L’intervista “Ho iniziato a guardare Gaudí per imparare ad essere uno scultore, finché ho capito che per raggiungerlo dovevo guardare dove guardava lui” spiega Etsuro Sotoo, lo scultore giapponese che dal 1978 lavora alla Sagrada Familia.
Ha completato la facciata della Natività, l’unica costruita in vita dall’artista e, guardando dove guardava il maestro, ha abbracciato la fede cattolica.
Questa intervista per “L’Osservatore Romano” ci permette di conoscere dalla voce di uno dei suoi protagonisti, la vita di questo tempio in costruzione, gioiello dell’architettura mondiale ed espressione preziosa della fede nel terzo millennio.
Come è arrivato alla Sagrada Familia? Nel 1977, appena laureato in Belle Arti dall’università di Kyoto, insegnavo arte in sei scuole di Osaka e Kyoto.
Costretto a spostarmi da un posto all’altro, non avevo tempo per la scultura.
Un giorno, mentre stavo mangiando un panino in macchina fermo ad un semaforo, ho visto un operaio che montava sul cordolo del marciapiede dei pezzi di pietra.
Quell’episodio è stato un capovolgimento nella mia vita; sentivo una chiamata particolare dalla pietra, che mi rubava l’anima e mi costringeva a cambiare direzione.
Qualunque oggetto in pietra mi attirava.
Ho deciso di lasciare l’insegnamento e di cercare un luogo dove dominasse una “cultura scolpita nella pietra”.
Andai in Europa.
Quando sono arrivato a Barcellona e ho visto la Sagrada Familia per la prima volta mi ha fortemente attratto.
Volevo lavorare in quel posto! L’allora direttore dei lavori, Isidre Puig Boada, mi ha fatto fare una prova e mi hanno assunto.
Desideravo conoscere a fondo quel maestro dell’architettura che lavorava la pietra in modo così affascinante.
Come è cresciuta questa conoscenza lungo questi 32 anni? Ho conosciuto poco a poco Gaudí realizzando sculture, cercando, chiedendomi il significato delle cose.
Il primo lavoro che feci fu il coronamento delle mura dell’abside, i pinnacoli.
Dovevo costruire una ringhiera di foglie.
Secondo i miei calcoli, il muro avrebbe dovuto avere lo spessore di un centimetro, che a me sembrava troppo poco.
Ho dovuto affrontare due problemi: una struttura così sottile era troppo debole e dovevo decidere dove collocare le foglie.
Avevo appena iniziato ed ero totalmente inesperto sul senso del simbolismo.
Osservando i pinnacoli fatti in vita da Gaudí trovai la soluzione: collocare le foglie nei punti deboli della struttura, in modo che venisse rinforzata.
Questo fu il mio primo incontro con lui, perché Gaudí sempre cercava un’unica soluzione a diversi problemi, sintetizzando in una forma la struttura, il simbolismo e la funzione.
Con l’espressione estetica dei frutti e delle foglie ci parla di come la Parola di Dio accompagna la storia degli uomini: i frutti nascono grazie alla luce del sole che arriva alle foglie di ogni pianta.
Più tardi ha scolpito gli scudi che sorreggono i finestroni.
Gaudí volle raffigurare in queste pietre le iniziali JMJ (Jesús, María, José).
Come ha impostato la loro realizzazione? Non esistevano disegni di questi scudi, ho dovuto inventarli.
Per esempio, per lo scudo dedicato alla carpenteria ho deciso di rappresentare gli arnesi, ma disordinati, con i trucioli.
Volevo riflettere l’ambiente reale di ogni mestiere, qual- cosa di vivo.
Questo l’ho imparato da Gaudí: non inventava niente, usava modelli esistenti e cercava sempre di plasmare un momento della vita.
Nel 1980 Puig Boada le chiese di restaurare il Portale del Rosario, distrutto nel 1936, durante la guerra civile.
È l’unico portale di accesso al chiostro che l’architetto fece in vita: con esso voleva indicare come dovevano essere gli altri.
Come ha affrontato questo compito? Presiedono il portale l’immagine della Madonna con Gesù Bambino in braccio e le immagini di santa Caterina da Siena e di san Domenico di Guzman ai lati.
Il Portale del Rosario è anche conosciuto come “la cappella delle tentazioni”, poiché a destra e sinistra sono rappresentate le tentazioni del potere e del denaro.
Sulla destra del Portale, guardando verso l’immagine della Madonna, Gaudí collocò la scultura di un anarchico, simbolo della tentazione del potere.
Dietro di lui, un lucertolone con la bocca aperta, raffigurante il demonio, lo induce alla violenza.
Ho dovuto rifarla perché era distrutta.
Gaudí ci invita – è uno dei suoi “testamenti” – a porci delle domande sul bene e sul male.
Mi sono chiesto il perché di quella figura ed ho immaginato una storia.
Il demonio gli dice: “Tu lavori più di dieci ore al giorno e non riesci a mangiare, ma c’è gente che senza lavorare, mangia e vive bene.
Non è giusto! Prendi questa bomba e distruggi questo mondo per costruirne un altro”.
È la tentazione di voler cambiare la società usando la violenza.
Gaudí ha sofferto su di sé le conseguenze di questa violenza, poiché la donna che amava è morta al Teatro del Liceu di Barcellona a causa di una bomba.
Rappresentò la tentazione di conquistare il potere con la violenza in questa piccola scultura, senza rancore, senza odio.
Il lavoratore tocca la bomba soltanto con il mignolo e guarda verso la Madonna come se si chiedesse “faccio bene o faccio male?”.
Gaudí ci rende coscienti del fatto che la nostra libertà decide.
Di fronte a tutte le tentazioni c’è una possibilità più umana, che ci salva dalla tentazione: l’umiltà è lo scudo più forte.
Nel 1983 Puig Boada le chiese di realizzare la sua prima scultura per la facciata della Natività (per mancanza di fondi, solo una): la figura di un angelo intento a suonare uno strumento.
Poi le affidarono anche le sculture dei bambini del coro, che completano la Facciata della Natività.
Era un compito difficile perché mancavano i dati di riferimento, neppure era chiaro il numero dei bambini da collocare.
Nelle fotografie che ho trovato non c’era nessun gruppo completo.
Ho deciso di farne nove perché nella facciata della Natività tutto gira intorno alla Sacra Famiglia, tre persone; quindi le figure che li lodano e li adorano dovevano essere multipli di tre: sei angeli che suonano strumenti musicali, nove angeli che cantano il Gloria in excelsis Deo e così via.
Quando avevo finito l’opera ed era già stata collocata, nell’ultimo Natale del ventesimo secolo, sono state ritrovate delle fotografie (appartenenti all’architetto Sugrañes, discepolo di Gaudí) di modelli completi di questi bambini del coro.
Erano nove! La mia intuizione, cercando di seguirlo, si è rivelata giusta.
Una volta individuato il numero delle figure, ciò che ho curato di più nella rappresentazione di questi bambini è stata la naturalità e la vita, che i bambini esprimono più di tutti, perché non fingono, sono spontanei.
Se vogliono cantare, cantano.
Ho immaginato che in quel momento uno dei bambini avesse voglia di accarezzare Gesù Bambino e l’ho rappresentato cercando di scendere verso il Bambino, cantando.
Una bambina più grande lo prende dalla spalla; anche lei continua a cantare, ma ha l’aria di dirgli: “Non scendere”.
Le figure hanno movimento, sorridono.
Attraverso Gaudí è arrivato al “Maestro interiore”.
Lavorando alla Sagrada Familia ho iniziato a sentire un profondo bisogno di conoscere il senso del simbolismo cattolico che mi trasmetteva, poiché le sue idee architettoniche nascono dalla sua fede.
Con un amico architetto, José Manuel Almuzara, abbiamo iniziato ad incontrarci assiduamente per studiare i suoi insegnamenti attraverso la sua opera, il simbolismo delle sue forme e figure, leggendo attentamente sia i testi biblici sia i commenti ed i testi dei collaboratori.
Durante un viaggio in aereo ho notato una donna con un bambino in braccio e mi sono commosso vedendo l’amore con cui lo curava.
Ho pensato: “Se questo è l’amore umano, cosa non sarà l’amore divino?”.
Fu la spinta di cui avevo bisogno: volevo ricevere il Battesimo per essere partecipe di questo amore.
(©L’Osservatore Romano – 7 novembre 2010)
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