Dagli atei ai senza-Dio

Sylvain Maréchal (1750-1803) è ancora conosciuto per il suo Dictionnaire des athées anciens et modernes (1800), che raccoglie anche nomi insospettati: Pascal, Sant’Agostino e perfino Gesù, tutti coloro che sono stati critici con la religione del loro tempo.
Tuttavia, questo discepolo di Lucrezio detestava gli atei del suo tempo, provenienti da un’aristocrazia libertina, dissoluta, pervertita.
Aveva fondato, per reazione, una lega dei senza-Dio e l’aveva dotata di una liturgia che, ogni decade, celebrava il culto della virtù.
Senza dubbio non è la preoccupazione primaria dei nostri contemporanei, ma la distinzione merita di essere conservata e ripresa in un altro senso.
Ateo e ateismo sono delle parole attestate nella lingua francese dalla metà del XVI secolo.
La loro diffusione sarà lenta e a volta singolare (Balzac, La Messe de l’athée).
Anche tra noi, l’ateismo non attira particolarmente: in Francia, l’Unione degli atei non supera probabilmente i 2000 o 3000 aderenti.
Vi si possono aggiungere coloro che preferiscono definirsi liberi pensatori, umanisti, razionalisti, materialisti (termine diventato desueto) o libertari (ni Dieu ni maître).
Tutti esprimono una convinzione forte e chiara, spesso militante.
Si oppongono così a coloro che si affermano decisamente e profondamente religiosi secondo la loro appartenenza: cattolica, protestante, ortodossa, ebraica, mussulmana, buddista nella maggior parte dei casi.
Questo mondo incerto della non credenza è oggi maggioritario in Francia.
I sociologi hanno mostrato la sua diversità e misurato il grado e le forme di attaccamento alle grande denominazioni, nel senso di un allontanamento crescente.
Ciò che domina oggi è ciò che con termini dotti si chiama agnosticismo o indifferentismo, accompagnato da un crollo in una o due generazioni della cultura religiosa tradizionale veicolata dal catechismo, dalla scuola e dall’ambiente.
Ciò che sussiste oscuramente, nascosto ad un’osservazione rapida, è ciò che Serge Bonnet ha definito le “preghiere segrete dei francesi d’oggi” e la loro alchimia: un immenso terreno incolto o qualcosa di simile.
Gli ateggiamenti e le iniziative “missionarie” della Chiesa francese davanti all’ateismo aspettano ancora il loro studio sistematico e ragionato.
Nel 1940, nella piccola collezione “Catholique” di Gallimard, padre Sertillanges, domenicano conosciuto per la sua apertura, pubblicava un opuscoletto, Athées, mes frères.
“Non ci sono atei, ci sono solo persone che credono di esserlo; ci sono solo degli incoscienti”, scriveva.
È il pensiero di Jean-Luc Marion in una recente conferenza in Svezia: l’ateismo è impossibile.
Il cardinal Veuillot, futuro arcivescovo di Parigi, esigeva dai padri Le Sourd e Liégé, autori di un Croyants et incroyants aujourd’hui nel 1962, il richiamo al fatto che l’ateismo era un peccato grave.
Nel 1965, il Vaticano II lo poneva “tra i fatti più gravi del nostro tempo” e creava un Segretariato per i non credenti di cui il cardinal Poupard ha assunto l’incarico per un quarto di secolo.
Siamo così passati dal Dio-Sole (i nostri ostensori), luce del mondo (lux mundi) a ciò che Léon Brunschwig, professore alla Sorbona, definiva nel 1928 La Querelle de l’athéisme, e il suo successore Étienne Souriau nel 1955 L’Ombre de Dieu.
Ed è qui che torna la vecchia distinzione di Sylvain Maréchal, in una nuova accezione.
L’uomo senza Dio è colui che, molto semplicemente, senza farsi problemi, fa a meno di Dio, pensa senza di lui ed esiste senza di lui.
Ciò che è qui decisivo, non è ciò che si agita nel profondo di ognuno, e neppure il movimento di questo mondo che non deve niente se non al proprio sforzo, ma la condizione umana – comune a tutti, credenti e non credenti – modellata da queste due istanze.
“E Dio in tutto ciò?”, chiedeva Jacques Chancel ai suoi invitati al termine delle sue trasmissioni a “Radioscopie”.
Ad ognuno la propria risposta, ma, qualunque essa sia, essa dovrà tener conto del rullo compressore all’opera “in tutto ciò”.
Dio era onnipresente.
Al di fuori di nicchie a volte anche di una certa importanza, è diventato o diventa onniassente nella vita sociale pubblica o privata.
È la pressione crescente di questa quotidianità che fabbrica l’uomo contemporaneo.
È un dato essenziale per una riflessione cattolica preoccupata di “apertura al mondo” e sempre minacciata di ripiegamento su se stessa.
in “La Croix” del 28 settembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

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