BIANCAMARIA SCARCIA, Il Corano, Carocci Roma 2009, 9788843050178, pp.
288, € 21,50 Nel breve periodo la paura è la merce più redditizia in politica.
Compatta, rende solidali, attutisce perfino i principi.
Una politica lungimirante sa che la paura, presto o tardi, diventa difficilissima da governare e spesso sbrana chi l’ha allevata.
Si pensi al peso della paura nella genesi dei totalitarismi, nella corsa agli armamenti, nelle variazioni dell’antisemitismo.
Da qualche decennio il movimento migratorio ha portato una nuova paura che è la paura di tanti islam, improvvisamente divenuti di casa di tutti gli abitanti del pianeta e di un Occidente svogliato davanti alla fatica di cogliere varianti, sfumature, spiritualità di quei mondi.
Sicuro di poter addomesticare qualsiasi fede, ha fatto dell’analfabetismo religioso una virtù civile e della grossolanità un vizio chiamato spesso coraggio.
E un cristianesimo in calo d’autostima spirituale ha creduto che il suo compito sia diventato quello di difendersi come «cultura» sul piano delle identità o come ermeneuta del «naturale» sul piano della legge, rinunciando a tentare un’ermeneutica dell’altro e dunque di sé.
Da qui la paura di tutto: minareti, barbe, foulard obbligatori per diversi e opposti motivi settant’anni fa.
E regina di tutte, la paura della mancanza di paura.
Mentre la cosa che per prima dovrebbe spaventarci — cioè l’instabile convivenza fra persone che ignorano le priorità interiori dell’altro — sembra trascurabile.
È per questo che un piccolo libro come Il Corano di Biancamaria Scarcia (Carocci) diventa oggi un talismano ancora più prezioso.
Non ci sono qui ingenue sottovalutazioni dei problemi o tentativi per far diventare vicine le religioni di Abramo o i cosiddetti monoteismi.
Al contrario il lettore troverà una tesi forte: se c’è una specificità coranica — e c’è — è quella di un testo che è insieme scrittura, recitazione, preghiera alfabeto, dottrina, salmodia in un tutt’uno: e che dunque si impone all’interpretazione che cresce con chi legge e legge chi da essa si fa crescere.
Biancamaria Scarcia lo fa con la sicurezza della grande studiosa: allieva della grande scuola di Bausani — la cui traduzione del Corano è ancora oggi un pezzo pregiato del catalogo Mondadori e qui utilizzata insieme a quella di Mandel Kahn —, la studiosa offre sì una lettura ma anche qualcosa di più: sfata l’idea che la violenza fondamentalista sia un islam «radicale» e lo demistifica a islam blasfemo.
Oggi in Italia non c’è parlamentare o maestra, assessore o parroco, che possa pensare di fare a meno di queste nozioni.
Così come almeno alle figure di spicco delle comunità islamiche sarebbe utile rendersi conto di come e quanto la tradizione della Scrittura ebraica, e di quella cristiana, sia indispensabile per decifrare la nostra società, tanto più a chi non senza qualche ragione ne coglie solo le dissipazioni e le dissolutezze.
di Alberto Melloni in “Corriere della Sera” del 26 agosto 2010
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