XXX II Domenica Tempo Ordinario Anno C

Preghiere e Racconti   Fede nella vita oltre la morte Col tempo imparai a conoscere la Bibbia, e oggi mi considero una cristiana.
[…] In linea con san Paolo, credo che dopo la nostra morte corporea risorgeremo con un “corpo spirituale” in un’altra dimensione rispetto a quella fisica in cui viviamo adesso.
[…] O, per dirla con san Paolo: “Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste resurrezione dei morti? Se non esiste resurrezione dei morti, neanche Cristo è resuscitato.
Ma se Cristo non è resuscitato, allora è vana la vostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”.
 Io che ero entrata in crisi e avevo pianto amaramente pensando che ci fosse solo questa terrena.
Io che per alleviare questa sofferenza mi infilai nel maggiolone per andare a sciare sul ghiaccio di Jostedal.
Io che avevo sempre sofferto così tanto perché mai e poi mai mi sarei saziata di vita.
Io, improvvisamente, avevo trovato la strada verso una rassicurante fede nella vita oltre la morte.
(Jostein GAARDER, Il castello dei Pirenei, Longanesi, Milano, 2009, 215-216).
Dio dei padri, Dio dei viventi II nostro Signore e maestro nella risposta ai sadducei, i quali affermavano che non vi è resurrezione e per questo disonoravano Dio e sminuivano la Legge, dimostrò la resurrezione e fece conoscere Dio.
Disse infatti: A proposito della resurrezione dei morti non avete letto ciò che è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? (Mt 22,31-32), e aggiunse: Non è il Dio dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui (Lc 20,38).
Con queste parole rese assolutamente manifesto che colui che parlò a Mosè dal roveto e dichiarò di essere il Dio dei padri è il Dio dei viventi.
Ora, chi è il Dio dei vivi se non colui che è Dio e al di sopra del quale non vi è altro Dio? […] Colui che è adorato dai profeti è il Dio vivente, è il Dio dei viventi, e il suo Verbo ha parlato a Mosè, ha rimproverato i sadducei, ha donato la resurrezione, mostrando a quei ciechi due cose: la resurrezione e Dio.
Se infatti Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi e se è detto Dio dei padri che si sono addormentati, certamente vivono per Dio e non sono morti essendo figli della resurrezione (Lc 20,36).
Proprio per insegnare questa stessa cosa diceva ai giudei: Il vostro padre Abramo esultò per vedere il mio giorno, lo vide e si rallegrò ( Gv 8,56).
Che cosa significa questo? Abramo credette a Dio e gli fu imputato a giustizia (Rm 4,3).
Innanzitutto credette che egli è il creatore del cielo e della terra, il solo Dio; poi, che avrebbe reso la sua posterità come le stelle del cielo (cfr.
Gen 15,5) e questo è ciò che è detto da Paolo [quando scrive: dovete risplendere] come astri nel mondo (Fil 2,15).
Giustamente, dunque, Abramo, dopo aver lasciato la sua parentela terrena, seguiva il Verbo di Dio, facendosi straniero con il Verbo per dimorare con il Verbo.
Giustamente anche gli apostoli che discendevano da Abramo, lasciata la barca e il padre, seguivano il Verbo.
Giustamente anche noi, che abbiamo la stessa fede di Abramo, presa la croce come Isacco prese la legna, seguiamo lui.
In Abramo l’uomo aveva imparato già da prima a seguire il Verbo di Dio.
(IRENEO DI LIONE, Contro le eresie 4, 5,2-5, SC 100, pp.
428-434).
La passione e risurrezione di Gesù sono il nucleo centrale della ‘buona novella’ La passione e risurrezione di Gesù sono il nucleo centrale della ‘buona novella’ che i discepoli di Gesù volevano annunciare al mondo.
Gesù è il Signore che ha patito, è morto, fu sepolto e il terzo giorno è risorto.
Era un annuncio che tutti dovevano conoscere: era la ‘lieta notizia’, e lo è ancor oggi.
Si può dire che tutto ciò che i vangeli dicono di Gesù mira a far risaltare il pieno significato della sua passione, morte e risurrezione.
Il vangelo è, prima e più di tutto, il racconto della morte e risurrezione di Gesù, che costituisce il cuore della vita spirituale.
Passione, morte e risurrezione di Gesù rappresenta l’avvenimento fondamentale e più importante di tutta la storia umana.
Se non riesci a sentirlo e a vederlo, allora il vangelo, nel migliore dei casi, potrà sembrarti interessante, ma non potrà rinnovarti il cuore e farti rinascere a vita nuova.
E il vangelo mira appunto a questa rinascita – a una liberazione radicale che ci sottrae al potere della morte e ci permette di amare senza paura.
Quale atteggiamento davanti alla sofferenza e alla morte? La croce non è solo un bell’oggetto artistico per decorare i salotti e i ristoranti di Friburgo, ma è anche il segno della trasformazione più radicale nel nostro modo di pensare, sentire e vivere.
La morte di Gesù in croce ha cambiato tutto.
Qual è la reazione umana più spontanea davanti alla sofferenza e alla morte? Per conto mio, sarei portato istintivamente a impedire, evitare, negare, fuggire, star lontano e ignorare il soffrire e il morire.
È una reazione che indica che queste due realtà non si accordano col nostro programma di vita.
Per la maggior parte della gente, sono proprio questi i due nemici principali della vita.
Ci sembra davvero ingiusto che esistano, e ci sentiamo obbligati a cercare in un modo o nell’altro di tenerli sotto controllo come meglio possiamo; se poi non ci riusciamo subito, vuol dire che ci sforzeremo di fare meglio un’altra volta.
Ci sono dei malati che capiscono ben poco la loro malattia, e spesso muoiono senza mai aver pensato sul serio alla morte.
L’anno scorso un mio amico morì di cancro.
Sei mesi prima di morire era già evidente che non gli restava molto da vivere.
Gli facevano tante iniezioni, fleboclisi e cose del genere che si aveva l’impressione che lo si volesse tenere in vita a ogni costo.
Non voglio dire che si facesse male a cercare di guarirlo: voglio dire piuttosto che s’impiegava tanto tempo a tenerlo in vita che non ne restava più per prepararlo alla morte.
Il risultato logico di questa situazione è che ci curiamo ben poco dei defunti.
Non facciamo molto per ricordarli, cioè per associarli alla nostra vita interiore.
Ben diverso era l’atteggiamento di Gesù verso la sofferenza e la morte.
Egli infatti guardava queste realtà bene in faccia e a occhi aperti.
Anzi, la sua vita intera fu una consapevole preparazione alla morte.
Gesù non esalta la sofferenza e la morte come cose che dobbiamo desiderare, ma ne parla come di cose che non dobbiamo rigettare, evitare o ignorare.
(H.J.M.
NOUWEN, Lettere a un giovane sulla vita spirituale, Brescia, Queriniana, 72008, 26-29).
L’anima soffre e anela al Signore Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua risurrezione.
Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza hanno murato gli uomini vivi.
Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente di chi piange.
Concedi, a chi non crede in te, di comprendere che la tua Pasqua è l’unica forza della storia perennemente eversiva.
E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini.
(Don Tonino Bello) La morte Infine, vi è un luogo dello Spirito del quale vi dirò molto poco, perché non ne abbiamo alcuna esperienza diretta.
Eppure è importante: forse è il più importante di tutti.
È la morte, in cui ogni cosa ci è consegnata all’improvviso, come un frutto maturo che ci attende al termine di una lunga iniziazione, un lungo esercizio.
Riguardo a questo luogo, se è vero che noi non siamo ora in condizione di rendere testimonianza all’attività dello Spirito che in quel momento ha luogo, sarebbe forse interessante studiare e analizzare le preziose testimonianze dei morenti.
Forse è grazie a loro che ci sarà dato di scoprire i veri criteri dell’esperienza spirituale.
(Tratto da A.
Louf, La vita spirituale, Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano, 2001, pp.
9-20).
La morte è sempre puntuale C’è un’altra storia non troppo simpatica, che ha per protagonista un tale di nome Omar.
Sembra proprio si tratti del nostro vecchio amico Datu Omar che abbiamo lasciato qualche pagina fa mentre piangeva per la scomparsa della sua moglie e domandava ad Allah di salvargli la bambina che stava morendo.
Ebbene lo ritroviamo qualche tempo dopo, solo e ancora più disperato di prima.
Anche la ricchezza lo aveva abbandonato e con la ricchezza, si sa, se ne vanno via subito anche gli amici.
Decise allora che era preferibile per lui lasciarsi ghermire dalla morte.
Perciò si avvicinò alla riva di un largo fiume, pieno zeppo di coccodrilli che lo aspettavano a fauci spalancate.
Omar lanciò un grido per attirare l’attenzione su di sé e si tuffò proprio in mezzo al fiume.
Ma i coccodrilli invece di sbranarlo, si allontanarono subito da lui che cercava in tutti i modi, anche tirandoli per la coda, di farsi divorare.
In breve nel fiume rimase solo lui mentre i coccodrilli si erano tutti ritirati sulla terra ferma, dentro una caverna.
Ritornò inzuppato e deluso in paese e prima di entrare nella sua capanna, diede uno sguardo al cielo.
Esso si stava ammantando di grosse nuvole nere ed il vento stava annunciando l’arrivo di un disastroso tifone.
“Bene, bene! Il tifone getterà a terra chissà quanti alberi della foresta, pensò Omar,  è meglio che mi addentri e aspetti che qualche albero mi cada addosso e così potrò morire”.
Detto, fatto.
Scelse l’albero dal tronco più grosso ma con le radici ormai a fior di terra.
Bastava un soffio per gettarlo giù.
Si scatenò il temporale, caddero fulmini e saette e quasi tutti gli alberi accanto ad Omar furono abbattuti, eccetto proprio l’albero vicino al quale si era preparato a morire.
“Non mi vuole nessuno, neanche la morte!” pensò rassegnato Omar.
Quand’ecco accanto a lui apparve uno straniero vestito di una lunga tunica gialla e con il capo coperto da un turbante giallo con le frange orlate di nero.
“Perché ti trovi così, in mezzo alla foresta, tutto bagnato e con i vestiti a brandelli? Chiese il nuovo arrivato”.
“Sto aspettando la morte, rispose Omar,  perché la morte è per me più dolce della vita”.
“Non è ancora arrivato per te il momento di morire  replicò lo straniero  alzati e va a lavorare e cerca di essere felice della tua vita”.
Omar si alzò e seguì il nuovo amico che lo condusse fuori dalla foresta.
Quale fu la sua sorpresa quando vide aprirsi davanti al suo sguardo una bellissima campagna.
Vicino al sentiero erano allineate molte capanne leggiadre ed ordinate e davanti ad esse erano sedute tante ragazze che chiacchieravano in fraterna conversazione e cantavano e sorridevano.
I bambini stavano giocando sui prati trapuntati di fiori, mentre gli uomini lavoravano la terra e molte donne stavano preparando succulenti pranzetti.
Ritrovò la sua capanna: era diversa, più bella, più ariosa.
Mentre egli salutava tutta quella gente, provò una gioia ed una serenità del tutto nuove, e così, dopo tanti anni, finalmente il sorriso gli rifiorì sulle labbra.
Tutti gli volevano bene e lo stimavano molto per la bravura nel saper catturare gli animali selvatici della vicina foresta.
Anzi lo vollero eleggere loro capo e vollero donargli come futura sposa la più bella ragazza del villaggio.
Come era bello vivere, adesso.
Alcuni mesi più tardi però, mentre stava dormendo sentì qualcuno bussare alla porta della sua capanna.
Si alzò, accese la lampada e prese anche un coltello per maggior sicurezza.
Poi aprì la porta e con grande sorpresa si vide davanti lo strano personaggio vestito di giallo, con il turbante dorato con le frange nere.
“Omar, adesso sì che è arrivata la tua ora.
Vieni con me!” “La mia ora? Di quale ora stai parlando”.
“La tua ora è arrivata, vieni con me!” la voce dello straniero ora aveva un suono lugubre come il rumore di una pietra che cade in fondo al pozzo.
Omar chiuse subito la porta gridando: “Vattene via, io non ti conosco”.
Ma insistente, l’altro continuò: “L’ora della tua morte è arrivata”.
“No, no, è bello vivere, lasciami in pace” gridò tutto sudato il nostro Omar dall’interno della buia capanna.
La lampada infatti gli era caduta a terra e la fiamma si era spenta.
Tutto attorno a lui parlava di tenebre e di terrore.
“Lasciami un altro mese, per piacere!” supplicò.
“E va bene, tornerò tra un mese”.
Si sentirono distintamente ora i pesanti passi dello straniero allontanarsi da Omar avvertiva più distintamente nel suo petto palpiti veloci del cuore.
Aveva ancora solo un mese di tempo, e dopo? Bisognava fare qualcosa, ma che cosa? Avrebbe fatto costruire una torre alta a difesa della sua casa, oppure sarebbe scappato lontano e sarebbe vissuto nel profondo della più nascosta foresta dell’isola più distante.
Oppure si sarebbe travestito da vecchio mendicante e così la morte non lo avrebbe riconosciuto così facilmente.
Ma come poteva fare in quell’ultimo mese, accidenti? L’ultima idea gli sembrò quella più giusta.
Il giorno dopo si allontanò dal villaggio e, dopo dieci giorni di cammino, giunse ai margini di una grande foresta.
Aldilà si ergevano alcune montagne e si poteva intravedere anche la cima fumante di un vulcano.
Ci mise altri dieci giorni ad arrivare alle pendici del vulcano.
La terra gli scottava sotto i piedi e ci vollero ancora altri dieci giorni per trovare finalmente una caverna adatta al suo nascondiglio.
Lo trovò e prima di entrare si travestì da vecchio.
Con una fiaccola in mano Omar si addentrò nella grotta accolto da una nuvola di pipistrelli che lo avvolse in segno di triste presagio.
In fondo alla caverna gli sembrò di vedere qualcuno tra le pareti umide e tappezzate di muschio.
“Omar, sono qui, il mese è passato, sono venuta a prenderti!” Omar capì che non c’era più nulla da fare, aprì le braccia in segno di accoglienza, mentre la morte copriva con il suo giallo mantello il più famoso cacciatore di quelle isole sperdute.
(Illustrazioni di Federica Trivellin).
Preghiera Vieni tu da me, Signore, e allora io potrò venire da te.
Portami a te e solo allora potrò seguirti.
Donami il tuo cuore e solo così potrò amarti.
Dammi la tua vita e allora potrò morire per te.
Prendi nella tua risurrezione tutta la mia morte e sii mio, Signore, sii mio affinché io sia tua in eterno.
(Silja Walter)     * Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 1997-1998; 2002-2003; 2005-2006.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade.
Tempo ordinario – Parte seconda, Milano, Vita e Pensiero, 2010.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
– C.M.
MARTINI, Incontro al Signore risorto.
Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.
– @lleluia 3/C.
Animazione liturgica e messalino, Leumann, Elle Di Ci Multimedia, 2009.
           XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO   Lectio Anno c                                                                                    Prima lettura: 2Maccabei 7,1-2.9-14           In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo».
Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti.
Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
       v L’episodio raccontato s’inserisce nel contesto della persecuzione d’Antioco IV Epifane che voleva imporre la cultura greca al popolo ebraico (167-164 a.C.).
Viene ricordato il martirio dei sette fratelli, esortati dalla loro madre a testimoniare la fede.
Non solo essa ha passato loro la fede, ma li sostiene nel momento del pericolo.
Di fronte a loro il re in persona assiste al supplizio.
Egli rappresenta la luce della cultura ellenica, verso la quale molti ebrei sono attirati e per questo sono disposti al compromesso.
Quello che divide la madre dei sette fratelli e il re è una concezione opposta della vita.
Per il re la vita viene dalla cultura e dalla ragione, per la madre ebrea è un dono di Dio, perciò nessuna forza umana la può veramente togliere.
Come la madre anche i figli, ricchi di questa fede, si sentono liberi di perdere questa vita, per riceverla dalle mani di Dio: È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati (v.
14).
Anche per gli empi ci sarà una risurrezione, ma non per la vita (v.
14b).
Vivranno eternamente la morte.
Cf.
Gv 5,29: «quelli che fecero il bene per una risurrezione di vita, quanti fecero il male per una risurrezione di condanna».
  Seconda lettura: 2Tessalonicesi 2,16-3,5          Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi.
La fede infatti non è di tutti.
Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo.
Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
    v Paolo aveva in pochissimo tempo evangelizzato a Tessalonica, ma era stato sufficiente perché nascesse una comunità fervorosa, che si mantiene fedele al suo Signore Gesù anche nella diaspora e attaccata dalla mentalità greca e dalle gelosie ebraiche.
L’apostolo tuttavia non chiude gli occhi su alcuni problemi esistenti nella comunità e interviene a rettificare i malintesi riguardanti alcuni temi della fede tramandata: la Parusia che alcuni ritenevano imminente determinando atteggiamenti di pigrizia e di disordine.
     Nel nostro brano Paolo esprime gli auguri e chiede preghiere alla comunità.
Non sono delle pure espressioni formali, ma sintetizzano la fede che lui stesso aveva loro insegnato.
lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro…
conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene (v.
17).
Con questo augurio viene ricordato ai cristiani che il presente è importante.
È proprio esso che fa germogliare il futuro di gloria.
La vita quotidiana deve essere vissuta nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo (3,5): due qualità teologiche irraggiungibili dalle sole forze umane.
     La prima non è che la partecipazione alla vita divina, la seconda è l’accettazione delle croci seguendo le orme di Cristo.
     Il cristiano sa che il Signore gli ha dato una consolazione eterna e una buona speranza (2,16).
Pur non alienandosi dalla storia concreta, adempiendo tutti i doveri di cittadini, la sua vera patria è il cielo e già qui sulla terra vive da celeste.
    Vangelo: Luca 20,27-38          In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche la donna.
La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
       Esegesi      Gesù si trova a Gerusalemme nel momento culminante della sua missione.
Proprio a Gerusalemme era orientato tutto il suo cammino.
     Qui insegna pubblicamente presso il tempio e tutti pendono dalle sue labbra.
In questo clima s’inseriscono le controversie con gli scribi e con il gruppo loro avversario, che non credeva nella risurrezione dei corpi, i Sadducei.
Gesù per loro è un rabbi, un maestro, al quale possono fare delle domande su questioni di fede.
E gli pongono un caso curioso d’applicazione della legge del levirato (cf.
Gn 38,8; Dt 25,5-10).
Sette fratelli, scrupolosi osservanti della legge mosaica, presero uno dopo l’altro come moglie la stessa donna; questa donna, dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? (v.
33).
     Gesù risponde innanzi tutto che il mondo futuro non è simile al presente.
I figli di questo mondo, quelli che appartengono a questo mondo in cui vivono, sono legati da legami che caratterizzano la vita materiale: rapporti sessuali, vincoli coniugali, procreazione (v.
34).
     Quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione (v.
35) sono coloro che hanno ricevuto la grazia di partecipare alla risurrezione.
Lo sguardo di Luca è rivolto in particolare agli eletti alla vita eterna.
Essi vivono una vita da figli della risurrezione, cioè da risorti, in quanto sono figli di Dio.
Questo fatto fonda la risurrezione: la vita che essi possiedono mediante la risurrezione è una vita che non viene da generazione carnale.
Sono uguali agli angeli (v.
36), perché il loro corpo è spiritualizzato.
     Gesù quindi si richiama alla Scrittura per confermare il fatto della risurrezione di tutti gli uomini.
Dio si è rivelato a Mosè nel roveto ardente (Es 3,2) come Dio d’Abramo, Dio d’Isacco e Dio di Giacobbe, cioè come Dio dei vivi (v.
37).
La loro vita viene da Dio, perché tutti vivono per lui (v.
38b), quindi non può finire con la morte.
Abramo, Isacco e Giacobbe non sono vivi nel ricordo dei figli da loro generati, ma perché essi sono generati da Dio.
Qui si pensa a tutti coloro che sono destinati alla vita eterna, ma in v.
37 si parla i

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