Bruno Forte: chiediamoci se è giusto eticamente

L’intervista Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo «L’atteggiamento di fondo della Chiesa è di attenzione e simpatia.
Contrapporre a priori scienza e fede non ha senso».
Che ne dice, eccellenza? «La prima cosa è l’ammirazione per le capacità dell’intelligenza umana che qui si manifestano, mi pare, in maniera singolare e altissima…».
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di fama internazionale assai stimato dal Papa — fu l’allora cardinale Ratzinger a ordinarlo vescovo, nel 2004 — sorride tranquillo: «Con buona pace di chi pensa che sia pregiudizialmente negativo, l’atteggiamento di fondo della Chiesa è di attenzione e simpatia: come diceva Sant’Ireneo, l’uomo vivente è la gloria di Dio.
Contrapporre a priori scienza e fede non ha senso.
E proprio il magistero di Benedetto XVI sottolinea la figura del Lógos: il Cristo incarnato rivela che c’è un’Intelligenza già nella creazione, mostra la struttura razionale dell’opera di Dio».
Però c’è chi dice: Venter è arrivato a creare la vita, quindi la vita non più ha nulla di misterioso.
E Dio è inutile.
«Vede, quando in casi simili si dice di aver “creato” qualcosa, il termine “creazione” è usato nell’accezione comune, non certo teologica.
Il senso teologico è tutt’altro: la creazione è ciò che avviene dal nulla, creatio ex nihilo.
E l’uomo questo non lo fa: parte sempre da qualcosa che c’è e sulla quale, con la sua intelligenza, agisce e produce qualcosa d’altro.
È un piano radicalmente diverso».
Ovvero? «Ci muoviamo nell’ordine di quelle che Tommaso d’Aquino chiamava le “cause seconde”.
C’è un mondo già dato nel quale esercitiamo la nostra intelligenza.
Ciò che è nuovo è certo il risultato cui si è giunti, ma la materia era già data.
Nessuna creazione».
Rischi? «La preoccupazione si riassume in una domanda: ciò che sarà scientificamente possibile sarà anche eticamente giusto? Lo stesso Venter, parlando dell’importanza filosofica della sua scoperta, non esclude tale domanda».
E qual è la risposta? «C’è un parametro che unisce tutti, non solo i cristiani: la dignità della persona umana.
Se questa novità, come si dice, sarà utilizzata ad esempio per difendere l’ambiente o migliorare le cure, saremo di fronte a una scoperta eticamente valida…».
Ma c’è il pericolo faustiano dell’«homunculus»? «Beh, di qui ad arrivare a “creare” una specie di Golem ce ne corre, non sono un esperto ma i passi mi sembrano molto ampi…
Certo, il Golem finisce per ritorcersi contro chi lo ha fatto, sarebbe una mostruosità.
E chi volesse sognare una sorta di costruzione della vita umana non potrebbe sottrarsi alle questioni etiche: sarebbe giusto, per ipotesi, fabbricare un essere umano disponendone a priori? Non ne sarebbe compromessa la dignità umana? Non preluderebbe a scenari etici, sociali e politici preoccupanti? Ma questo va molto al di là: il processo mi pare serio, anche se bisogna vigilare sulle applicazioni».
Tempo fa lei disse che una scienza senza senso del limite è una falsa scienza…
«Io distinguo sempre tra scienza e scientismo, la pretesa alienante di voler tutto risolvere e spiegare.
Il dubbio non è sulla scienza, ma sulla sua ideologia e parodia: il Golem.
Ricordo una metafora di Ugo Amaldi, uno scienziato di cui ho grande stima: immaginiamo su un tavolo tre sfere concentriche, i fenomeni oggetto di scienza, filosofia e teologia; ognuna ha le sue regole, ma guai se volessimo risolvere i misteri dell’una con le regole dell’altra.
Ciascuna ha bisogno dell’altra ma deve mantenere la sua autonomia».
Ed è questo in gioco? «Abbiamo visto a cosa ha portato l’idea di autonomia assoluta: il sogno della modernità ideologica, le violenze del ’900…
La ragione è la potenza dell’interrogazione e della scoperta, ma anche dello “stupore” di Schelling: riconoscere i propri limiti è un farmaco importante contro le ideologie».
La Chiesa, comunque, non si straccia le vesti…
«Bisogna avere più paura dei non pensanti che dei pensanti.
Ma anche temere chi assolutizza le proprie capacità: una scienza che si facesse assoluta sarebbe antiscientifica».
in “Corriere della Sera” del 21 maggio 2010

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *