Il deserto fiorito di fratel Carlo

 «Avevo fatto del treno il “luogo” della mia preghiera.
Facevo il pendolare per motivi di lavoro e tu sai cos’è un vagone ferroviario che parte e arriva in città, al mattino e alla sera, stracarico di operai e di studenti.
Chiasso, risate, fumo, trambusto, pigia-pigia.
Io mi sedevo in un angolo e non sentivo nulla.
Leggevo il Vangelo.
Chiudevo gli occhi.
Ascoltavo Dio.
Che dolcezza, che pace, che silenzio! La potenza dell’amore superava la dispersione che cercava di penetrare nella mia fortezza».
Secoli fa correvano nelle aspre solitudini del deserto egiziano, eppure gli eremiti si accorgevano spesso che la città li aveva seguiti col suo frastuono e le sue seduzioni.
Ora forse è possibile il movimento inverso, diventare monaci urbani, creando aree di silenzio nel fragore assordante della modernità.
È ciò che testimoniava autobiograficamente già nel titolo Il deserto nella città, oltre che nel brano sopra citato, Carlo Carretto, una delle figure suggestive della spiritualità italiana contemporanea.
Lo rievochiamo anche noi nel centenario della sua nascita, affidandoci a due suoi ritratti biografici pubblicati proprio per questo anniversario.
La sua vicenda è, per certi aspetti, la  rappresentazione della Chiesa italiana del Novecento in alcuni suoi ambiti rilevanti.
Presidente nazionale della Gioventù Italiana di  Azione Cattolica nel periodo effervescente post-bellico, egli si batterà poi per la “scelta religiosa” di questa associazione, in quegli anni ancora poderosamente influente nel tessuto civile, e la sua Lettera a Pietro divenne una sorta di manifesto per coloro che sostenevano tale opzione, da altri contrastata come rinunciataria e passiva.
In realtà, la presenza di Carretto nell’agorà sociale ed ecclesiale era tutt’altro che arrendevole: le sue scelte talora si scostarono dalla linea ufficiale della Chiesa italiana, come nel caso del referendum sul divorzio, quando aderì al gruppo dei “cattolici per il No”.
Tuttavia il suo itinerario aveva ormai imboccato un’altra direzione, emblematicamente illustrata proprio dal deserto.
Infatti egli si era avviato sulle orme di Charles de Foucauld, il mistico del Sahara algerino, incontrato attraverso la biografia e gli scritti del discepolo René Voillaume, fondatore della congregazione religiosa dei Piccoli Fratelli del Vangelo.
Così, Carretto divenne fratel Carlo, aderendo a quella comunità che egli trapiantò anche in Italia nella Spello umbra, immersa nell’atmosfera francescana.
Da quel momento la sua vita, la sua parola, i suoi scritti furono un riferimento per molti cattolici italiani che sostanzialmente condividevano la famosa esclamazione della citata Lettera a Pietro: «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!».
Cercare una sigla riassuntiva per questo eremita nel mondo risulta difficile, proprio per il suo attestarsi sul crinale tagliente tra fede e storia, tra mistica e impegno civile, tra contemplazione e azione.
Si potrebbe accostare fratel Carlo – pur nelle molteplici distanze culturali e spirituali – alla francese Madeleine Delbrêl che si fece assistente sociale per vivere un’esperienza di “mistica quotidiana” nella tormentata banlieue di Ivry, nella cintura parigina, ove morirà sessantenne nel 1964.
Essa scriveva nei suoi Poemetti di Alcide: «Coloro che amano Dio hanno sempre sognato il deserto; per questo a coloro che lo amano Dio non può rifiutarlo».
È il deserto del treno affollato, del quartiere operaio, del romitorio incastonato nella politica e nella vita sociale.
In questo senso può essere adottata per fratel Carlo la definizione che appare già nel titolo della biografia di Gianni Di Santo, Il profeta di Spello.
Certo, è un po’ abusata e crea qualche equivoco, ma la profezia biblica è per eccellenza l’incrocio tra spiritualità e storia, senza il timore di impolverarsi il mantello nelle strade della città degli uomini.
Questa classificazione è, comunque, sostenuta da un’analisi accurata della vicenda personale di Carretto, della sua corrispondenza e delle relazioni che egli intratteneva con le più diverse personalità e tutti coloro che rendevano Spello un crocevia di incontri, sempre però alonati dal silenzio dell’adorazione e della contemplazione.
A questo riguardo è significativa l’altra biografia, affidata a un giornalista, Alberto Chiara, il quale propone una sorta di galleria di testimonianze di figure che hanno avuto la loro vita segnata dall’ascolto di Carretto, pur procedendo poi su percorsi più ramificati: Oscar Luigi Scalfaro, Rosy Bindi, Gian Carlo Sibilia, ma anche curio Colombo e Gianni Vattimo.
Certo, l’eredità di fratel Carlo è custodita da un filone minoritario del complesso panorama dell’attuale cattolicesimo italiano e può rivelare anche profili datati.
Rimane, però, ancor vivo il suo appello alla fedeltà pura e nuda al Vangelo, all’attaccamento sincero alla Chiesa senza però ipocrisie, all’aderenza alla lezione del Concilio Vaticano II ma soprattutto all’amore per Dio e per il prossimo.
L’oasi del silenzio non isola ma feconda la città degli uomini.
E così possiamo ritornare alla scena del treno da cui siamo partiti.
«Ero veramente uno con me stesso e nulla mi poteva distrarre.
Sotto la presa dell’amore divino ero in pace.
Sì, doveva essere proprio l’amore a creare l’unità in me.
Difatti gli innamorati che si trovavano sul treno bisbigliavano tra di loro in perfetta armonia, senza preoccuparsi di ciò che capitava attorno.
Io bisbigliavo col mio Dio».

Gianni Di Santo, «Carlo Carretto il profeta di Spello», San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pagg. 174, € 12,00;

Alberto Chiara, «Carlo Carretto. L’impegno, il silenzio, la speranza», Paoline, Milano, pagg. 168, € 16,50.

 

in “Il Sole 24 Ore” del 26 settembre 2010

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