignorati nelle coscienze.
La strada è ancora lunga, e chissà quanto aspra, per far sì che anche a livello di morale sessuale si introduca il rinnovamento operato nella morale sociale dal Vaticano II, e che Paolo VI impedì che avvenisse scrivendo nel 1968 l’enciclica Humanae vitae in aperto contrasto con la commissione pontificia da lui insediata espressasi a favore della liceità morale dei preservativi.
Quella decisione di Paolo VI soppresse, nel metodo prima ancora che nel merito, lo spirito del Concilio, causando la rivincita della componente conservatrice oggi perfettamente compiuta.
Tuttavia il cambiamento di direzione implicato nelle parole di Benedetto XVI è netto, e la dottrina, a meno di equilibrismi imbarazzanti, dovrà necessariamente riformularsi.
Se è vero infatti che il papa scrive che “le prospettive della Humanae vitae restano valide”, è altrettanto vero che ora ha avuto la saggezza di aggiungere che “altra cosa è trovare strade umanamente percorribili”.
Proprio così: una cosa sono i principi, un’altra cosa le strade veramente percorribili dagli uomini e dalle donne concrete alle prese con la vita  concreta.
E la morale consiste proprio in questo: nella coniugazione tra l’altezza dei principi e le strade concretamente percorribili.
È quanto insegna da sempre la dottrina del cattolicesimo, anzi secondo Tommaso d’Aquino “quanto più si scende nei particolari tanto più aumenta l’indeterminazione” (vedi Summa Theologiae I-II, q.94, a.4 co.), passo così commentato da un recente documento della Commissione Teologica Internazionale: “In morale la pura deduzione per sillogismo non è adeguata.
Quanto più il moralista affronta situazioni concrete, tanto più deve ricorrere alla sapienza dell’esperienza, un’esperienza che integra i contributi delle altre scienze e cresce al contatto con le donne e gli uomini impegnati nell’azione.
Soltanto questa saggezza dell’esperienza consente di considerare la molteplicità delle circostanze e di giungere a un orientamento sul modo di compiere ciò che è bene hic et nunc” (“Alla ricerca di un’etica universale”, paragrafo 54).
San Tommaso giunge persino a specificare che tra le due conoscenze che formano il giudizio morale, cioè i principi dottrinali da un lato e la situazione reale dall’altro, se proprio si deve privilegiare qualcosa “è  preferibile che questa sia la conoscenza dellerealtà particolari che riguardano più da vicino l’operare” (Sententia libri Ethicorum, Lib.
VI, 6).
Vale a dire: sono molto più vicini alla verità i missionari e le missionarie che incoraggiano l’uso dei preservativi, che non i teologi moralisti dei palazzi vaticani che tengono fermi i principi dottrinali ignorando la vita reale.
Ora, finalmente, anche Benedetto XVI è giunto a toccare la realtà della vita reale, ben diversamente da quando aveva affermato durante il viaggio in Africa che nella lotta all’Aids il preservativo non solo non aiuta ma peggiora la situazione.
È sperabile che da queste sue più sagge parole possa avere origine ciò che il teologo Ambrogio Valsecchi auspicava vanamente già nel lontano 1972, cioè “nuove vie dell’etica sessuale”? Anche perché, a pensarci bene, quello che è veramente clamoroso è il clamore suscitato mondialmente da queste semplici parole di buon senso del papa che rimandano all’abc del comportamento prudenziale, paragonabili a “ricordati di allacciare le cinture in macchina”, “sta attento agli scogli quando ti tuffi”, “non accettare caramelle dagli estranei”.
Ma anche questo, forse, è un segno del profondo rinnovamento di cui c’è urgente bisogno nella Chiesa cattolica e di cui la direzione era già stata indicata dal Concilio Vaticano II, ormai quasi mezzo secolo fa: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria… Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali” (Gaudium et spes 16) in “la Repubblica” del 25 novembre 2010 La maggior parte della gente è convinta che una persona infetta da HIV e che abbia rapporti sessuali debba fare uso del preservativo per proteggere il partner dall’infezione.
Indipendentemente dalle opinioni che si possono avere sulla promiscuità come stile di vita, sull’omosessualità o sulla prostituzione, quella persona almeno agisce con un certo senso di responsabilità nel cercare di evitare di trasmettere ad altri la sua infezione.
Si ritiene comunemente che la Chiesa cattolica non appoggi una tale opinione.
[…] Si crede che la Chiesa insegni che gli omosessuali sessualmente attivi e le prostitute dovrebbero evitare l’uso del preservativo, in quanto quest’ultimo sarebbe “intrinsecamente cattivo”.
Anche molti cattolici sono persuasi […] che l’uso del preservativo, anche esclusivamente diretto a prevenire l’infezione del partner, non rispetta la struttura fertile che gli atti coniugali debbono avere, non può costituire il reciproco e completo dono personale di sé e pertanto viola il sesto comandamento.
Ma questo non è un insegnamento della Chiesa cattolica.
Non c’è alcun magistero ufficiale sul preservativo, sulla pillola anti-ovulazione o sul diaframma.
Il preservativo non può essere intrinsecamente cattivo, solo le azioni umane possono esserlo.
Il preservativo non è un’azione umana, ma una cosa.
Ciò che il magistero della Chiesa cattolica designa chiaramente come “intrinsecamente cattivo” è un tipo specifico di azione umana, definito da Paolo VI nella sua enciclica “Humanae vitae” (e successivamente nel n.
2370 del Catechismo della Chiesa cattolica) come una “azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo, o come mezzo, di impedire la procreazione”.
La contraccezione è un tipo specifico di azione umana che, come tale, comprende due elementi: la volontà di prendere parte ad atti sessuali e l’intenzione di impedire la procreazione.
Un’azione contraccettiva, quindi, incorpora una scelta contraccettiva.
Come ho affermato in un articolo uscito su “Linacre Quarterly” nel 1989, “una scelta contraccettiva è la scelta di un’azione intesa ad impedire le conseguenze procreative previste di rapporti sessuali liberamente consenzienti, ed è una scelta operata proprio per questa ragione”.
Ecco perché la contraccezione, intesa come un’azione umana qualificata come “intrinsecamente cattiva” o disordinata, non è determinata da ciò che accade sul piano fisico.
Non fa alcuna differenza se una persona previene la fertilità del rapporto sessuale prendendo la pillola o interrompendo onanisticamente il rapporto.  Inoltre, la definizione appena data non differenzia tra “fare” e “astenersi dal fare”, in quanto il coito interrotto è un tipo di astensione, almeno parziale.
La definizione di atto contraccettivo non comprende quindi, ad esempio, l’uso di contraccettivi inteso a prevenire le conseguenze procreative di una violenza carnale prevista.
In una circostanza del genere, la persona violentata non sceglie di partecipare al rapporto sessuale né di prevenire una possibile conseguenza del proprio comportamento sessuale, ma si sta semplicemente difendendo da un’aggressione sul proprio corpo e dalle sue conseguenze indesiderabili.
Anche una atleta che partecipi ai Giochi Olimpici e che prenda la pillola anti-ovulazione per prevenire il ciclo mestruale non sta facendo un atto “contraccettivo”, se non ha alcuna intenzione simultanea di avere rapporti sessuali.
L’insegnamento della Chiesa non concerne il preservativo o simili strumenti fisici o chimici, ma l’amore sponsale e il significato essenzialmente sponsale della sessualità umana.
Il magistero ecclesiale afferma che, se due coniugi hanno una ragione seria per non fare figli, essi dovrebbero modificare il loro comportamento sessuale tramite l’astinenza, almeno periodica, dall’atto sessuale.
Per evitare di distruggere sia il significato unitivo sia quello procreativo dell’atto sessuale e quindi la pienezza del dono reciproco di sé, i coniugi non devono prevenire la fertilità dei rapporti sessuali, qualora ne abbiano.
Ma che dire delle persone promiscue, degli omosessuali sessualmente attivi e delle prostitute? Ciò che la Chiesa cattolica insegna loro è semplicemente che le persone non dovrebbero essere promiscue, ma fedeli a un solo partner sessuale; che la prostituzione è un comportamento gravemente lesivo della dignità dell’uomo, soprattutto della dignità della donna, e che quindi non dovrebbe essere praticata; e che gli omosessuali, come tutte le altre persone, sono figli di Dio e sono amati da lui come ogni altro, ma dovrebbero vivere in continenza come qualsiasi altra persona non sposata.
Ma se queste persone ignorano questo insegnamento, e sono a rischio di HIV, dovrebbero usare il preservativo per prevenire l’infezione? La norma morale che condanna la contraccezione come atto intrinsecamente cattivo non comprende questi casi.
Né può esservi insegnamento della Chiesa su di ciò; sarebbe semplicemente privo di senso stabilire delle norme morali per dei comportamenti intrinsecamente immorali.
Dovrebbe forse la Chiesa insegnare che uno stupratore non deve mai fare uso del preservativo, poiché altrimenti, oltre a commettere il peccato della violenza carnale, verrebbe anche meno al rispetto del dono personale di sé reciproco e completo e così violerebbe il sesto comandamento? Certo che no.
Cosa dico io, come sacerdote cattolico, a persone promiscue, o ad omosessuali, infetti da AIDS i quali usano il preservativo? Cercherò di aiutare costoro a vivere una vita sessuale morale e ben ordinata.
Ma non dirò loro di non usare il preservativo.
Semplicemente, non parlerò loro di ciò e presumerò che, qualora scelgano di avere rapporti sessuali, manterranno almeno un certo senso di responsabilità.
Con un atteggiamento del genere, rispetto in pieno l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla contraccezione.
Questo non è un appello a favore di “eccezioni” alla norma che proibisce la contraccezione.
La norma sulla contraccezione vale senza eccezioni: la scelta contraccettiva è intrinsecamente cattiva.
Ma, com’è ovvio, la norma vale solo per gli atti contraccettivi, come questi sono definiti nella “Humanae vitae”, i quali incorporano una scelta contraccettiva.
Non tutte le azioni in cui viene usato un dispositivo il quale, da un punto di vista puramente fisico, è “contraccettivo”, sono da un punto di vista morale atti contraccettivi che cadono sotto la norma insegnata dalla “Humanae vitae”.
Ugualmente, un uomo sposato che è infetto da HIV e usa il preservativo per proteggere sua moglie dall’infezione non agisce per impedire la procreazione, ma per prevenire l’infezione.
Se il concepimento è prevenuto, questo sarà un effetto collaterale (non intenzionale), e quindi non determinerà il significato morale dell’azione come un atto contraccettivo.
Possono esservi altre ragioni per ammonire contro l’uso del preservativo in un caso del genere, o per raccomandare la continenza totale, ma queste non dipenderanno dall’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, ma da ragioni pastorali o semplicemente prudenziali (il rischio, ad esempio, che il preservativo non funzioni).
Ovviamente, quest’ultimo ragionamento non si applica alle persone promiscue, perché, anche se i preservativi non sempre funzionano, il loro uso aiuterà comunque a ridurre le conseguenze negative di comportamenti moralmente cattivi.
Fermare l’epidemia mondiale di AIDS non è una questione concernente la moralità dell’uso del preservativo, ma piuttosto la maniera di prevenire efficacemente una situazione in cui le persone provocano conseguenze disastrose con il loro comportamento sessuale immorale.
Papa Giovanni Paolo II ha ripetutamente insistito che la promozione dell’uso del preservativo non è una soluzione a questo problema in quanto ritiene che non risolva il problema morale della promiscuità.
Se, in generale, le campagne che promuovono l’uso del preservativo incoraggino comportamenti rischiosi e peggiorino l’epidemia mondiale di Aids è una questione decidibile sulla base di evidenze statistiche non sempre facilmente accessibili.
Che riducano, a breve termine, i tassi di trasmissione entro gruppi altamente infettivi come prostitute ed omosessuali, è impossibile negare.
Se possano diminuire i tassi di infezione fra popolazioni promiscue “sessualmente liberate” o, al contrario, incoraggiare comportamenti a rischio, dipende da molti fattori.
Nei paesi africani le campagne anti-AIDS basate sull’uso del preservativo sono generalmente inefficaci, in parte perché per l’uomo africano la mascolinità è tradizionalmente espressa dalla procreazione del massimo numero di figli possibile.
Per il maschio africano tradizionale il preservativo trasforma il sesso in un’attività priva di significato.
Questa è la ragione per cui – e ciò costituisce una prova notevole a favore dell’argomento del papa – fra i pochi programmi efficaci in Africa c’è quello dell’Uganda.
Benché non escluda il preservativo, questo programma incoraggia un cambiamento positivo nel comportamento sessuale (fedeltà ed astinenza), differenziandosi così dalle campagne per il preservativo, le quali contribuiscono ad oscurare o anche a distruggere il significato dell’amore umano.
Le campagne che promuovono l’astinenza e la fedeltà sono in definitiva l’unico mezzo efficace per combattere l’AIDS a lungo termine.
Non c’è quindi alcuna ragione per cui la Chiesa debba considerare le campagne che promuovono il preservativo come utili per il futuro della società umana.
Ma la Chiesa non può neanche insegnare che chi partecipa a stili di vita immorali dovrebbe astenersi dall’uso del preservativo.
(Da “The Tablet”, 10 luglio 2004, traduzione di Paolo Baracchi).
__________  25 novembre 2010 Sulle parole di Benedetto XVI sull’omosessualità .
Quando l’esercizio della legge manca del cuore
di Nuova Proposta del 23 novembre 2010 “Come definire “moralmente ingiusta” la vita e l’orientamento sessuale di un essere vivente? E come non leggere tra le parole “L’omosessualità non è conciliabile con il ministero sacerdotale, perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso” una demarcazione netta tra condizione omosessuale e eterosessuale, come se il celibato nel primo caso non possa essere serenamente scelto e agito?” Profilattico Perché è diventato un simbolo del rapporto tra morale e sessualità di Vito Mancuso in la Repubblica del 25 novembre 2010 “quello che è veramente clamoroso è il clamore suscitato mondialmente da queste semplici parole di buon senso del papa che rimandano all’abc del comportamento prudenziale…
Ma anche questo, forse, è un segno del profondo rinnovamento di cui c’è urgente bisogno nella Chiesa cattolica e di cui la direzione era già stata indicata dal Concilio Vaticano II, ormai quasi mezzo secolo fa: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria…
Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali” (Gaudium et spes 16)” 23 novembre 2010 Benedetto XVI e il preservativo: una rivoluzione? di Jérôme Anciberro in www.temoignagechretien.fr del 22 novembre 2010 (nostra traduzione) “Non è la prima volta che un’autorità cattolica romana sostiene l’idea secondo la quale il preservativo sarebbe il male minore in certe circostanze ben precise…
Allora, niente di nuovo sotto il sole? Nei contenuti, senza dubbio.
Nella forma, le cose sono più complesse.
Perché è vero che il magistero cattolico fino ad oggi teneva conto dei famosi casi eccezionali che giustificavano l’uso del preservativo, ma evitava di parlarne” 22 novembre 2010 Evoluzione storica di Benedetto XVI sul preservativo di Stéphanie Le Bars in Le Monde del 23 novembre 2010 (nostra traduzione) “il papa ricorda anche tutto il bene che pensa dell’Humanae vitae e della visione “profetica” del suo autore, papa Paolo VI.
“Le prospettive delineate in ‘Humanae vitae’ restano valide”.
“Ma, riconosce tuttavia Benedetto XVI con lucidità, altra cosa è trovare strade umanamente percorribili.” I fedeli cattolici ne sanno qualcosa, da quarantadue anni.” Il papa, la sessualità e le leggi della Chiesa di Editoriale in Le Monde del 23 novembre 2010 (nostra traduzione) “Se le dichiarazioni fatte da Benedetto XVI nel suo libro fossero il segno precursore di una evoluzione in profondità, servirebbero la causa della Chiesa, oggi e domani.” Il profilattico e i preti obiettori se la salute vince sulla dottrina di Rosalba Castelletti in la Repubblica del 22 novembre 2010 “Nell’attesa di un’apertura più netta, molti prelati e missionari continuano a richiamare la posizione espressa anche da vari autorevoli teologi, da Georges Cottier, teologo emerito di Papa Wojtyla, a Paul Cordes e al cardinale Carlo Maria Martini: qualora in una coppia un partner sia sieropositivo e rischi di contagiare la moglie e di trasmettere il virus ai figli, l’uso del preservativo è il “male minore”” 21 novembre 2010 «Il suo è realismo La dottrina resta contraria» intervista a Giovanni Maria Vian a cura di Gian Guido Vecchi in Corriere della Sera del 21 novembre 2010 «La Chiesa e Joseph Ratzinger soffrono pregiudizi tenaci.
Questo libro, come i suoi precedenti, serve a scardinarli, e del resto basterebbe seguire il suo magistero” (ndr.:quest’oggi la stampa italiana dedica, con grande evidenza, molto spazio al libro intervista dell’attuale papa, e in particolare alla liceità dell’uso del profilattico in certi casi.
E’ davvero siderale la distanza esistente tra ciò che sostiene il magistero su alcuni temi e quanto recepisce la coscienza di molti credenti.
Si rischia di confondere la radicalità evangelica con la proibizione della contraccezione artificiale.
Saremo giudicati non sulle tecniche ma sull’amore, unico valore davvero non negoziabile) «Ora è più pastore Ha affrontato un grande male» di Andrea Galli in Corriere della Sera del 21 novembre 2010 “vicino a Cristo ci sono state straordinarie figure femminili, con le quali egli stesso ha avuto anche legami profondi; ma come apostoli si è scelto degli uomini..” (ndr.: Adriana Zarri avrebbe aggiunto: Gesù come apostoli si è scelto uomini ebrei…
quindi i preti devono essere ebrei?) “E’ un atto di carità La dottrina resta intatta” intervista a Vittorio Messori a cura di Giacomo Galeazzi in La Stampa del 21 novembre 2010 “Il celibato, il no alla contraccezione, la povertà, la castità e l’obbedienza degli ordini religiosi sono da denuncia all’Onu o da Amnesty International se non le si inquadra in una prospettiva cristiana.” (ndr.: ed io che pensavo che la povertà, intesa come condivisione, la castità, come purezza di intenzioni, l’obbedienza come adesione alla voce dello spirito che risuona nella coscienza fossero profondamente umanizzanti e liberanti per tutti…) Il significato di un passo di Luigi Accattoli in Corriere della Sera del 21 novembre 2010 “Si potrà inquadrare meglio la sua «apertura» quando si potrà leggere tutto il volume, del quale martedì sarò uno dei presentatori nella Sala stampa Vaticana.” Un principio in discussione di Franco Garelli in La Stampa del 21 novembre 2010 “…con il venir meno del principio dell’ «intrinsecamente cattivo» potrebbe affermarsi l’idea che sia legittimo utilizzare il profilattico anche in casi diversi.
In altri termini, l’ammissione di un’eccezione pare mettere in discussione la radicalità del principio e prefigurare che anche in altre situazioni si possa derogare dalle indicazioni dell’Humanae Vitae.” Il pastore tedesco e la modernità di Giancarlo Zizola in la Repubblica del 21 novembre 2010 “Il Papa prosegue dunque a servire il ruolo umanistico delle grandi figure papali del Novecento, la premura per le sorti della Terra, e non solo del Cielo, svolta da Roncalli, Montini, Wojtyla.
E ridefinisce il suo antico contenzioso con la modernità assumendolo nello stesso paradigma della costituzione conciliare sulla Chiesa e il mondo: il paradigma della compagna di viaggio di uomini e donne in ricerca dell´Assoluto, ne siano o meno coscienti.” Papa Ratzinger tra burqa e presevativo di Marco Politi in il Fatto Quotidiano del 21 novembre 2010 “Il libro di Seewald tocca tantissimi temi, anche perché è stato volutamente pensato come modo per riparare ai danni delle crisi mediatiche, succedutesi nei cinque anni di pontificato ratzingeriano” “è la prima volta che un pontefice fa marcia indietro sulla sistematica demonizzazione del preservativo”

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