La messa è finita: intervista a Giuseppe De Rita

“Il ventennio di Berlusconi è scaduto, ma il mondo cattolico è senza rappresentanza e si sente lontano dalla politica”.
Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, è da decenni un profondo conoscitore del mondo cattolico e in questa crisi coglie non solo lo sfarinarsi del leaderismo del Cavaliere, ma soprattutto la profonda disaffezione del cattolicesimo italiano dal sistema politico.
Fenomeno che, d’altronde, Famiglia Cristiana denunciava tempo fa, avvertendo che nella popolazione si registra un’atmosfera di impotenza e di passività nei confronti dei grandi scandali governativi.
Professor De Rita, a che punto siamo arrivati.
Ad una confusione generale.
C’è un livello politico – mi riferisco al governo – in cui il presidente del Consiglio tenta un difficile dialogo con i cattolici, prova a riavvicinarsi a Casini, mentre ministri come Sacconi e la Gelmini lanciano segnali per porsi come interlocutori del mondo cattolico.
E c’è un altro livello? Dove il Papa interviene criticando il governo per la politica sull’immigrazione e Famiglia Cristiana intensifica le sue denunce contro il premier.
Piani separati.
La Chiesa a sua volta ha la propria crisi di funzionamento.
Guardiamo ai cattolici nella loro realtà quotidiana.
Il popolo cattolico ha una sua capacità di diffusione nelle varie realtà territoriali.
Fa comunità sul territorio, in città e nelle periferie urbane, e attraverso le sue iniziative di volontariato assimila e in qualche modo riesce a gestire i problemi posti dalla crisi attuale: l’immigrazione, la crisi del postedonismo, la ricerca di un senso della vita, la crisi del welfare.
In queste situazioni il popolo dei credenti con le sue comunità riesce a fare assistenza.
E dinanzi alla crisi politica? Se ne frega.
Queste cose non interessano al fedele di Torgiano o delle periferie romane.
Proviamo a spiegare.
Si è creata da tempo una spaccatura tra il mondo politico e la realtà sociale di base.
Il problema è che in mezzo non c’è niente.
Niente? Non c’è una rappresentanza intermedia, capace di interagire sulle vicende politiche.
Voglio dire che quanto di spontaneo si manifesta nel basso, Comunione e liberazione o i Focolarini o altri movimenti, si rivolge alla fine soltanto al proprio numero chiuso.
Manca una capacità di interpretare la realtà cattolica nel suo insieme.
I vescovi che fanno? La gerarchia non mostra una grande capacità, e forse non ne ha nemmeno la voglia, di interpretare il popolo cattolico nei confronti della politica.
Emergono però voci coraggiose.
Pensiamo alle denuncie puntuali di ‘Famiglia Cristiana’ nei confronti del sistema di potere berlusconiano.
Famiglia Cristiana pone problemi reali.
E non scuote le coscienze cattoliche? Penso che in fondo, a suo tempo, è stato ancora più incisivo e puntuale nella denuncia Dino Boffo sull’Avvenire l’anno scorso.
Quel modo di fare parlare i lettori attraverso le lettere al direttore… Per questo è stato messo a tacere.
Anche da parte della gerarchia.
Sostiene che il Vaticano e i vescovi non hanno reagito abbastanza alla manovra berlusconiana resa palese dal killeraggio di Feltri? La gerarchia allora non voleva lo scontro.
Torniamo agli interventi di Boffo contro lo “spettacolo desolante” del premier nel 2009.
A mio parere era una denuncia più forte.
L’intervento di Famiglia Cristiana appare più gridato in termini di prima pagina, ma non sento meccanismi di risonanza particolari nel mondo cattolico.
L’immagine di Berlusconi non è intaccata? Il carisma di Berlusconi sta declinando.
Direi meglio: si sta sfarinando.
E non tanto per la ferita di una denuncia morale, ma perché è in declino il suo ciclo.
Si può definire l’atteggiamento del mondo cattolico nei confronti della crisi berlusconiana? La reazione è: il ventennio di Berlusconi è scaduto, vediamo cosa viene dopo.
In realtà si è esaurita una stagione.
Berlusconi interpretava benissimo la logica del ‘fai da te’ e della libertà di essere se stessi.
Ma oggi nessuno può più dire di farcela da solo e di essere libero di essere se stesso.
Ecco perché si sfarina il sistema berlusconiano.
Tuttavia ora siamo al bivio: si torna al voto o si vara un governo di transizione? Nuove elezioni? La risposta tende ad essere un’alzata di spalle.
Tanto la maggior parte non va più a votare.
La maggior parte dei cattolici non si sente coinvolta in questi discorsi.
Si è fatta strada la sensazione che il governo sia roba loro.
O roba sua.
Ha una radice questo disincanto? C’è un motivo profondo.
Il popolo cattolico – non dico la Democrazia cristiana – è stato collettivamente protagonista dello sviluppo dell’Italia dal 1945 al 1990.
Quella era un’avventura di tutti, ma l’avventura di pochi o di uno solo non interessa più.
Nella verticalizzazione della politica, nel decisionismo il cattolico non si riconosce.
Il Terzo Polo non potrebbe fare da calamita? Potrebbe… se ci fosse un esponente cattolico nuovo.
Non dei cattolici che stanno in politica da venti, trent’anni.
Rutelli, Casini, Fini o Franceschini evocano solo tattica.
In questo schema l’opposizione non gioca nessun ruolo? Il Pd è prigioniero della dialettica tra cattolici e postcomunisti.
Si guardi all’intervento di Parisi dopo l’omaggio sulla tomba di Togliatti.
C’è il sospetto che il Pd vada a definirsi come partito classico di sinistra.
Non se n’esce? Il problema è che non è riuscito il legame tra cultura cattolica e cultura di sinistra post-Pci.
Se questo legame non riesce, è difficile che il Pd riesca a parlare per i cattolici.
Quanto è sistemica questa crisi? Siano alla fine di un ciclo cominciato negli anni Sessanta, con don Lorenzo Milani, con la contestazione delle autorità e delle norme tradizionali.
Ora serve un nuovo ciclo filosofico-sociale.
Se le persone sentono di non contare, non possono interessarsi di nulla.
intervista a Giuseppe De Rita a cura di Marco Politi in “il Fatto Quotidiano” del 26 agosto 2010

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