Il dottor Mario Alfani, cardiologo e presidente dell´Ordine dei medici, prende in mano una tavoletta.
«Questo ex voto del 1898, sigla Br 16657, è quello che più mi colpisce.
Il malato a letto guarda alla sua sinistra, verso l´alto.
Lì c´è una Madonna circondata da angioletti.
Prega e invoca un miracolo.
A destra del letto c´è invece il medico, in abito nero – i medici allora erano sempre vestiti di scuro – che non guarda il malato ma appoggia le mani su un tavolino e abbassa la testa, sconsolato.
Non sa più che fare.
Tutti noi medici abbiamo vissuto momenti come questo, quando senti dentro l´angoscia perché hai capito che per il paziente non puoi più fare nulla.
Per fortuna questo è un ex voto: se la tavoletta è stata portata in un santuario, vuol dire che il malato è guarito».
In terra astigiana è nata una strana alleanza: medici e sacerdoti (che per centinaia d´anni sono andati d´accordo come ghibellini e guelfi) si sono messi assieme per studiare gli ex voto portati nei santuari negli ultimi sette secoli.
«Siamo stati spinti dalla curiosità.
Come ci hanno visto, e giudicato, i nostri pazienti? Le tavole sono una microstoria che parte dal Medioevo e dentro ci siamo anche noi.
Per questo abbiamo chiesto al progetto culturale della diocesi di collaborare a questo studio.
Le tavole sono state raccolte e osservate una a una.
Presto apriremo una mostra ma già ci siamo riuniti a convegno: come medici, storici e teologi abbiamo guardato il nostro passato come in uno specchio».
Settecento tavole, quasi tutte su legno.
Camici bianche e tonache nere sono partiti da qui per studiare il rapporto fra «fede e salute» e riflettere sulla «religiosità popolare nella cura della malattia e nella professione medica».
«Nelle tavole – dice il dottor Alfani – c´è il racconto della medicina che piano piano riesce a dare risposte sempre più precise.
All´inizio non era così.
Questo paziente con la testa rotta, ad esempio, è solo fasciato.
Invoca i santi, non ha altra speranza, anche perché nella stanza non c´è nemmeno il medico.
Ma in tante tavole anche noi siamo presenti perché chi sta male invoca un doppio aiuto, il nostro e quello del cielo.
Ma quasi tutte le immagini sembrano spaccate in due.
Il paziente guarda verso l´alto, dove fra nuvolette e angeli appaiono i protettori, e anche i parenti, quasi sempre inginocchiati, guardano nella stessa direzione.
Il medico è invece accanto al letto e volta le spalle all´immagine sacra.
Nessuno lo guarda, nemmeno il paziente.
Ma resta comunque lì, a portare il suo aiuto terreno».
Non è mai stato facile il rapporto fra medicina e religione.
«Nella sacra scrittura – dice don Vittorio Croce, docente di teologia – c´è un certo rispetto per i medici ma non manca una vena di pessimismo.
Nel Siracide, II secolo avanti Cristo, si parla bene di questa professione ma si ricorda che la guarigione è sempre dono del Signore.
E si aggiunge: “Chi pecca contro il proprio creatore cada nelle mani del medico”.
Ancor più pesante, nel Vangelo, la notazione di Marco sulla donna colpita da perdite di sangue da ormai dodici anni: “Aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi peggiorando”».
«Le icone sono davvero anche la storia della malattia e della medicina», dice il presidente dei medici.
«Nei primi secoli, quasi tutti i malati sono nei loro letti, a casa loro.
Andare all´ospedale, per chi era abbiente, era un affronto.
Voleva dire che si era messi molto male e anche che non c ´erano più i mezzi per essere curati a casa propria.
Ci sono anche le stanze delle case dei poveri, con letti stretti e nessun mobile.
Poi appaiono le prime “camerate” da ospedale, e alcune sono quelle del nostro nosocomio astigiano, che trovò posto in un ex convento.
Quando i letti affiancati sono tre o quattro, e tutti i degenti appaiono nelle stesse condizioni, significa che la grazia chiesta era quella di guarire da un´epidemia, come colera, peste o vaiolo.
Si nota, in queste tavole, anche la cronologia dei rimedi trovati dalla scienza medica: si passa dall´impiastro allo sciroppo, dalla pillola all ´iniezione, e in un ultimo “Deo Gratias” di pochi decenni fa, appare anche la flebo.
I medici un tempo vestiti di nero, nel secolo scorso cominciano ad usare il camice bianco e accanto a loro appaiono prima le suore e poi le infermiere».
Le icone raccontano anche l´infortunistica, soprattutto quella del lavoro.
«Ci sono il barocciaio travolto dal cavallo, il contadino incornato dal toro, il muratore che cade dall´impalcatura.
Ci sono gli incidenti strani: questo bambino, ad esempio, è stato beccato a un occhio da un pavone.
Questa bambina è stata scottata dall´acqua bollente.
Buoi e cavalli lasciano il posto alle macchine a vapore, poi alle automobili e ai trattori.
Guardando le date, si scopre quando nelle nostre campagne è apparsa la prima trebbiatrice.
Ma ci sono quadri in cui non sono raccontati nessuna malattia evidente e nessun incidente: questa tavoletta numero 6661 mostra una persona semplicemente seduta su una seggiola accanto al letto, testa bassa, volto triste.
Credo che questa sia la prima rappresentazione di un problema oggi tanto diffuso: la depressione».
La rassegna degli ex voto alla fine consola il dottor Alfani.
«In fondo si capisce che chi invoca la guarigione si affida alla Madonna e ai santi ma anche a noi.
Il medico è sempre stato indispensabile.
Cambiano le terapie ma il rapporto medico-paziente è sempre fondamentale.
Io penso che la fede possa aiutare e integrare il nostro lavoro.
Non credo a un effetto placebo della fede ma in certi casi – quando il malessere non è solo fisico ma psicologico o psichico – il rapporto con il medico e la fiducia che si ripone in lui diventano fondamentali.
E per recuperare tranquillità ed equilibrio anche la preghiera a un santo può dare un aiuto.
Una preghiera non ripara una frattura e non elimina una cirrosi, ma sappiamo che la personalità umana è complessa e noi camici bianchi non abbiamo nessun monopolio».
«In molte tavolette – racconta Renato Bordone, ordinario di Storia medioevale all´Università di Torino – la figura del medico compare fra i protagonisti della scena, occupando una parte dello “spazio terreno” insieme al malato e ai suoi familiari.
Lo “spazio celeste” è riservato invece al protettore (Madonna o santo), per lo più avvolto da un nimbo sacro o da nuvole.
Sebbene in qualche caso medico e familiari compaiano schiena contro schiena – l´uno pensoso, rivolto al malato, gli altri rivolti al santo, quasi ignorando il medico – è chiaro che la presenza del medico nel quadro rientra anch´essa nell´ottenimento della grazia: in un certo senso è riconosciuta la sua collaborazione al “miracolo”».
Gli ex voto hanno iniziato ad apparire nella seconda metà del secolo Tredicesimo.
Prima si portavano nelle chiese oggetti di cera simbolici, un contro-dono alla grazia ricevuta.
«Gli ex voto – dice il docente – sono un documento culturale, un messaggio codificato per testimoniare credenze, paure, speranze.
Se ne ricavano informazioni interessanti.
Per esempio nella diocesi di Brescia – e secondo i primi esami anche qui ad Asti – si è scoperto che gli ex voto per malattia coprono la metà del materiale fino al principio del secolo Ventesimo, poi decrescono forse per i progressi della medicina, mentre aumentano quelli per incidenti sul lavoro, collegati con lo sviluppo dell´industria e della meccanizzazione delle campagne».
Nei santuari gli ex voto recenti sono ormai mosche bianche.
«Questo succede – dice don Alessandro Quaglia, architetto che cura i beni culturali della curia vescovile – perché la pietà si è affievolita nel nostro popolo.
Un tempo c´era il Padreterno a pensare a tutto, ora ci sono i medici».
Il presidente dell´ordine dei camici bianchi non è d´accordo.
«Gli ex voto sono soltanto cambiati.
Un tempo si andava dall´artista del paese per fare dipingere una tavoletta di ringraziamento per il santuario, adesso si fanno donazioni alla Lega antitumori o ad altri enti di ricerca».
Erano specialisti anche i santi, in questa terra.
«Il santo al quale qui da noi sono titolate più chiese – ricorda il teologo don Vittorio Croce – è San Rocco, invocato contro la peste di uomini e di animali.
Segue San Sebastiano, ucciso a colpi di freccia, protettore contro tutte le malattie del corpo e dello spirito.
Sant ´Antonio abate o del porcello viene invocato a protezione delle stalle ma anche dei cristiani, contro il fuoco detto appunto di Sant´Antonio.
Sempre San Sebastiano e San Grato difendono dalla grandine, Santa Lucia protegge gli occhi, San Defendente contro tutti i mali, Sant´Apollonia contro il mal di denti, San Biagio contro il mal di gola, Santa Libera è invocata per la fecondità e la protezione dei neonati…
Nel Vangelo Gesù guarisce molte malattie: lebbra, sordità, mutolezza, cecità, zoppìa (da poliomelite?), paralisi, idropisia, emorragia, febbre, pazzia.
Di lui la gente dice: “Ha fatto tutto bene: ha fatto udire i sordi e parlare i muti”.
Gesù “guarisce”.
Stranamente, non conforta i malati con quelle che noi chiamiamo “consolazioni di fede”, elevando la loro mente nella speranza del premio eterno, invitando a considerare il significato positivo della sofferenza come stimolo al pentimento dei peccati.
Noi, per lunga tradizione ascetica, per secoli abbiamo poi considerato la malattia e la sofferenza come una grazia in se stessa.
Io credo che il Concilio Vaticano II abbia trovato la giusta sintesi: “L´uomo gravemente infermo ha bisogno, nello stato di ansia e di pena in cui si trova, di una grazia speciale di Dio per non lasciarsi abbattere, con il pericolo che la tentazione faccia vacillare la sua fede”».
in “la Repubblica” del 13 giugno 2010
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