Fino a qualche tempo fa, pochi erano coloro che scomodavano l’etica parlando di politica.
Ciò non perché vi fosse insensibilità verso le grandi questioni umane, ma perché era diffuso il pensiero che la gente non avesse interesse a sentir parlare di cose noiose, astratte, impegnative.
Oltretutto a fare le prediche ci pensano già i filosofi ed altri, perciò è inutile che le facciano pure i politici.
Chi governa deve risolvere semmai la crisi dell’economia, organizzare il mercato del lavoro, salvaguardare la sicurezza dei cittadini, rilanciare le esportazioni e gli investimenti, senza avanzare inutili pretese.
Sembra un discorso sensato, apparentemente, ma è invece totalmente sbagliato.
Oggi, infatti, abbiamo scoperto che le cose non vanno quasi mai così.
La logica del consenso non autorizza mai l’estromissione dei contenuti fondamentali, vale a dire di quei valori che non dipendono dalle circostanze, dal novero fluttuante delle proposte che un politico o un partito intendono presentare agli elettori, di volta in volta.
Se, come insegnava Niccolò Machiavelli, la politica e la morale sono due cose separate, di certo non possono esserlo etica e consenso.
Per lo meno, non senza gravi difficoltà.
La gente normalmente si aspetta qualcosa in più di una competenza tecnica da un politico per votarlo.
Altrimenti rimane a casa.
Non stupisce, di conseguenza, che nei recenti avvicendamenti della nomenclatura al governo, tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti abbia fatto ritorno la moda delle grandi proposte di sostanza.
Possiamo dire che si tratta di una buona norma che si sta propagando un po’ dappertutto, dopo tanti anni di dogmatica indifferenza.
Il premier britannico David Cameron, ad esempio, attualmente in carica nel Regno Unito, ha portato nuovamente al successo i Tory nel maggio scorso, proponendo proprio un’innovativa proposta organica di società.
In molti suoi discorsi si è fatto portavoce nel mondo della cosiddetta “Big Society”, ossia di un programma di solidarietà e di liberalizzazione del capitale improduttivo, elaborato teoricamente tra il 1988 ed il 1993 quando era direttore del Dipartimento di Ricerca Conservatore.
In uno dei suoi interventi ha chiarito che «si devono creare comunità che abbiano verve; quartieri che si facciano carico del proprio destino, che sentano che mettendosi insieme possono plasmare il mondo attorno a loro».
In una parola, si tratta di proporre un grande disegno etico-politico, capace di comprendere e gestire laicamente le dinamiche culturali del momento, e non solo di presentare una serie minimale di punti programmatici.
Assiduamente egli utilizza il termine “mission” per far capire il motivo ispiratore della sua politica, dando alla parola un accento persino esageratamente mistico.
Fin qui i Conservatori.
Ma anche dall’altra parte, i Laburisti, con l’elezione pochi giorni fa di Ed Miliband a nuovo leader, stanno vivendo una netta crescita di adesioni, grazie alle attese che il nuovo programma e la giovane figura promettono.
Certo, le sue idee politiche sono opposte a quelle di Cameron, almeno in linea di principio, anche se il metodo appare lo stesso.
Infatti, medesimo è anche il consenso che produce.
Secondo gli analisti, Ed Miliband ha battuto suo fratello David non tanto perché questi fosse più moderato di lui, ma perché ha trasferito al popolo inglese una spinta etica di maggiore intensità, accompagnandola efficacemente ad una seria promessa di riscossa del partito e del Paese.
È curioso che, saltando l’Atlantico, si constata un fenomeno analogo anche negli Stati Uniti.
Sorvolando sull’elezione di Barack Obama di due anni fa, che è stata caricata fin troppo da un’ondata di riscossa morale, il popolo statunitense ha salutato il ritorno in pista dei Repubblicani nelle prossime elezioni del 2 novembre con un notevole entusiasmo.
Nei contestati ma efficaci Tea Party elettorali, segnati da un riferimento costante all’ethos comunitario tradizionale, Sarah Palin, ritenuta fino a ieri una stelletta ormai al tramonto, ha esposto con successo ampie sezioni del suo manifesto politico, pubblicato integralmente su Facebook, in cui carica di colori etici perfino le cose più banali che i conservatori intendono fare per l’America di domani.
Il suo slogan «Pace attraverso la forza e orgoglio americano contro una politica centrata sul nemico» sottende, a ben vedere, una critica severa ai Democratici, ai quali è imputato l’errore di aver legittimato, per l’appunto, i nemici “etici” dell’America, dalla Corea all’Iran, fino a Cuba e al Venezuela.
La conclusione che si può ricavare da questi esempi emblematici è uno soltanto.
La politica può di certo fare a meno dei riferimenti valoriali, ma solo per un breve periodo, perché alla lunga il consenso è legato strettamente alla capacità d’inserire, nei programmi e nelle proposte che vengono offerte agli elettori, prospettive economiche, sociali e strategiche guidate da idee forti e durature sulla persona umana e sul senso del suo futuro.
L’etica, infatti, non è una vuota retorica o uno sciocco moralismo: è l’anima culturale profonda che dà combustibile di umanità alla politica, spingendo i cittadini ad impegnarsi e a partecipare attivamente per migliorare la propria esistenza e quella altrui.
Alla fine, attualmente non ha più tanta importanza se un leader sia di sinistra o di destra, se sia progressista o conservatore, ma che egli incarni con i suoi gesti, con le sue parole, con la sua capacità di governo e perfino con la sua vita, una prospettiva etica credibile e autentica, cioè non superficialmente legata solo al mantenimento del potere.
In definitiva, i cittadini vogliono sapere qual è la verità umana che viene proposta e,soprattutto, chi può attuarla concretamente nel futuro.
in “la Repubblica” dell’11 ottobre 2010
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