MARTINI CARLO M., Il comune sentire, Rizzoli, Milano 2011, EAN 9788817047463, pp.
200, Euro 17,50 “Il mio motto episcopale suona così: per il servizio della verità essere pronto ad amare le avversità.” Inizia con queste parole il dialogo con i lettori del “Corriere della Sera”, uno spazio in cui il cardinale Carlo Maria Martini tocca con grande semplicità le domande cruciali alla base del nostro vivere quotidiano.
Perché crediamo? Perché perdiamo la fede? Che senso ha il dolore degli innocenti? Quel è lo scopo ultimo delle nostre buone azioni? Pagina dopo pagina emerge la profonda fede del cardinale.
Ma anche la sua straordinaria conoscenza biblica che, attraverso il conforto delle Scritture, ci incoraggia a metterci di fronte con autenticità al cammino di ricerca che ciascuno di noi deve compiere nel mondo e interiormente.
Martini, il cardinale con Milano nel cuore di Marco Garzonio Oggi il cardinale Martini compie 84 anni.
Festeggia la ricorrenza nel suo ritiro di Gallarate, attorniato dalle cure amorevoli e generose di chi lo sta accompagnando nella faticosa, diuturna battaglia per reggere gli effetti del male, il Parkinson.
Eppure sempre attentissimo, curioso di quanto accade in Italia, nel mondo, nella Chiesa, nella cultura e nella vita comune.
Lo sanno i lettori del Corriere.
Quelli che ogni giorno gli scrivono, confidandogli preoccupazioni, dubbi, anche angosce.
E quelli che non osano prendere carta e penna ma sono comunque attenti ad ogni sua parola, tanto da attendere l’ultima domenica del mese per andarsi subito a leggere il paginone con lettere e risposte.
Il dialogo a distanza (ora riprodotto in volume, Il comune sentire, edito da Rizzoli) è la continuazione ideale dello stile episcopale inaugurato da Martini a Milano e proseguito per gli oltre 22 anni in cui è stato arcivescovo.
Poco dopo gli inizi del suo ministero aveva riscoperto e reintrodotto nell’uso liturgico un’antica preghiera: “Dona sempre al tuo popolo pastori che inquietino la falsa pace delle coscienze”.
E a quelle parole si è sempre rivelato fedele, praticando, lui professore e studioso di fama internazionale, virtù quali l’ascolto, il servizio, la preghiera, la ricerca mai paga di una senso da dare all’esistenza: nelle scelte forti, importanti, circa la vita (inizio e fine, bioetica) e in quelle quotidiane, alle prese con le gioie e le difficoltà, gli affetti e il lavoro, nella città.
Un misto di realismo e di fede, di scommessa sull’uomo e sui destini comuni che, alla fine del mandato per raggiunti limiti di età, nel 2002, gli diede l’opportunità di affidare due consegne: ai giovani e agli amministratori pubblici.
Incoraggiò i primi ad «attraversare la città» senza paura, come faceva Gesù, a vivere sino in fondo i disagi, le difficoltà, ma anche le speranze e gli ideali, la voglia di cambiare e di essere protagonisti.
Ai secondi, nel discorso di ringraziamento a Palazzo Marino per la medaglia d’oro del Comune, riservò un accorato e stringente appello sulla scia del predecessore e ispiratore, Sant’Ambrogio.
Incitò la politica a «dare forza e amabilità a un’esistenza vissuta nel rispetto delle regole»; ammonì che «finché la nostra società stimerà di più i “furbi”, che hanno successo, un’acqua limacciosa continuerà ad alimentare il mulino dell’illegalità» , «togliendo stima sociale all’onestà», indebolendo «il senso civico».
Lui stava per partire per Gerusalemme, ma a governanti, città tutta, Paese lasciò l’impegno: «Compito culturale urgente è innescare un movimento di restituzione di stima sociale e di prestigio al comportamento onesto e altruistico, anche se austero e povero».
A monito citò Ambrogio: «Quanto è fortunata quella cittadinanza che ha moltissimi giusti»! A Gallarate, pur tra fatiche e impedimenti, Martini continua ad essere quel punto di riferimento che non solo i milanesi, ma la Chiesa tutta e l’Italia hanno imparato ad amare e, inutile nasconderselo, a contestare: perché nel suo stile e nella sua azione ha continuato e continua a raccogliere consensi, ma anche dissensi.
Ricorda il ruolo dei Profeti dell’antico Israele, che sono stati fra i punti di forza del Martini scienziato della Parola biblica, vescovo, predicatore di appassionati esercizi spirituali negli angoli più lontani della cattolicità.
Una Chiesa profetica è quella che ha sognato per anni e per la quale, come confidò a padre Georg Sporschill in Conversazioni notturne a Gerusalemme (edito da Mondadori), nella vecchiaia ha deciso di pregare.
Perché: oggi la profezia latita nella Chiesa? La risposta di Martini sta nella sua scelta orante.
Nel chiedere a Dio e nel ricordare ai confratelli e a tutti che la profezia non è qualcosa di astratto o per pochi, ma, sulla scia appunto dell’Israele della Scrittura, è cercare il punto d’incontro fra il progetto di Dio e le urgenze della storia.
Una testimonianza radicale, senza badare alle sollecitazioni dei potenti né alle tentazioni di lasciar perdere mortificati dalle difficoltà, accettando di essere piccolo gregge ((cioè minoranza) e granello di senape e lievito, disposti a pagare un prezzo anche salato nel seguire la via Gesù.
Come motto episcopale Martini scelse Pro veritate adversa diligere, per la verità amare le avversità.
In realtà il motto completo, preso da San Gregorio Magno, ha un altro paio di paroline «ed essere guardinghi verso il successo» Insomma, una prospettiva per lui e un’indicazione di marcia per tutti.
E quindi l’occasione per unirsi alle schiere di fedeli e di estimatori nel dire: grazie e tanti auguri, Eminenza! in “Corriere della Sera” – Milano – del 15 febbraio 2011
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