Dopo il famoso rapporto Kinsey degli anni ’50 sulla sessualità degli americani si sono moltiplicate anche nel nostro paese le ricerche volte a far luce sull’evolversi del costume in tale campo con indagini settoriali di indubbia importanza.
Ciò che tuttavia finora mancava era una ricerca che offrisse un quadro globale, ricostruendo le credenze e i sentimenti, i valori e le norme che ispirano oggi la condotta sessuale degli italiani.
A questa mancanza supplisce una interessante indagine curata da Marzio Barbagli, Giampiero Dalla Zuanna e Franco Garelli (due sociologi e un demografo molto noti) e da una serie di altri collaboratori, pubblicata in un volume dal titolo La sessualità degli italiani (Il Mulino, Bologna 2010).
L’indagine, basata su tre ricerche condotte con tecniche diverse, riguarda un campione di 7000 italiani tra i 18 e i 70 anni, suddivisi equamente per età, sesso, classe sociale e luogo di residenza ed è stata realizzata utilizzando due questionari quantitativi molto articolati e una rassegna di 120 interviste che, partendo dai vissuti personali, fa emergere le dinamiche sottese alle scelte degli intervistati.
ricostruzione del contesto socioculturale L’inchiesta muove anzitutto dalla considerazione che i modelli comportamentali, le identità e le regole che qualificano i modi di sentire e di vivere la sessualità nel nostro paese sono il frutto di profondi processi culturali, che si sono prodotti in modo assai rapido e che hanno segnato il passaggio da una visione della sessualità nella quale a prevalere era un orientamento procreativo (e in alcuni casi, assai limitati, ascetico), che ne circoscriveva rigidamente l’uso all’interno del matrimonio tra persone di sesso diverso, ad una visione in cui gli orientamenti prevalenti sono quello affettivo, che considera l’attività sessuale come espressione dell’amore tra partner e come consolidamento del legame tra di essi, e quello edonistico per il quale l’attività sessuale è finalizzata al solo piacere fisico, raggiunto ricorrendo anche a più partner in incontri occasionali.
Gli autori dell’inchiesta non mancano di rilevare, nell’introduzione al volume, che il modello procreativo, favorito a lungo dall’influsso esercitato dalla chiesa cattolica — è sufficiente ricordare la enciclica Casti Connubi di Pio XI del 1930 che ribadisce il primato della procreazione quale fine del matrimonio — non era esente da pesanti ipoteche negative.
Accanto alla «doppia morale» tra uomo e donna, dovuta a una errata considerazione della differenza tra sessualità maschile e femminile — la donna veniva ritenuta sostanzialmente priva di bisogni sessuali — venivano infatti elaborati una serie di divieti — si pensi soltanto al rifiuto del divorzio e dei mezzi che impediscono la procreazione e alla demonizzazione dell’omosessualità — ed erano invece tollerati (e persino giustificati) comportamenti aberranti come il delitto di onore e l’infedeltà maschile, adducendo rispettivamente come motivo la legittimità di farsi giustizia da sé e le insopprimibili esigenze fisiologiche del maschio.
Il momento decisivo della svolta verso una concezione diversa della sessualità è comunemente identificato nella rivoluzione culturale inaugurata dal Sessantotto, e in particolare nella critica radicale mossa alla «famiglia borghese».
Gli autori dell’inchiesta non mancano tuttavia di rilevare l’esistenza di importanti antecedenti, che risalgono agli inizi del Novecento (e, per taluni aspetti, a una fase ancora precedente), anche se i mutamenti avvenuti in quelle epoche erano ristretti alla vita privata e appannaggio di categorie elitarie, mentre soltanto negli anni ’60 del secolo scorso essi hanno assunto connotati di massa e sono divenuti di natura pubblica.
che cosa è cambiato? A provocare anche in Italia i cambiamenti di mentalità e di costume nei confronti della sessualità sono stati, da un lato, il fenomeno della secolarizzazione, che ha determinato la nascita di una nuova visione della vita e del mondo, non più ancorata ad un universo simbolico religioso o sacrale ma caratterizzata da un’autonoma definizione dei significati della realtà; e, dall’altro, la cultura individualista, che si è progressivamente affermata nella modernità e che ha conferito un ruolo di sempre maggiore centralità alla ricerca della realizzazione di sé.
Ciò che viene in questo contesto a modificarsi è anzitutto l’atteggiamento di fondo con il quale ci si accosta alla sessualità, con l’affermarsi – come già si è rilevato – di una visione contrassegnata dal primato dell’aspetto unitivo – la sessualità come sorgente ed espressione dell’amore interpersonale – e di quello ludico o edonistico, incentrato sulla ricerca del piacere.
Non meno significativi sono inoltre i cambiamenti che si producono nella sfera dei comportamenti e che riguardano i vari ambiti in cui la vita sessuale viene dispiegandosi: dall’autoerotismo ampiamente praticato (e giustificato in quanto fonte di piacere e di rassicurazione soggettiva) all’estensione allargata dei rapporti prematrimoniali; dal forte incremento delle separazioni e dei divorzi – il 30% dei matrimoni iniziati negli anni ’90 del secolo scorso hanno subìto questo destino – al controllo della fecondità mediante la contraccezione (con una netta preferenza per il condom); dalla diffusione delle convivenze more uxorio, dovute anche alla necessaria posticipazione delle scelte di vita per la difficoltà di ingresso stabile nel mondo del lavoro, alla consistente tendenza alla sperimentazione con diversi partner; fino all’erotizzazione di tutto il corpo con l’adozione sempre più ampia di pratiche hard quali i rapporti orali e anali.
Piuttosto alta è, infine, la percentuale di persone che dichiarano di non sentirsi attratte solo da persone dell’altro sesso (11,6%), anche se poi soltanto il 2,6% afferma di provare attrazione esclusivamente per lo stesso sesso e 1’1,2% si proclama apertamente omosessuale.
Ad emergere dall’insieme dell’inchiesta – in aperto contrasto con quanto vanno da tempo sostenendo le indagini giornalistiche – è dunque l’importanza sempre maggiore che il sesso riveste per gli italiani (con un incremento dei rapporti sessuali anche oltre l’età riproduttiva) e, nello stesso tempo, il tendenziale ancoraggio della sessualità ad un orizzonte affettivo-relazionale, confermato anche dal forte assenso dato al principio della fedeltà:1’85% degli intervistati condanna infatti apertamente il tradimento, anche se circa un terzo di essi ammette di averlo praticato.
L’indagine rivela pertanto un sostanziale allineamento dell’Italia ai paesi del Nord Europa; allineamento che si è tuttavia attuato con un certo ritardo e non senza alcune rilevanti differenze.
La prima di esse è costituita dalle disuguaglianze di genere: pur essendo diminuita di molto la distanza tra uomo e donna (ed essendo scomparse le diversità di approccio a molti dei temi affrontati dall’inchiesta), i rapporti non sono ancora del tutto simmetrici; persistono disparità di trattamento che segnalano la presenza, in misura più rilevante che negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa centrosettentrionale, di uno stato di dipendenza della donna dall’uomo.
La seconda differenza riguarda il modo di accostarsi all’omosessualità, e in particolare la discrepanza esistente – come si è accennato – tra sentimenti, comportamenti e identità, che è motivata dalla difficoltà di molti a dichiarare la propria condizione in ragione di una pressione sociale che svolge tuttora una rilevante funzione di marginalizzazione.
Lo scorporo dei dati dell’inchiesta, non solo in relazione alla differenza sessuale ma anche al ceto sociale, all’età e alla residenza consente infine di delineare – come non mancano di fare gli autori del volume – le varie tappe attraverso le quali si è prodotto il cambiamento e di mettere a fuoco le motivazioni che hanno condotto a un approccio diverso alla sessualità.
Le trasformazioni risultano così il frutto di un processo che ha avuto inizio a partire dai ceti sociali più alti e dalla popolazione dei centri urbani; un processo che è oggi soggetto a una forte accelerazione ad opera delle nuove generazioni che, facendo propria una visione più libera e autocentrata della sessualità, non esitano a dare vita a forme sempre più frequenti di sperimentazione.
l’influenza della religione Particolare interesse riveste, al fine di una ricerca dell’influsso che sulla percezione della sessualità hanno le visioni di fondo della vita e del mondo, l’ultimo capitolo del volume (il IX) nel quale Franco Garelli analizza la rilevanza dell’orientamento religioso, mettendo tra loro a confronto le risposte fornite da due gruppi di soggetti che esprimono al riguardo le posizioni più estreme: i «senza religione» e i «credenti convinti e attivi».
Da tale confronto si evidenzia come la religiosità continui ad esercitare un peso non indifferente sulla concezione e sulla pratica della sessualità, contribuendo in misura non secondaria alla definizione del suo significato e all’adozione degli stili di vita conseguenti.
Al di là della naturale convergenza con le posizioni della cultura dominante su alcune tematiche, e in particolare circa l’importanza da assegnare al rapporto stabile con una persona, i credenti convinti ed attivi si distinguono per una maggiore attenzione alla finalità procreativa e per un atteggiamento meno aperto e flessibile circa l’uso della sessualità, rifiutando in linea di massima rapporti senza coinvolgimento affettivo.
La sessualità è, in altre parole, da essi concepita come una realtà da vivere entro i binari di rapporti di coppia ben definiti, e da subordinare perciò a una decisione di fondo che impegna, con una consistente riduzione dei desideri libertari e trasgressivi.
A venire privilegiate sono, in definitiva, l’attenzione alla comunicazione e alla continuità del rapporto – la fedeltà alla persona è qui senz’altro il valore dominante – e l’esigenza di inserire conseguentemente le pratiche sessuali in un contesto relazionale, limitando i consumi erotici e le esperienze edonistiche.
Da questa visione di fondo derivano una serie di valutazioni più problematiche nei confronti delle convivenze more uxorio o del riconoscimento delle coppie omosessuali, una maggiore valorizzazione della verginità, una minore tendenza alla sperimentazione e un’attenzione ad assoggettare la pratica sessuale al rispetto della legge della gradualità.
Più omogenee con le tendenze proprie del contesto culturale sono invece le valutazioni riguardanti la liceità dei rapporti prematrimoniali, della contraccezione e dell’autoerotismo; e questo, a maggior ragione, quando si tratta dei più giovani, dove le differenze tra credenti e non risultano molto più sfumate, poiché prende corpo una visione più secolarizzata della vita, che giustifica il ricorso a una maggiore sperimentazione.
lo scisma sommerso Al riconoscimento dell’influsso ancora considerevole del fattore religioso sembra opporsi la crescente distanza di un numero sempre più vasto di credenti convinti e attivi dalle indicazioni morali della chiesa cattolica; distanza che si traduce nell’assunzione di un orientamento autonomo o, secondo altri, nell’affermarsi di una adesione selettiva.
La mancata conformità alle direttive ufficiali del magistero ecclesiale, che non viene soltanto sistematicamente disatteso in campo di etica sessuale a livello dei comportamenti ma di cui vengono rifiutate anche le motivazioni che giustificano le varie normative, solleva (e non può non sollevare) seri interrogativi.
Lo «scisma sommerso» – come lo ha definito il filosofo Pietro Prini – non nasce, stando agli esiti della ricerca, da cattiva volontà o dal rifiuto di valori di fondo, che risultano tuttora largamente riconosciuti ed accettati e, in misura più ristretta (ma non per questo poco significativa in un contesto come l’attuale), anche praticati.
Il dissenso verso le posizioni dell’istituzione ecclesiale su questioni come la regolazione delle nascite, la masturbazione, i rapporti prematrimoniali, l’omosessualità, ecc.
non è pertanto espressione – come talvolta si afferma – di adeguamento alle logiche dominanti, di indulgenza cioè nei confronti di una concezione meramente ludica o edonistica del sesso.
Il fatto che si concepisca la sessualità anche come apertura alla vita, inserendola in un orizzonte più ampio di quello della pura fruizione del piacere; che si assegni alla fedeltà verso l’altro e alla reciprocità e autenticità dei rapporti un ruolo decisivo per l’esercizio dell’attività sessuale; che si riconosca l’importanza di un approccio graduale all’esercizio della sessualità in stretta connessione con lo sviluppo della relazione, la quale viene maturando progressivamente, sono altrettanti indicatori di un percorso altamente riflessivo.
Il rifiuto di alcune prescrizioni normative, ribadite con rigidità anche di recente dalla chiesa cattolica, non è allora piuttosto rifiuto di una concezione della sessualità percepita come anacronistica, perché legata a una cultura repressiva del passato, che tuttavia continua a persistere? E non è giunto forse il momento di una revisione critica di tali prescrizioni – suggerita del resto anche da alcune importanti indicazioni del Concilio – che rimetta al centro i grandi valori umani ed evangelici che nobilitano la sessualità e restituisca alla coscienza dei singoli una effettiva possibilità decisionale da gestire responsabilmente nel vivo delle situazioni concrete? in “Rocca” n.
11 del 1 giugno 2010
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