P.
BERGER, G.
DAVIE, E.
FOKAS, America religiosa, Europa laica? Perché il secolarismo europeo è un’eccezione, Il Mulino 2010, pp.215.
Nel mese di agosto il dibattito sui rapporti tra politica e religione in America ha visto due elementi nuovi: il sondaggio secondo il quale il 20 per cento degli americani crede che Obama sia musulmano, e il raduno guidato a Washington dal Beppe Grillo dei populisti del Tea Party, il tribuno di Fox News Glenn Beck, in nome di una rinascita religiosa degli Stati Uniti, che sarebbero oppressi da un leader comunista e antireligioso come Obama.
Entrambi gli elementi si aggiungono alla lista, già lunga, dei motivi di reciproca incomprensione tra i due universi politico-culturali più importanti d’Occidente, Europa e Stati Uniti: ma il ruolo della religione nella sfera pubblica è di gran lunga il più evidente degli elementi di differenza, specialmente nella storia della cultura politica americana da Carter e Reagan in poi.
Per decifrare le differenze nel ruolo pubblico della religione tra Europa e America arriva la traduzione di un libro pubblicato in lingua originale nel 2008: P.
Berger, G.
Davie, E.
Fokas, America religiosa, Europa laica? Perché il secolarismo europeo è un’eccezione (Il Mulino 2010, 215 pp.).
Gli autori sono tra i massimi sociologi della religione, e il fatto che Grace Davie e Effie Fokas operino sul campo del ruolo della religione sul suolo inglese fa di questo libro anche un’utile guida alla decifrazione della visita di Benedetto XVI nel Regno Unito.
Il punto di partenza del libro è una messa in discussione della “tesi della secolarizzazione” che, a partire dagli anni Cinquanta e fino agli anni Novanta, aveva asserito un legame tra processo di modernizzazione e secolarizzazione come indebolimento del ruolo della religione.
Già prima dell’11 settembre 2001 il sociologo americano Casanova aveva messo in discussione questa tesi, che ora vede i suoi avvocati sulla difensiva, oppure scomparsi e sostituiti dagli adepti del neoateismo militante dei Dawkins e Hitchens.
È infatti diventato chiaro ormai che il fattore religioso gioca un ruolo in ogni scenario politico-pubblico, e che il cammino verso la modernità è fatto di “modernità multiple”: se in Inghilterra la secolarizzazione ha portato con sé il fenomeno della “religione vicaria” (quella in cui la grande maggioranza dei non praticanti spera che continui ad esistere un nucleo di praticanti), in altri paesi europei lo scenario muta significativamente: a seconda della storia dei rapporti tra Stato e Chiesa; del modello di immigrazione; della complessità del paesaggio religioso; della storia politica recente (specialmente nell’Europa orientale ex comunista).
Ma è sul confronto tra il mondo religioso europeo e quello americano che il caso inglese diventa interessante, perché assume i tratti di un incrocio tra «due grandi nazioni divise da una lingua comune» (come recita un famoso detto) – anche dal punto di vista religioso.
Le differenze tra Europa e Stati Uniti, quanto a storia dei rapporti tra chiese, società e Stato, sono numerose, e non era interesse degli autori del libro riassumerle.
Piuttosto, gli autori hanno inteso riflettere sulle differenze sociologicamente percepibili e riconducibili più direttamente alle diverse storie religiose.
Uno degli elementi di differenza tra esperienze di religione e laicità sulle due sponde dell’Atlantico è la dimensione “verticale” della religione in America (con le diverse denominazioni religiose disposte verticalmente su una scala di prestigio sociale) rispetto alla dimensione “orizzontale” della religione in Europa (in cui appartenere o meno ad una chiesa o ad un’altra non si presta ad una interpretazione circa l’appartenenza ad un ceto sociale o a un altro).
Un secondo elemento è quello del legame tra religiosità e reddito, che in America vede una relazione inversamente proporzionale, per cui più alto è il reddito, minore è la probabilità che il percettore sia religioso.
Un terzo elemento è la mancanza degli effetti politico-sociali di movimenti socialisti e anticlericali in America, in cui non esiste un sistema di sicurezze sociali garantite dallo Stato (e alla parola welfare si associano significati negativi e diametralmente opposti rispetto a quelli prodotti dal modello sociale europeo).
Il quarto elemento è l’impatto dell’immigrazione sull’evoluzione del paesaggio religioso di Europa e America, con la prima soggetta ad una serie di flussi migratori da paesi arabi e musulmani, e la seconda fecondata dai latinos della zona sud del continente americano.
Il libro è di indubbio interesse, anche per un lettore non specialista, anche grazie ad alcuni aneddoti illuminanti: come quello del ricercatore che, diventato professore universitario, decide di passare dalla proletaria chiesa battista alla più borghese chiesa metodista – ma non alla chiesa episcopaliana, appannaggio delle classi più abbienti.
Su alcuni punti l’analisi risente di un approccio esclusivamente sociologico, carente di approfondimento storico e di aggiornamento politico: come per la tesi di Berger sulla divisione degli americani tra una ristretta élite dominante di “svedesi” (laici) e una poco visibile maggioranza di “indiani” (religiosi).
In realtà gli ultimi due decenni hanno visto una riscossa degli “indiani” a tutti i livelli: basti guardare la composizione della Corte Suprema di fine 2010, in cui gli “svedesi” laici sono ben cauti nell’esprimersi su questioni religiose o morali, attorniati come sono da “indiani” che, nella Corte guidata da John Roberts, sono la maggioranza (per la prima volta nella sua storia la Corte suprema non ha nessun giudice protestante, e ha sei giudici cattolici).
Ma anche al di là del caso della Corte Suprema è chiaro il legame, agli occhi dell’americano medio, tra la chiesa di appartenenza e la posizione sulla scala sociale.
Questo spiega la posizione particolare in America di una chiesa interclassista come la chiesa cattolica.
Ma spiega anche la difficoltà per Obama di fare la pubblica scelta di una “chiesa di famiglia”, dopo la sua separazione dalla chiesa della teologia nera della liberazione del reverendo Wright nel South Side di Chicago: è un sintomo della difficoltà di ricollocarsi non solo teologicamente, ma anche socialmente, come afroamericano che ha scalato la scala sociale in fretta – troppo in fretta per i gusti del leghismo americano del Tea Party.
Il recente sondaggio sul presunto islamismo di Obama non dice che gli americani non conoscono il loro presidente: dice che lo conoscono benissimo.
in “Europa” del 14 settembre 2010
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