Il sondaggio su Dio: più severo che buono

Un’inchiesta americana rivela che Dio è presente con forza nella società e ne spiega le scelte.
Per il 28% è autoritario, per il 22 benevolente; è critico per il 21%, lontano per il 24%.
È apparso ieri su Usa Today un articolo di Cathy Lynn Grossman riguardante le opinioni degli americani su Dio («How America sees God»).
Come lo vedono o immaginano, cosa ne pensano, quali domande si pongono e come talune figure delle Chiese lo testimoniano.
Prima di offrire i dati, varrebbe la pena ricordare che soltanto il 5% si è dichiarato «ateo/agnostico», percentuale che sarebbe stata ben più alta se questa ricerca fosse stata fatta in Russia (una recente statistica dell’Università di Mosca offre indicatori oltre il 20%) o in qualche Paese europeo.
Le domande rivolte erano chiare, e possono essere riassunte in due quesiti.
Quando pregate Dio a chi o a che cosa pensate di rivolgervi? E quando cantate «God bless America» a chi chiedete di benedire la vostra terra? Non si può dimenticare che negli Stati Uniti, Dio — o l’idea di un Dio — permea la vita quotidiana.
Il suo riflesso nelle coscienze è un elemento essenziale per spiegare il passato degli Usa, molti dei conflitti a cui hanno preso parte o si sono trovati coinvolti; anzi, sottolinea l’estensore dell’articolo, «potrebbe offrire un indizio di quanto riserva il futuro».
Insomma, Dio è al nostro fianco, o se ne sta oltre le stelle? È adirato, geloso, vendicativo come in alcuni passi dell’Antico Testamento o misericordioso e capace di confondersi con un amore infinito? Sino a dove il suo occhio scruterà le cose? I sondaggi dicono che nove americani su 10 credono in Dio, ma il modo di immaginarlo rivela — sottolinea la ricerca — anche l’atteggiamento in materia di economia, giustizia, morale sociale, guerra, calamità naturali, scienza, politica, amore e anche altro, come sostengono Paul Froese e Christopher Bader, due sociologi della Baylor University di Waco (Texas).
Il loro nuovo libro, America’s Four Gods, dove ci si chiede essenzialmente «cosa possiamo dire di Dio?», esamina le diverse visioni dell’Onnipotente.
Il metodo di ricerca utilizzato si basa su indagini telefoniche (1.721 adulti nel 2006 e 1.648 nel 2008), ma soprattutto trae conclusioni qualitative da 200 «interviste in profondità», dalle quali, tra l’altro, si sono avute risposte intorno a una dozzina di immagini evocative dell’Altissimo.
Froese ricorda che una simile ricerca ha un fine pratico, giacché si possono meglio comprendere le reazioni di una popolazione — per un fatto di cronaca o per la politica estera — conoscendo l’idea che ha di Dio.
Passando ai dati, diremo che un 28% crede in un Dio autoritario, impegnato nella storia e capace di fulminare con punizioni severe coloro che non lo seguono.
C’è poi il Dio benevolente, che per questa ricerca vale il 22%.
Si identifica anche in azioni di politica contingente, simili a quelle in cui il presidente Obama dichiara di essere spinto a vivere la sua fede cristiana nel servizio pubblico.
È un Dio impegnato e ama e ci sostiene quando ci prendiamo cura degli altri.
C’è poi il Dio critico.
Vale il 21%.
Chi crede in Lui? I poveri, i sofferenti e gli sfruttati.
Sono convinti che non perda di vista le cose di questo mondo.
Come rappresentarlo? Si può immaginare attraverso una battuta ascoltata in un sermone nella chiesa Open Door, a Rifle (Colorado): «I nostri conti bancari vuoti saranno i magazzini del Signore».
C’è infine il Dio lontano: lo crede il 24%.
Quasi un americano su quattro lo considera distante, ma ciò non significa che non abbia alcuna religione.
È un’idea che i ricercatori hanno trovato in molti ebrei e nei seguaci di religioni e filosofie come il buddismo o l’induismo.
Sovente questa categoria parla di un Dio inconoscibile, che si cela in dimensioni non percorribili dalla ragione, quasi fosse racchiuso in un teorema di matematica indimostrabile; oppure lo spiritualizzano sino a trasformarlo in qualcosa di incomunicabile.
Una ricerca come questa va presa con il beneficio di inventario, ma è estremamente importante il motivo che l’ha suggerita: le opinioni che gli uomini hanno su Dio permettono di comprendere meglio le loro scelte.
Potrà sembrare a taluni una vecchia questione riportata alla luce e scritta in margine a Voltaire — il quale riteneva indispensabile la religione per il buon funzionamento degli Stati — ma in realtà è attualissima.
Dio, per intenderci, non è morto, non è tramontato, non è quello che hanno cercato di dimostrare o distruggere i filosofi; anzi dopo il crollo delle ideologie, dei totalitarismi e di molte illusioni del Novecento si è presentato di nuovo sul palcoscenico della storia.
Se Heidegger aveva scritto che soltanto un Dio ci può salvare, noi ora ricominciamo a capire quanto sia ancora indispensabile per spiegare l’uomo.
in “Corriere della Sera” del 9 ottobre 2010

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