Il viaggio di Benedetto XVI in Spagna sembrava una combinazione occasionale tra due inviti.
Invece è stato un messaggio unitario: la visita alle due Spagne (quella cattolica e quella moderna e laica).
Santiago rappresenta la prima.
Barcellona, città europea in sviluppo e di grande turismo, esprime la Spagna laica.
Le due Spagne si fronteggiano sulla visione del futuro, sulla famiglia, sulla religione.
Dietro di loro sta la memoria della guerra civile.
Nel sistema politico spagnolo o vince l’una o l’altra.
La sfida è irriducibile e più profonda della politica.
In aereo, il Papa ha definito la Spagna come «Paese originario del cristianesimo».
Ma ha aggiunto correttamente: «In Spagna è nata anche una laicità, un secolarismo, forte e aggressivo, come abbiamo visto negli anni Trenta».
Il Papa non si è gettato nel conflitto.
Non ha nemmeno adattato irenicamente il suo messaggio.
Ha confermato però il passo lieve, non incerto, con cui venne a Valencia nel 2006, quando Zapatero era quasi agli inizi.
Si è presentato con ingenuità sapiente.
Sa che «questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna».
Eppure gli europei — come diceva Benedetto Croce — non possono non dirsi cristiani; ma sono anche figli di una storia «laica».
Per Benedetto XVI la tragedia europea è «la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della libertà», ha detto.
Di questo antagonismo il Papa misura tutta la profondità culturale, antropologica e politica.
Con ingenuità, non da antagonista, ha parlato della bellezza del cristianesimo.
Lo ha fatto con un modo che sfugge all’ autoreferenzialità di tanti discorsi ecclesiastici in Europa, incapaci di superare le soglie delle chiese.
Proprio nella moderna Barcellona, la città spagnola più lanciatasi dopo il franchismo nella sfida della crescita, è venuto in aiuto al Papa il genio laico e credente di Antoni Gaudí.
Il grande architetto catalano ha gettato le basi del più importante monumento religioso dell’Europa contemporanea, la Sagrada Familia.
Morto nel 1926, ha lasciato alle generazioni successive l’impegno di completare una chiesa che, a un pensiero utilitaristico, appariva interminabile e grandiosa.
Fortunatamente la passione catalana ha perseverato nella costruzione.
Benedetto XVI ha individuato nell’opera «carismatica» di Gaudí il superamento della «scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana… tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza».
La basilica parla della Sacra Famiglia, tema caro ai cattolici per la difesa della famiglia, ma anche emblematico per esprimere i legami nella comunità nazionale e tra i popoli.
Benedetto XVI ha invitato a difendere famiglia, vita, natalità.
Ha chiesto «che in questa terra catalana si moltiplichino e consolidino nuovi testimoni di santità».
Anche all’autonoma Catalogna ha additato un futuro cristiano.
Benedetto XVI non vuole adattare la Chiesa all’agenda della modernità.
Ma non ci si può solo combattere.
In qualche modo bisogna varcare le frontiere e compenetrarsi.
Non è storia di un giorno o un accordo politico.
Il «grande disegno» di papa Ratzinger sembra come la Sagrada Familia, iniziata nel 1883: non solo per i tempi lunghi della costruzione, ma per la convinzione che la bellezza sia decisiva nel cristianesimo.
L’idea di bellezza parla di una Chiesa non minimalista e alla rincorsa dei tempi, ma nemmeno arcigna e antagonista.
Nel quadro solenne della consacrazione della chiesa, Benedetto XVI è stato chiaro: «Questo è il grande compito, mostrare a tutti che Dio è Dio di pace e non di violenza, di libertà e non di costrizione, di concordia e non di discordia».
La Chiesa dev’essere bella, come la Sagrada Familia, «in un’epoca in cui — ha detto — l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli».
C’è un messaggio al mondo, ma ce n’è un altro esigente per la Chiesa: che sia «icona della bellezza divina».
Sono due sfide in una Spagna divisa in due, per un Papa tenace.
in “Corriere della Sera” dell’8 novembre 2010
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