Se non c’è rispetto per la vita, che cosa merita rispetto? Io credo che il messaggio di fondo della “Caritas in veritate” sia questo: uno strumento – come lo sono l’economia, la scienza e la tecnica – non può e non deve rivendicare autonomia morale; ciò produrrebbe danni irreparabili per l’uomo, come è infatti successo.
E questo accade quando l’uomo perde il significato del vero e sottomette la verità alla propria libertà che, nella visuale cattolica, è disordinata.
L’autonomia morale di uno strumento è sintomo di confusione e di perdita della verità.
Ne consegue che la stessa vita umana perde di significato, la dignità umana perde il suo valore e l’uomo diventa mezzo di produzione, di consumo, di risparmio.
Negando la vita o subordinandola ad altri presunti valori, si producono realmente danni irreparabili.
Perciò affermo chiaramente che l’origine della crisi attuale è soprattutto morale ed è dovuta proprio alla negazione della vita.
Ricordiamoci che alla fine degli anni Sessanta i “profeti” neomalthusiani (prima quelli dell’università di Stanford, poi quelli del Massachusetts Institute of Technology) annunciarono che, se il tasso di crescita della popolazione avesse proseguito come negli anni precedenti (intorno al 4-4,5 per cento), prima del 2000 centinaia di milioni (cifra poi ridimensionata in decine di milioni) di persone sarebbero morte per fame soprattutto in Asia e India.
Questo la dice lunga sulle capacità predittive di sociologi ed economisti; infatti, ciò che poi è avvenuto contraddice in pieno i loro assunti.
Nel mondo occidentale, che ha interrotto la natalità portandola al di sotto dello zero, si sono create condizioni per la crisi, mentre nel mondo ex emergente, che ha continuato a far figli, si sono invece avuti sviluppo e creazione di ricchezza.
Noi occidentali abbiamo creduto di diventare più ricchi negando la vita, e invece siamo diventati più poveri.
Ed ecco quel che è successo.
Se la popolazione di un paese ricco e costoso cessa di crescere, diminuisce – conseguentemente e progressivamente – l’accesso di giovani alla fase di produttività; per contro, aumenta il numero delle persone che escono dalle attività produttive e diventano un costo per la collettività.
Questa, dunque, decresce sia in numero che in risorse.
In pratica, nel sistema socio-economico aumentano i costi fissi; e, non potendosi ridurre le tasse, diminuiscono i risparmi e, dunque, le attività finanziarie.
La reazione più naturale è a quel punto aumentare la produttività (il che equivale in pratica a fare più ore di lavoro) ma ciò ha un limite fisico.
Certo, si può tentare con sistemi che cerchino di aumentare il potere di acquisto riducendo i costi (per esempio, col trasferimento in Asia di molte produzioni).
Ma quando ciò non basta non rimane che un mezzo: il debito.
O meglio, il consumo a debito, che arriva agli eccessi che conosciamo.
Il fatto è che l’abnorme espansione creditizia, il cattivo uso degli strumenti finanziari, sono stati effetti, non cause.
L’origine degli attuali squilibri economici va cercata altrove: nel non rispetto della vita umana.
[…] Nei paesi che vent’anni fa erano considerati “in via di sviluppo” l’aumento della popolazione ha loro portato oggi, grazie anche alle nuove localizzazioni produttive, benessere e ricchezza in misura tale da potere persino tenere in piedi i nostri paesi ex ricchi e senza figli.
Questi paesi oggi stanno investendo in zone che noi occidentali abbiamo sempre considerato in povertà cronica e abbiamo “aiutato” mandando profilattici per interrompere la crescita della loro popolazio- ne.
Si stima che in Africa, in via di colonizzazione da parte dei cinesi, fra una decina d’anni potranno esserci un paio di miliardi di abitanti.
Su questo i cinesi stanno investendo, creando lavoro e promovendo benessere.
Il problema, semmai, sarà di quale cultura e quale visione della dignità dell’uomo questi nuovi colonizzatori saranno portatori fra quelle popolazioni.
Certo, non quelle cattoliche.
__________ Il libro: Ettore Gotti Tedeschi, Rino Camilleri, “Denaro e paradiso.
I cattolici e l’economia globale”, Lindau, Torino, 2010, pp.
160, euro 15,00.
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