La Costituzione dimezzata

Tra trono e altare alleanza al tramonto di Carlo Galli in “la Repubblica” del 25 agosto 2010 Che “Famiglia Cristiana” attacchi Berlusconi e la sua politica con argomenti – fondatissimi e di per sé evidenti – che mescolano l´indignazione civile e lo sdegno religioso non ha nulla di “disgustoso”.
È semplicemente la dimostrazione di una verità quasi bimillenaria: che la Chiesa cattolica è capace di stringere compromessi con ogni potere, di allearsi con potenze mondane di ogni risma – da Costantino a Mussolini, solo per dare un´idea.
Ed è capace di agire con la spregiudicatezza che la politica richiede, trovando sempre (del resto non è troppo difficile) il modo di giustificare il proprio operato, davanti a se stessa e davanti al mondo.
Ma che da questi abbracci la Chiesa sa anche sciogliersi per tempo, quando le diventano scomodi.
E questo perché la Chiesa non ha mai una politica soltanto, ma ne ha sempre altre di riserva.
Ed è “con riserva” che sta nelle cose del mondo, senza sposare mai una causa una volta per tutte: del resto, è la Sposa di Cristo, non di questo o di quel potere.
Questa intrinseca duplicità deriva dal fatto che la radice religiosa del messaggio di cui la Chiesa è portatrice ha almeno due lati: quel messaggio è da una parte una volontà di organizzazione del mondo sul fondamento stabile del dogma e del magistero delle gerarchie.
E per questo motivo la Chiesa è organismo politico, che si confronta con altri, secondo logiche di potenza.
E´ la Chiesa costantiniana, che cerca il potere per essere in grado di esercitare in sicurezza la propria missione.
Ma d´altra parte quel messaggio è anche la potenza profetica del Dio che libera dal peccato e dall´oppressione, del Dio che mobilita gli animi, muove le coscienze, e suscita gli scandali.
E´ anche questa una Chiesa politica, sia chiaro; ma di una politica caritatevole e battagliera, per nulla diplomatica o benpensante, che nel corso della storia si è sempre affiancata criticamente alla Chiesa gerarchica; e questa, per quanto l´abbia temuta e, per quanto possibile, normalizzata, non ne ha mai potuto prescindere.
La Chiesa è entrambe le cose, contemporaneamente; fa coesistere in sé gli opposti.
Non è un´azienda in cui regni la volontà unica del padrone, ma una realtà per sua natura complessa e plurima.
Anche il rigido centralismo vaticano, il primato del Papa, si confronta con questa ricchezza inesauribile, a cui dà sì una direzione ma non un´uniformità totale.
Non c´è da stupirsi, quindi, se dentro la Chiesa cattolica le posizioni su Berlusconi sono differenziate: su queste differenze ha giocato, del resto, lo stesso premier, che, col caso Boffo, ha sfruttato a proprio vantaggio i contrasti fra la Cei e la Segreteria di Stato; mentre su altre differenze, ora, inciampa.
“Famiglia Cristiana”, da parte sua, non è nuova a questo esercizio di critica: e quindi non ci sarebbe da stupirsi.
Ma forse la destra sta fiutando – nell´asprezza, nella libertà, nella costanza degli attacchi del settimanale – un cambiamento di vento nelle stesse gerarchie, con le quali ha stipulato molti e vantaggiosi (per entrambi) compromessi, scambiando benefici fiscali e acquiescenze verso gli aspetti più chiusi del magistero (sulla bioetica e sulla biopolitica) con un appoggio politico di fatto.
Un appoggio per nulla scontato poiché il modello d´uomo e di società proposto dalla destra di Berlusconi e Bossi – per non parlare del troppo laico Fini – non dovrebbe essere gradito alla sensibilità religiosa.
In ogni caso, la settimana scorsa, a un analogo attacco di “Famiglia Cristiana” era stato risposto, da parte della destra, con l´invito agli estensori – evidentemente ritenuti ignari – a ripassare i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa, e, con un po´ più di verosimiglianza, a non dimenticare i tanti segni tangibili della vicinanza di questo governo alle richieste delle gerarchie.
Nelle risposte davvero sopra le righe a “Famiglia Cristiana” (rea di darsi alla “pornografia politica”), c´è forse solo l´esasperazione di una maggioranza in crisi per ben altri motivi.
Ma potrebbe anche esserci la preoccupazione di Berlusconi di perdere, dopo Casini e Fini, e – chissà – Bossi e Tremonti, anche la benevolenza vaticana.
Forse il fido Letta non è riuscito a far digerire Oltretevere le nuove minacciate leggi di ispirazione leghista contro immigrati e rom; o forse le gerarchie si rendono conto che dal Cavaliere hanno spremuto tutto quello che si poteva, e che la sua politica ormai di rottura, di lotta disperata per la sopravvivenza, non è più in grado di garantire quello spazioche la Chiesa chiede per sé e per le proprie istanze in Italia.
Forse la prospettiva di un clima di divisione permanente – che mette a rischio l´unità dello Stato (tema spesso sollevato ad altissimo livello, in queste settimane) e della società, e che spezza l´unità dei cattolici (come “Famiglia Cristiana” denuncia) – comincia a interessare meno i vertici della Chiesa.
Che non vogliono e non possono legare il loro destino a quello di un´avventura politica ormai incerta, e mandano messaggi trasversali come sanno fare.
Forse, un´alleanza fra trono e altare – un buon affare per entrambi, ma di solito più per il secondo che non per il primo – sta tramontando, e il trono comincia a temere per la propria stabilità.
I Paolini in trincea “Con gli insulti non ci intimidiscono” di Giacomo Galeazzi in “La Stampa” del 25 agosto 2010 Il cardinale di Parigi attacca Sarkozy e noi non possiamo criticare Berlusconi?».
 Don Antonio Sciortino resta in riunione fino a sera coi più stretti collaboratori, ma è «sereno» perché sa che nella Chiesa la sua non è più una voce fuori dal coro.
La «furente reazione» del governo alle contestazioni del settimanale dei Paolini fa meno rumore ora che anche la Cei stigmatizza apertamente il «sottosviluppo morale» e la «crisi della classe dirigente» in Italia.
«Siamo tranquilli, la nostra non è una linea improvvisata, sono anni che denunciamo l’imbarbarimento della vita pubblica e che difendiamo la Costituzione: l’abbiamo anche pubblicata integralmente – rassicura la redazione il direttore di Famiglia Cristiana -.
Non è questione di essere credenti o no, qui è in discussione la tenuta democratica del Paese e la libertà dell’informazione.
Infatti associazioni laiche come articolo 21 hanno subito rilanciato in rete il nostro editoriale per respingere l’attacco degli “squadristi della libertà”.
Ogni giornale ha la sua opinione, solo in Italia il governo risponde coninsulti ai rilievi critici della stampa».
Avanti «come sempre», dunque.
«Negli Stati Uniti i mass media mettono continuamente sott’accusa Bush o Obama, mentre qui si viene bollati come “pornografia” se solo ci si azzarda a mettere in iscussione le tesi del capo supremo», evidenzia don Sciortino con i suoi collaboratori.
«Non ci faremo intimidire e proseguiremo tranquillamente a svolgere liberamente il nostro mestiere di giornalisti», garantisce don Sciortino.
Piuttosto «siano i ministri a disarmare le loro parole».
Tanto più che anche nelle gerarchie ecclesiastiche il clima sta cambiando, considerate le sempre più frequenti critiche della Cei e di Radio Vaticana alla politica italiana.
«In Francia l’episcopato fustiga di continuo il governo sull’espulsione dei rom come sugli scandali, eppure Sarkozy non insulta chilo critica».
Accade il contrario in Italia.
«Solo nel nostro Paese se difendi la Costituzione e racconti ciò che è sotto gli occhi di tutti diventi un nemico da abbattere – sottolinea il direttore del settimanale dei Paolini -.
Questa è la prova che le nostre preoccupazioni sono fondate».
Per testimoniare l’«anomalia italiana» rispetto al dibattito in Francia tra Chiesa e governo in serata il sito di Famiglia Cristiana riporta l’intervento con cui Radio Vaticana rivendica il diritto della Chiesa a farsi sentire: «La Chiesa deve essere libera di esprimersi e soprattutto non deve adeguarsi alle mode del momento, la Chiesa non è un camaleonte che prende il colore dell’opinione che va per la maggiore».
E, aggiunge Radio Vaticana, «a volte prendiamo posizioni che sono controcorrente, contro alcune tendenze che non sempre ci sembrano positive.
Lo facciamo in nome dei nostri valori e cerchiamo soltanto di portare il nostro contributo al pensiero e all’azione della società».
E mentre Famiglia Cristiana viene degradata a pornografia dai ministri italiani, puntualizza don Sciortino coi suoi, i vescovi francesi fustigano l’immagine da «circo» offerta dalla politica nel dibattito sulla sicurezza e deplorano l’uso spropositato delle «invettive» e il «fascino dei soldi», chiaro riferimento «all’affare Bettencourt e alle presunte tangenti che hanno coinvolto il presidente».
Altro Paese, altro stile.
Scola a «Famiglia cristiana»: non è la voce della Chiesa di Maria Antonietta Calabrò in “Corriere della Sera” del 26 agosto 2010 Famiglia cristiana «ha il cattolicesimo come riferimento, ma non è la voce della Chiesa italiana, così come Avvenire è vicino alla Conferenza episcopale» ma non è l’emanazione diretta della voce dei vescovi.
In ogni caso «tutta la stampa, anche quella cattolica, non ha il diritto di forzare i toni».
L’influente Patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, richiesto di un commento sulle critiche del settimanale dei paolini contro il premier, ha risposto in modo puntuale.
Per Scola «non forzare i toni» equivale a quella che dovrebbe essere una regola del buon giornalismo: «non fare le notizie ma dare le notizie», mentre la «tentazione spesso è quella della verosimiglianza: inseguire il verosimile».
E questo, naturalmente vale per «qualsiasi testata».
Il giorno dopo il nuovo attacco del periodico contro Berlusconi («comanda solo lui») e contro il «berlusconismo» («ha spaccato in due il voto cattolico», mentre «chi dissente va distrutto»), nella Chiesa prevalgono i distinguo più che la prudenza.
Senza «scomuniche», ma è significativo che varie personalità ecclesiastiche abbiano preso le distanze dai commenti del settimanale.
«È lecito che Famiglia cristiana formuli certi giudizi, anche se questo appare del tutto tendenzioso.
Ma non è corretto attribuirli al mondo cattolico», ha detto al Giornale monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e cappellano di Montecitorio.
Il presidente del Club Santa Chiara, un’associazione che riunisce oltre 450 operatori dei media raggruppati sotto il nome della santa patrona della comunicazione, Marco Palmisano, afferma che «se l’unità politica dei cattolici in Italia non esiste più, è colpa dei politici cattolici non di Berlusconi».
Avvenire — che pure negli ultimi tempi non ha risparmiato critiche sulla situazione politica — non ha preso posizione sul caso, limitandosi a riferirne in un «box» di 20 righe a pagina 9.
Silenzio tombale, poi, dai media della Santa Sede, come la Radio Vaticana e l’Osservatore romano.
Mentre il Sir, agenzia dei settimanali cattolici vicina alla Cei, nella sua nota settimanale, pur con un’analisi preoccupata sulla situazione politica, invita a guardare direttamente alle «parole di impegno, di responsabilità e di speranza» delle omelie dei vescovi: quella del cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco per san Lorenzo, quella del cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi per l’Assunta e l’intervento ferragostano del segretario generale della Cei, Mariano Crociata Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate – qualora il piano dei “cinque punti” non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento – non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai “formalismi costituzionali”.
Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla “sovranità popolare” che finora lo ha votato.
La Costituzione in realtà dice: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è  puro “formalismo”.
Quanti italiani avranno saputo di queste parole? Fra quelli che le hanno apprese, quanti le avranno approvate, quanti le avranno criticate, a quanti non sono importate nulla, alle prese come sono con ben altri problemi? Forse una risposta verrà dalle prossime elezioni, se si faranno presto e comunque, come sostiene Umberto Bossi (con la Lega che spera di conseguire il primato nel Nord e, di conseguenza, il solo potere concreto che conta oggi in Italia).
Ma più probabilmente non lo sapremo mai.
La situazione politica italiana è assolutamente unica in tutte le attuali democrazie, in Paesi dove – almeno da Machiavelli in poi – la questione del potere, attraverso cento passaggi teorici e pratici, è stata trattata in modo che si arrivasse a sistemi bilanciati, in cui nessun potere può arrogarsi il diritto di fare quello che vuole, avendo per di più in mano la grande maggioranza dei mezzi di comunicazione.
Uno dei temi trattati in queste settimane dagli opinionisti è che cosa ci si aspetta dal mondo cattolico, invitato da Gian Enrico Rusconi su La Stampa a fare autocritica.
Su che cosa, in particolare? La discesa in campo di Berlusconi ha avuto come risultato quello che nessun politico nel mezzo secolo precedente aveva mai sperato: di spaccare in due il voto cattolico (o, per meglio dire, il voto democristiano).
Quale delle due metà deve fare “autocritica”: quella che ha scelto il Cavaliere, o quella che si è divisa fra il Centro e la Sinistra, piena di magoni sui temi “non negoziabili” sui quali la Chiesa insiste in questi anni? A proposito.
Ivan Illich, famoso sacerdote, teologo e sociologo critico della modernità, distingueva fra la vie substantive (cioè quella che riassume il concetto di “vita” mettendo insieme, come è giusto, e come risponde all’etica cristiana, tutti i momenti di un’esistenza umana, dalla fase embrionale a quella della morte naturale) e ogni altro aspetto della vita personale o comunitaria, a cui un sistema sociale e politico deve provvedere.
Il berlusconismo sembra averne fatto una regola: se promette alla Chiesa di appassionarsi (soprattutto con i suoi atei-devoti) all’embrione e a tutto il resto, con la vita quotidiana degli altri non ha esitazioni: il “metodo Boffo” (chi dissente va distrutto) è fatto apposta.
Beppe Del Colle in Famiglia Cristiana n.
35 del 25 agosto 2010 ”Famiglia Cristiana è vecchia la sua è una visione moralista” intervista a Giorgio Vittadini, a cura di Marco Marozzi in “la Repubblica” del 26 agosto 2010 I ragazzi fanno la fila per la sua mostra sulla crisi.
«Da Lotta Continua a fila continua» ride Giorgio Vittadini sull’ingresso, guida persino fisica al fiume giovanile del Meeting di Comunione e Liberazione.
Poco più in là il cardinal Angelo Scola raccoglie più di diecimila giovani parlando di «Desiderare Dio: Chiesa e postmodernità».
«Tutta la stampa non deve forzare i toni.
Neanche quella cattolica come Famiglia cristiana» bacchetta il patriarca di Venezia.
«E anche Avvenire» aggiunge bipartisan, anche se il quotidiano della Cei ha dedicato alla polemica scatenata dai confratelli delle Paoline venti righe a pagina 9.
Già, Famiglia Cristiana: che ricaduta hanno le sue accuse a Berlusconi di comandare solo lui e di avere diviso i cattolici? «La risposta è quella che vede qui».
Vittadini indica la fiera di Rimini straripante.
Come sempre.
«La posizione di Famiglia Cristiana è vecchia, parziale.
Parte da una visione moralistica invece che dalla proposta di valorizzare il desiderio più vero delle persone.
Se si riduce il desiderio ai propri schemi moralistici, non si pone nessuna radice per il cambiamento».
Vittadini è il presidente e il fondatore della Fondazione per la Sussidiarietà, dopo esserlo stato della Compagnia delle Opere.
Le strutture terrene di CL.
Lui, professore di statistica alla Bicocca di Milano, ascetico e gaudente, è l’anima, pardon l’uomo dialogante e insieme importante del movimento.
Le sue parole, «Basta demiurghi», sono state applaudite dai cattolici del Pd.
Basta Berlusconi? «Berlusconi ha i limiti di una concezione ma anche il merito di essersi preso le sue responsabilità.
Piaccia o non piaccia.
Il bipolarismo all’italiana ha creato solo demiurghi, tribuni della plebe, cooptazioni, la politica dei talkshow e dei salotti pensati per far vincere il conduttore».
Rimpiange la Dc? Punta su Fini e Casini che vogliono rifare il centro? «Magari rimpiango il Partito Popolare di Sturzo.
Non so cosa vogliano fare.
Io rimpiango certi valori della Prima Repubblica.
La capacità di costruire anche quando il contrasto era feroce.
Il problema è la fine dei leader che sorgevano da una trafila lunga e dura fra la gente comune.
Era un cursus honorum da dove alla fine uscivano i migliori».
Berlusconi come lo colloca? «Non si può continuare a viverlo come un demonio o un demiurgo.
Lo statista non è un divo, è un primus inter pares, da solo non risolve i problemi.
Il Parlamento dovrebbe essere il contraltare al governo.
Invece con l’attuale sistema si è buttato via il bambino insieme all’acqua calda».
Meglio andare a votare? «No.
Questo governo, non uno tecnico o istituzionale, deve andare avanti per cinque anni perché è quello uscito dalle elezioni e poi perché la priorità oggi è la crisi economica.
Ha comunque controllato i conti pubblici, e sta cominciando a metter mano al federalismo, al welfare, all’università.
Il limite sono gli sprovveduti messi dai partiti in Parlamento».
Cosa chiedo a (certi) cattolici di Paolo Flores d’Arcais in “il Fatto Quotidiano” del 26 agosto 2010 “Con Dio o senza Dio, cosa cambia?”.
Un paio di mesi fa l’arcivescovo di Lucca mi invitava a discutere su questo tema, nella basilica della sua città, in dialogo con padre Enzo Bianchi.
Cosa può unire un ateo e un credente in Gesù morto e risorto? Che impegno comune possono realizzare? Questo il cuore di quel pomeriggio di confronto, per me indimenticabile, di fronte a mille persone in stragrande maggioranza cattoliche.
Una questione che mi sembra più che mai di attualità nell’Italia che si appresta – nelle prossime cruciali settimane – a decidere il futuro della propria convivenza, se quella indicata dalla Costituzione democratica o quella basata sulla prevaricazione dei più forti.
Una questione che l’editoriale di “Famiglia cristiana” rende una volta di più ineludibile.
Affinità e differenze UN ATEO e un credente sono separati dalla fede, ovviamente.
Per te, amico cristiano, questa vita è slo un passaggio, un preludio alla vita futura che non avrà mai fine, e quanto avviene nella storia umana, e anzi nell’intera vicenda del cosmo, dal big bang in avanti, ha un senso e uno scopo, nasce dalla volontà di Dio.
Per me tutto si gioca e si conclude nella finitezza dell’esistenza, la mia morte sarà come quella di una qualsiasi altra scimmia, di un qualsiasi altro organismo.
Tutto tornerà come era prima che nascessi, il mondo senza di me e io nel nulla.
Un mondo che non ha alcun senso, che è nato dal caso: il senso, alla vita individuale e collettiva, dobbiamo provare a darlo noi, se ci riusciamo.
Ma proprio a partire da qui, tra l’ateo e il cristiano è possibile assai più che alleanze e convergenze, è possibile un agire comune.
Cristiano è infatti in primo luogo – o almeno dovrebbe, se la parola vuole avere un senso – colui che ascolta e cerca di applicare il messaggio di Gesù di Nazareth codificato nei vangeli.
Dove – aprendo una pagina a caso – viene ricordato che il primo dovere di chi ha fede è quello di stare dalla parte degli ultimi, di dare al povero la metà del proprio mantello, perché è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che per un ricco si apra la porta del paradiso.
Dove il Gesù dell’amore e della mitezza diventa furia di intolleranza solo con i mercanti del tempio, perché trasformano un luogo dello spirito in una spelonca di ladri, e con chi dà scandalo ai piccoli, perché sarebbe meglio che si gettasse in mare con una macina al collo, e con i farisei e chi non parla secondo “il tuo dire sia sì sì, no no”, perché ogni “di più viene dal maligno”.
Per un ateo, se democratico, e per un credente, se cristiano, l’impegno comune dovrebbe perciò essere la cosa più semplice ed ovvia del mondo.
Caro amico che credi in un Dio crocefisso e risorto, sul piano filosofico avremo sempre difficoltà a capirci.
Io trovo assurdo che tu possa immaginare che non morirai mai, tu trovi che la mia vita, priva di trascendenza, sia irrimediabilmente impoverita.
Ma sul piano civile, della nostra esistenza in comune, nulla ci divide.
Uno dei comandamenti dice infatti “non ruberai”, nessun comandamento si preoccupa di cellule staminali, fissazione di Ratzinger e di Giuliano Ferrara, ignota a Gesù, e non certo perché non fossero state ancora scoperte.
Ama il prossimo tuo come te stesso, è la sintesi che quel profeta ebreo di Galilea offre per il suo insegnamento.
Quel prossimo che è l’immigrato esattamente e anzi più dei fratelli o del padre e della madre (che nei vangeli Gesù tratta tutti più volte con sprezzante durezza).
Gesù fa appello alla coscienza di ciascuno, non all’obbedienza verso le autorità, verso i sommi sacerdoti di una Chiesa gerarchica che non si è mai sognato di fondare (la chiesa per Gesù è solo il riunirsi di chi ha fede in agape fraterna).
Diktat di obbedienza IL MESSAGGIO terreno di Gesù è un messaggio di giustizia e di libertà.
Tra i più radicali, e perciò divenuto paradigmatico di tante rivolte.
Il messaggio della Chiesa gerarchica che pretende di avere in monopolio le chiavi della volontà di Cristo è invece divenuto, nei momenti cruciali della modernità, un diktat di obbedienza, volto fin troppo al mantenimento del privilegio.
Mentre il padre degli Stati Uniti d’America, Thomas Jefferson, proclama il “muro di separazione” tra chiese e democrazia, tra politica e religione, e in nome non solo del liberalismo di Locke ma anche della morale di Gesù (di cui pubblica il “vangelo autentico”, epurato di tutte le incrostazioni delle “chiese” che li renderanno “canonici”), i papi si esercitano nell’anatema contro l’autonomia che gli esseri umani cominciano a rivendicare.
Questa divaricazione della fede percorre tutta la modernità, ed è oggi più che mai presente.
C’è infatti la fede di monsignor Romero, martirizzato dagli squadroni della morte delle oligarchie, e quella di Karol Wojtyla che si affaccia insieme a Pinochet da un balcone (e che mette sullo stesso piano la donna che abortisce e l’SS), come ci fu ieri quella di Bonhoeffer, impiccato per resistenza al nazismo, o di don Minzoni, trucidato dal fascismo, e quella di Pio XII, corrivo verso l’uno e l’altro.
Non sempre la contrapposizione è così netta, ovviamente.
E talvolta i due modi di vivere la fede si intrecciano e alternano nella stessa persona.
Non possono però mai conciliarsi fino in fondo.
I valori del vangelo o la supremazia della gerarchia: ogni credente, alla fin fine, compie una scelta.
Il cristianesimo di chi decide il primo corno, quello di tanti “preti di strada” e delle loro associazioni di volontariato, è per molti di noi, atei democratici, una lezione quotidiana di coerenza.
Pochi di noi trovano il coraggio di vivere radicalmente i valori di giustizia e libertà fino a quel punto di generosità e abnegazione.
E sono proprio queste persone di fede che, in genere, praticano anche una rigorosa laicità, considerano forse peccato l’aborto o l’eutanasia, ma peccato ancor più inammissibile pretendere di negarlo con la violenza della legge a chi peccato non lo considera.
Con questi credenti, che spero siano sempre di più, ci aspettano mesi di impegno senza risparmio, sotto la comune bandiera di chi vuole realizzare la nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Contro coloro che vogliono assassinarla.
Mons.
Bregantini: «Ha ragione Famiglia cristiana» Di Iaia Vantaggiato in “il manifesto” del 26 agosto 2010 Prima Famiglia cristiana che attacca il presidente del consiglio, colpevole di aver spaccato  il mondo cattolico e dimezzato la Costituzione.
Poi la Cei che interviene sulla questione di Melfi, plaude all’intervento di Giorgio Napolitano – «nobilissimo, rapido, incisivo e lucido» – e attacca la Fiat: «Negando i diritti della persona e alla luce della dottrina sociale della Chiesa, l’azienda sta compiendo un errore etico».
Certo a parlare non è il cardinal Bagnasco ma l’arcivescovo di Campobasso, mons.
Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace.
E che la sua non sia una voce rappresentativa dell’intera conferenza dei vescovi italiani lo dimostra il fatto che, alle sue affermazioni, il sito di Avvenire – quotidiano della Cei – abbia dedicato ieri solo tre righe virgolettate alla fine di un pezzo in cui le lodi della Fiat e di Emma Marcegaglia venivano tessute, eccome.
Si spacca la Cei sulla questione di Melfi ma si spacca soprattutto sulla posizione da prendere nei confronti del governo.
Sembra partire da lontano Bregantini quando dice che «il Meridione del Paese sta attraversando un momento difficile ed è lasciato sempre più solo da questa pseudo-crisi che sta logorando la politica italiana».
Ma così non è perché l’accordo siglato ieri sul Lago Maggiore da Bossi e Berlusconi porta con sé l’attuazione di un’ipotesi federalista di stampo nordico avversata da buona parte della Chiesa e del mondo cattolico italiano.
E se anche il punto non riguardasse solo il federalismo – che chissà se e quando arriverà – dei malumori di quel mondo il presidente del consiglio dovrebbe cominciare a tenere conto soprattutto dopo aver sacrificato i centristi sull’altare del Carroccio.
«La crisi avviene su questioni personali – dice Bregantini – e non sulla questione del bene comune, cioè il bene della collettività nazionale».
Quindi l’affondo finale e il pubblico esordio di una nuova alleanza: «Sono concetti che ha spiegato bene Famiglia cristiana».
Bregantini non sarà Bagnasco ma che Berlusconi debba aspettarsi a breve l’apertura di un nuovo fronte incandescente lo dimostrano le affermazioni della Sir, l’agenzia vicina alla Cei che nella sua nota settimanale ieri dedicata alla politica scrive: «L’analisi della situazione non può che essere preoccupata, in particolare di fronte al senso di frammentazione e al risaltare di egoismi e particolarismi».
L’uscita del cofondatore del Pd prima e del Pdl poi altro non sarebbero, secondo la Sir, che «gli effetti della crisi dei contenitori politici costruiti per le elezioni del 2008».
Un modo non proprio entusiastico di definire il bipolarismo made in Italy.
Ma – forse – anche un modo per auspicare la «fine» di quel bipolarismo e dell’egemonia di Berlusconi.
Non per amor di patria o di coscienza ma perché al Vaticano, un Berlusconi ostaggio della Lega, non serve più

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