La presa in ostaggio di cristiani conclusasi, domenica 31 ottobre, con la morte di 46 fedeli siriacocattolici in una chiesa di Bagdad provocherà una nuova fuga di cristiani dall’Iraq? È ciò che temono alcuni responsabili religiosi del paese.
“Non abbiamo più il nostro spazio qui.
Tutti se ne andranno”, ha affermato il vicario episcopale di Bagdad, Mons.
Pios Kasha, il giorno dopo l’attacco.
Per quindici giorni, in ottobre, il Vaticano si è occupato della sorte di queste minoranze cristiane, col timore di “un esodo mortale”.
Quarantacinque anni fa, durante la sua visita storica in Terra santa, papa Paolo VI aveva già espresso il timore che “i luoghi santi si trasformino in musei” dopo la “scomparsa” dei cristiani d’Oriente che figurano tra le più antiche comunità cristiane del mondo.
“Certi osservatori predicono che nel prossimo secolo la Terra santa potrebbe essersi completamente svuotata dei suoi cristiani”, scrive René Guitton, in Ces chrétiens qu’on assassine (Flammarion, 2009).
dati incerti Di fronte a questi timori, le realtà sono differenziate.
I paesi più colpiti dalle partenze sono tra i più instabili della regione.
L’Iraq, che sembra abbia perso quasi la metà della sua popolazione cristiana in una ventina d’anni, il Libano e i territori palestinesi occupati forniscono i maggiori flussi di migrazione.
Ma sia per i cristiani sul posto, che per quelli che emigrano o per quelli che ritornano al paese, i numeri e le percentuali sono difficili da stabilire con precisione.
In Egitto, il numero di Copti varia da un certo numero al suo triplo, a seconda che si faccia riferimento alle statistiche governative o a quelle delle autorità religiose.
Queste ultime affermano che, da dieci anni, “sono emigrati 1,5 milioni di Copti, principalmente verso gli Stati Uniti o il Canada”, riferisce René Guitton.
In generale tutti ammettono che in un secolo la proporzione di cristiani nella regione abbia continuato a diminuire: oggi rappresenterebbero solo dal 3% al 6% delle popolazioni locali (dal 15% al 20% all’inizio del XX secolo), eccezion fatta per il Libano, dove i cristiani costituiscono ancora una forte minoranza.
La tendenza si spiega sia con l’esodo, sia con la natalità più bassa delle famiglie cristiane.
numerose diaspore Nel XIX secolo i cristiani della Siria, del Libano o della Palestina sono espatriati raggiungendo l’Europa o l’America latina.
Ad esempio, in Cile vivono circa 300 000 palestinesi, e il 10% degli argentini sono di origine siro-libanese.
Oggi, chi può, raggiunge gruppi già stabiliti in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, nell’America meridionale o in Australia.
I cristiani dell’Iraq, invece, sono costretti a lasciare le loro città per ragioni di sicurezza e talvolta in tutta fretta.
Alcuni raggiungono le province kurde del nord del paese, con il rischio di crearvi una enclave etnico-religiosa.
Fino ad ora questa regione offre delle condizioni di vita più sicure.
Altri hanno raggiunto la Siria o la Giordania, paesi che, man mano che passano gli anni, si mostrano meno accoglienti.
Una parte dei candidati all’esilio va anche verso l’Occidente.
La Francia e la Germania, in questi ultimi due anni, hanno accolto diverse migliaia di cristiani iracheni minacciati nel loro paese.
le cause dell’esodo “I cristiani emigrano per ragioni economiche, a causa dell’instabilità della regione e dei conflitti”, ha riassunto il patriarca di Alessandria dei Copti, Antonios Naguib, in margine al sinodo di ottobre.
L’erosione si spiega per un insieme di ragioni: economiche, politiche, di sicurezza, demografiche, religiose.
Il conflitto israelo-palestinese e la politica delle grandi potenze occidentali nella regione appaiono come una della principali fonti di questo esodo.
Al di là del contesto di insicurezza, i cristiani pagano a volte la loro supposta vicinanza agli Occidentali.
In Iraq, la relativa protezione di cui hanno goduto sotto Saddam Hussein ha anche alimentato delle tensioni tra le varie comunità, secondo Guitton.
Ma da qualche anno, il clero e i fedeli parlano soprattutto dell’islamizzazione crescente delle società nelle quali vivono.
“I musulmani non distinguono religione e politica”, ricordavano i vescovi durante il sinodo.
Al di là della diffusione dell’islam radicale o del terrorismo islamista, attivo particolarmente in Iraq, le comunità in loco ritengono che il confronto con un islam più affermato e identitario rende difficile mantenere una cultura e una pratica cristiana.
Infine, spesso meglio istruiti della media della popolazione grazie alla loro rete di scuole e di università, i cristiani hanno maggiori facilità nell’ottenimento dei visti per raggiungere gruppi di una diaspora precedente, negli Stati Uniti, in Europa o in America latina, pronti ad accoglierli in “Le Monde” del 4 novembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
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