«I bambini sono come la creta: duttili, capaci di assumere forme diverse, di adeguarsi a ogni circostanza.
Ho letto alcune testimonianze incredibili.
Pare che riuscissero a ridere anche nei treni che li portavano ad Auschwitz, “forse ci portano al mare” pensavano».
Uno di questi bambini, una mattina d’autunno del 1943 (era il 16 ottobre) fu costretto da alcuni uomini con una strana divisa a uscire di casa e scendere in strada.
Quegli strani personaggi urlavano tutti.
Lo fecero salire su dei grandi camion militari.
Con lui, oltre al padre e alle sorelle più grandi, altri 200 bambini: in totale furono 1022 gli ebrei deportati dal ghetto di Roma quella mattina di 67 anni fa.
Di tutti loro, giunti ad Auschwitz il 22 ottobre, ne sarebbero tornati anni dopo a Roma soltanto 17: tra questi una donna e nessun bambino.
Marco nella fretta riuscì a portare con sé una sola cosa dalla sua casa: un piccolo panetto di creta raccolto in classe il giorno prima.
Quel pezzettino di terra morbida da lavorare con le mani sarebbe diventato il suo miglior amico dentro la fabbrica nera dell’omino dalla divisa unta.
Sarebbe diventato Jacob, il bambino di creta.
E’ questo il titolo del nuovo libro di Andrea Salvatici, scrittore-poeta-educatore nonché l’ autore scelto da Einaudi per pubblicare una favola non semplice.
«Ero a Tel Aviv durante lo Shabbat, in un luogo pieno di bambini festanti ed ebbi come un brivido lungo la schiena.
Cosa succederebbe ora se arrivassero i nazisti? Se mi trovassi a Roma nel 1943? Alcuni giorni prima avevo conosciuto nella comunità dove lavoro a Milano un bambino meraviglioso: ha una malattia grave che gli impedisce di crescere.
Tutte queste cose insieme mi hanno fatto pensare a una favola che raccontasse i pensieri e le fantasie di tutti quei piccoli esseri umani che non sono mai tornati dai campi di concentramento.
Quali saranno stati i loro pensieri? Quanto li avrà aiutati la fantasia in quei momenti tragici?».
Salvatici ha cominciato a scrivere questa storia appena rientrato da Israele, pubblicandola a puntate sul blog “Il posto delle favole” che, da oltre due anni, tiene sul sito del Corriere della Sera.
L’ultima puntata è uscita per il giorno della memoria, il 27 gennaio scorso.
Orietta Fatucci, che dirige la collana “Storie e Rime” dell’Einaudi Ragazzi l’ha letta, ne è rimasta colpita ed ha deciso di pubblicarla in tempi brevissimi (il romanzo è nelle librerie).
Una storia nella storia.
L’Olocausto visto dagli occhi di un bambino si trasforma in un viaggio fantastico fatto diallegorie in cui il male affiora di tanto in tanto in lontananza.
Il piccolo Jacob è accompagnato da una strana accozzaglia di personaggi: una stella guarita da un grillo, una fata cimosa, una talpa studiosa, un orso vegetariano, una balena innamorata di un faro, gamberetti accordatori, alberi da frutta yo yo che distribuiscono fantasia e altri personaggi.
Nascosta nel suo zaninetto, l’arma letale contro il perfido e mediocre generale Exametron, padrone della fabbrica nera che mangia bambini di carne e di creta: la filastrocca del bosco.
Exametron la vuole rubare a tutti i costi perché lo fa tanto arrabbiare e sfugge al suo controllo.
Dice così: «Stecca di vaniglia, anice stellato/ grilli felici su questo prato/ torni il sorriso di zucchero filato/ a tutti i bambini dietro il filo spinato».
Se Jacob riuscirà a liberare o no il suo amico Marco dipende solo dalla scelta emozionale del lettore.
<Non si può pensare a un lieto fine per un episodio che ha prodotto troppo, troppo dolore> afferma Salvatici.
Consola forse immaginare, leggendo tra le righe di questo racconto onirico, che solo la fantasia – magari sotto forma di un piccolo pezzetto di creta – abbia permesso ai troppi bambini che hanno avuto la sorte di Marco di non sopravvivere ma continuare a vivere (e magari anche sorridere) dentro «il campo del filo di ferro» durante quella assurda e tragica follia dell’umanità che è stata l’Olocausto.
Iacopo Gori
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