Famiglia di popoli, famiglia di Dio.

«Questo mondo non è un albergo».
È lo slogan della Comunità di Sant’Egidio, qui a Barcellona, dove si è concluso l’incontro numero ventiquattro della serie “Uomini e religioni”.
Non è un albergo dove ognuno vive per conto suo, chiuso in una stanza, senza avvertire la responsabilità della vita e del bene degli altri.
Non è un albergo, ma una casa comune.
E allora forza, bando alle depressioni indotte dal bombardamento di cattive notizie, e lasciamo spazio alla speranza.
La convivenza molto spesso è una realtà, la pace si può fare, un futuro di amore non solo è possibile ma è già in via di costruzione da parte di tanti giusti che magari non fanno notizia ma lavorano, in silenzio.
«Uno degli effetti più pericolosi della crisi economica – dice il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo – è la perdita di fiducia.
Nella crisi l’uomo rischia di diventare più duro ma meno forte.
Più duro di cuore, meno forte nel disegnare il futuro e resistere alla stanchezza».
Così è la paura a farsi strada, alimentata da chi vuole costruire muri e non ponti.
Per tornare a essere forti c’è bisogno di luoghi di incontro che siano riconoscibili come tali.
Qui al meeting di Sant’Egidio in questi giorni il miracolo si è ripetuto.
Israeliani e palestinesi si sono parlati, cattolici e ortodossi si sono confrontati da amici, ebrei e musulmani si sono guardati negli occhi e hanno parlato di pace.  Dare un orientamento a tante esistenze ripiegate su se stesse, questo deve essere l’impegno oggi degli uomini di buona volontà e soprattutto delle persone veramente religiose.
Dice Mario Marazziti: «Usciamo da un decennio, quello seguito all’attentato alle torri gemelle, in cui le religioni sono state usate strumentalmente per fomentare conflitti e coltivare l’odio.
È il momento di dire basta.
Chi invoca il nome di Dio per fare la guerra è contro Dio.
Togliamo quest’arma micidiale dalle mani di tutti i fondamentalisti».
E impediamo, attraverso la ragione, che la paura continui a tenerci prigionieri di stereotipi e immagini fuorvianti.
Una delle relazioni più illuminanti in questo senso è stata quella di Daniela Pompei, della Comunità di Sant’Egidio, su “Migrazione e futuro”.
Un vero colpo di spugna su tanti luoghi comuni.
A livello planetario il fenomeno migratorio non si presenta come un flagello ma sta andando, al contrario, verso un radicale ridimensionamento.
Secondo uno degli studiosi più accreditati, Jeffrey Williamson, già tra il 2020 e il 2030 il flusso dei lavoratori dai paesi più poveri subirà una graduale diminuzione fino scomparire entro il 2050.
Ma per gli ingressi in Europa questa è già una realtà, specie per quanto riguarda i tanto temuti clandestini: la riduzione in tre anni è stata del 39 per cento.
E le permanenze irregolari sul territorio europeo, sempre nel triennio, sono scese del 26 per cento.
Dati verificabili, ma tenuti nascosti da chi costruisce il consenso politico sulla paura, sulla questione sicurezza e su un costante stato di emergenza sociale.
Gli immigrati sono una risorsa, non un problema.
Sono mediamente più giovani di noi europei, hanno mediamente un alto livello di istruzione e svolgono lavori che hanno a che fare con le persone.
Prestano servizi agli ammalati, agli anziani, ai bambini.
In Austria gli infermieri ormai sono quasi esclusivamente stranieri, in Gran Bretagna i maestri sono indiani, in Italia una famiglia su dieci ormai non può fare a meno dell’aiuto di un immigrato.
Dice Daniela Pompei: «Anziani e immigrati, coloro che nell’immaginario collettivo sono percepiti come fonte di problemi e sono la rappresentazione delle maggiori paure, sono invece il segno di un grande traguardo raggiunto (l’allungamento della vita) e di una grande risorsa e opportunità per il nostro continente (i cittadini stranieri).
Accanto a una popolazione europea che invecchia c’è bisogno di un giovane.
Accanto all’anziano e insieme allo straniero si può costruire una nuova società.
O, se si preferisce, una nuova comunità, una famiglia».
“Famiglia di popoli, famiglia di Dio”.
È stato proprio questo il titolo del meeting.
E di “famiglia di nazioni” ha parlato l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Miguel Diaz, esule da Cuba, ricordando la realtà degli Stati Uniti guidati dal presidente Barack Obama (padre del Kenya e madre del Kansas).
«La storia dell’America – ha detto – è testimone di questo potenziale creativo.
Come esule, come americano e ora come servitore degli Usa, sono profondamente grato al mio paese per avermi accolto come un figlio.
La sola tolleranza non è sufficiente.
Occorrono fraternità, solidarietà e servizio nella giustizia».
in “Europa” del 7 ottobre 2010

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *