In occasione dei cento anni dalla fondazione della rivista “Recherches de Science Religieuse”, si tiene il 19 maggio all’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede un convegno sul tema “Vaticano II ieri e oggi”.
Ai lavori prendono parte tra gli altri il padre gesuita direttore e redattore capo della rivista, Christoph Theobald, e il cardinale teologo emerito della Casa Pontificia, che ha sintetizzato per noi gli argomenti trattati.
“Vaticano II ieri e oggi” è il tema di un dibattito, che si svolge il 19 maggio, nella residenza dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede.
Il punto di partenza è uno studio del padre gesuita Christoph Theobald, che propone una nuova chiave di lettura del concilio.
Come affermare la differenza cristiana di fronte al mondo contemporaneo? Nei testi conciliari, padre Theobald individua due modi giustapposti per rispondere alla domanda, senza che si veda una loro possibile sintesi.
Qual è dunque il nostro rapporto rispetto alla società e alla cultura? Questa è la domanda centrale.
In relazione alla fede come accoglienza della Parola divina che è parola di vita, come concepire “l’immagine che ci facciamo di Cristo e la nostra relazione con Dio”? Cristo stesso, immagine del Padre, è assieme rivelatore e oggetto della rivelazione, datoci nella fede.
La ricchezza e la trascendenza del suo mistero richiedono una pluralità d’espressioni trasmesse per la maggior parte dalla Scrittura o dal Magistero.
Queste espressioni non sono esclusive, ma s’integrano nel mistero, che il credente vive quasi spontaneamente partecipando alla vita liturgica della Chiesa.
Giustamente, padre Theobald rileva che l’enciclica di Leone XIII Rerum novarum (1891) ha significato una svolta nell’atteggiamento della Chiesa di fronte al mondo moderno.
La prima reazione era stata di timore: il declino della cristianità era percepito come una minaccia per la Chiesa stessa.
Leone XIII apre una via di collaborazione, in contrasto con il rigetto totale anteriore.
Ma il mondo “moderno”, ha anch’esso la sua storia e le sue ambiguità.
È condizionato dall’esperienza delle guerre di religione.
Una delle espressioni più caratteristiche dell’illuminismo è il deismo, nel quale s’iscrive il trattato di Locke sulla tolleranza, che mette in causa l’idea stessa di verità e la natura dei nostri doveri di fronte a essa.
Questa teoria ha fornito le premesse alle prime affermazioni sulla libertà religiosa, a tal punto che non si percepiva più la possibilità di scindere le “conclusioni” da queste premesse.
Così si spiega la prima reazione, d’indole pastorale, del Magistero.
La giustificazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa dovuta alla Dignitatis humanae non è riducibile alle teorie dell’illuminismo.
È veramente innovatrice, in consonanza con il Vangelo.
Poco più di vent’anni separano la Rerum novarum dal concilio Vaticano i che ha trattato dei rapporti fra conoscenza di fede e conoscenza naturale, distinte ma chiamate a entrare in simbiosi.
Questa considerazione s’iscrive nel prolungamento della dottrina tradizionale della grazia, la quale guarisce la natura ferita dal peccato, la eleva alla partecipazione alla vita divina, la conduce alla sua perfezione.
La formula è trascritta in Lumen gentium (n.
17), che padre Theobald cita.
È la chiave d’interpretazione del decreto sulle missioni Ad gentes e della dichiarazione Nostra aetate.
La missione della Chiesa deve essere considerata nella sua totalità.
Ma in questa totalità c’è un ordine prioritario dal principio alla conseguenza.
La missione principale della Chiesa è l’annuncio della salvezza portata da Gesù Cristo morto per i nostri peccati e risorto nella gloria.
Questo messaggio è universale.
Ma l’annuncio del Regno al quale tutti sono chiamati non significa indifferenza per la città degli uomini.
Al contrario, appartiene al messaggio evangelico di animare e ispirare l’impegno dei cristiani nella città terrestre.
Il merito di padre Theobald è quello di attirare la nostra attenzione sui grandi cambiamenti intervenuti nella città occidentale di fronte al cristianesimo e alla Chiesa.
La conseguenza è che un principio, sempre valido, quello dell’ispirazione del temporale dalle energie evangeliche, è suscettibile, secondo le circostanze storiche, di rivestire forme assai differenziate.
Una cosa è il principio, un’altra cosa è la sua forma “intransigente, integrale, utopica” caratteristica di alcuni movimenti degli anni Trenta del Novecento.
La distinzione è sempre stata rispettata? Riferendosi a Paolo VI, padre Theobald parla d’identificazione allorché il Papa scrive “alleanza”.
Sarebbe necessario d’altronde procedere a un’analisi dei concetti di moderno e di post-moderno, dati come scontati, a partire dalle loro fonti intellettuali.
Inoltre, la rilettura del concilio non può non tener conto del contesto storico stesso dell’avvenimento.
Quando i padri parlano d’ateismo, hanno in mente la Chiesa del silenzio e l’ateismo di Stato con il dominio assoluto dell’educazione e dell’informazione e il fatto che molti vescovi dell’est furono impossibilitati ad andare a Roma.
Più radicalmente, il numero 21 di Gaudium et spes che tratta del tema, si conclude con l’affermazione di Agostino, nelle Confessioni, Fecisti nos ad te (Domine) et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te.
Abbiamo qui una traduzione diretta della visione biblica dell’uomo.
Se questo è vero, come lo è, l’esistenza secolarizzata non può rappresentare una forma compiuta d’umanesimo.
Lo studio di Dignitatis humanae conduce a distinguere nell’insegnamento conciliare un’altra maniera di considerare la relazione con la cultura contemporanea: la “via evangelica” di Gesù, caratterizzata da un “rispetto assoluto dell’interlocutore”.
Questo rispetto dell’alterità e dell’unicità della coscienza altrui ha portato il Signore ad accettare la croce piuttosto d’imporre con la forza la verità ai suoi interlocutori.
Padre Theobald ha certamente ragione d’insistere sulle esigenze evangeliche della qualità dei mezzi di trasmissione del messaggio.
Ma applicata alle vie pastorali proposte dal concilio, ci si può chiedere se l’alternativa croce e violenza, dell’autore, sia pertinente.
Il progetto qualificato di “riconquista” era necessariamente una pressione sulle coscienze, una violenza? L’applicazione non mi pare adeguata quando si tratta di esperienze come quelle dell’Azione Cattolica.
Un’analisi più sottile della storia del movimento, mi sembra necessaria.
Lo studio di padre Theobald merita comunque attenzione per il tema centrale che egli tratta.
(©L’Osservatore Romano – 19 maggio 2010)
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