Non è ancora domani (la pivellina)

Si può fare buon cinema con pochi mezzi e attori presi dalla strada se si hanno sensibilità e capacità di raccontare con semplicità storie che, seppur inventate, odorano comunque di vita vera, vissuta nella quotidianità.
Un cinema che cattura con l’essenzialità del mezzo tecnico la complessità dell’esistenza.
Come avviene in Non è ancora domani (la pivellina), un film di Tizza Covi e Rainer Frimmel, giunto nelle sale italiane dopo essere passato con successo lo scorso anno a Cannes nell’ambito della Quinzaine des réalisateurs aggiudicandosi il Label Europa Cinemas come miglior film europeo.  Una storia semplice, dunque; il racconto di una genitorialità tardiva, certo singolare; sicuramente non voluta ma accettata, accolta con disponibilità, anzi con quella generosità tipica di chi da sempre vive ai margini della società e sa bene quanto siano importanti i vincoli di solidarietà.
Infatti, pur con le difficoltà che la famiglia deve affrontare in questa situazione inattesa, dovute alla precarietà delle condizioni economiche e di vita, nonché al dover imparare all’improvviso a essere genitori sia pure temporaneamente, i coniugi regalano a quella piccola sconosciuta il loro amore.
Un amore sincero, e tuttavia adulto, capace cioè di porsi un limite di fronte a una situazione che sanno non potrà durare.
E in questa attesa di un lieto fine, auspicato eppure vissuto con comprensibile tristezza, si coglie l’essenza dei protagonisti:  dei due coniugi e del tredicenne, anch’egli con un’infanzia difficile – vive con la nonna dopo la separazione dei genitori – che si prende cura della bimba come fosse una sorella.
Un’essenza che si scopre affatto diversa da quella che emerge dai pregiudizi che disegnano in modo rozzo e meschino, come tutti gli stereotipi, la vita degli artisti di strada e di quanti, come loro, vivono ai bordi della società.
Una vita marginalizzata e discriminata, ma non sminuita, semmai arricchita da esperienze e da rapporti resi più veri e saldi proprio dall’incertezza.
Seguendo la piccola Asia, il suo accattivante e contagioso sorriso, lo spettatore è costretto a entrare in una realtà povera e precaria, ma ricca di calore umano e di allegria.
E attraverso la storia di questa vivace e simpatica bambina, scopre un mondo diverso.
Grazie alla spontaneità degli attori, chiamati semplicemente a essere se stessi con una sceneggiatura ridotta all’osso, a una fotografia che non camuffa la realtà, restituendo i colori veri dell’inverno in un’anonima periferia urbana, nonché a riprese rese ancora più realistiche dall’uso di un super 16 millimetri e senza l’ausilio di luce artificiale, i due autori – di cui si coglie l’esperienza di documentaristi – confezionano un film intenso, toccante, delicato.
Il cui pregio, come avveniva per il neorealismo, sta proprio nel mostrare una realtà senza filtri, senza costruzioni fittizie, con il suo scorrere naturale, centrando la storia su persone semplici.
Un film che con sensibilità e misura lascia cadere tanti piccoli semi:  il valore della famiglia, la genitorialità vissuta anche verso figli non propri, la spontaneità dell’accoglienza e della solidarietà, la dignità pur nella precarietà, la stupidità di preconcetti che negano umanità laddove forse ce n’è più che altrove.
Peccato che Non è ancora domani (la pivellina) bisognerà andarselo a cercare, e in fretta, in quelle poche sale che hanno avuto il coraggio di accettare la scommessa di un film piccolo piccolo.
Ma migliore di tante pubblicizzate pellicole, grandiose per spettacolarità ed effetti speciali, ma incapaci di emozionare.
di Gaetano Vallini (©L’Osservatore Romano – 27 maggio 2010) Ambientato a San Basilio, periferia di Roma, la pellicola racconta la storia – non vera ma credibile – di Asia, due anni, abbandonata in un parco su un’altalena, con in tasca un messaggio della mamma che promette un giorno di tornare a riprenderla.
La piccola viene trovata dalla cinquantenne Patti, una donna che vive assieme al marito Walter in una roulotte in un campo in cui sosta una comunità di circensi.
Patti convince l’uomo a non rivolgersi alla polizia e con l’aiuto di Tairo, un ragazzino loro vicino di casa, inizia a cercare la madre della bambina.
Ma nel frattempo le dona, con il marito e il ragazzo, affetto sincero e una casa.

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