Strategie per gestire i comportamenti di disturbo

Riprendo il contributo di questo lavoro, partendo dalla conclusione dell’articolo precedente, dove ho evidenziato alcuni comportamenti di disturbo.
Dicevo che il clima comunicativo del gruppo comprende anche i momenti di noia e di disturbo: sono tutti stimoli che se adeguatamente rilevati possono consentire al gruppo di evolvere verso il compito: fare del disturbo un motivo di apprendimento, utilizzare il segnale della noia per riorientare i lavori.
  Per la gestione dei gruppi si possono utilizzare due strumenti fondamentali:   a)      lo strumento della parola, pensando agli stili di comunicazione efficace b)      lo strumento ancora più efficace: l’intervento sul e con il “non verbale”, molte volte infatti i disturbi si gestiscono con movimenti del corpo, avvicinamento alla persona che parla e inoltre con giochi/esercizi centrati sul non verbale.
  Nella comunicazione efficace è presente in maniera sinergica il mondo verbale e non verbale delle persone.
La distinzione qui riportata è solo per motivi didattici.
  Il contenuto che segue è un tentativo di riflettere su quello che spesso osservo e faccio durante la conduzione di gruppi di lavoro.
Questo è il resoconto di una mia riflessione sulla pratica di conduzione dei gruppi.
Questa esperienza non ha un intento di tipo teorico, ma semplicemente narrativo.
Tale dimensione narrativa però, nel prossimo articolo, sarà inserita all’interno di un modello teorico di riferimento.
Infatti, nel prossimo articolo affronteremo il tema del team building secondo l’approccio del costruttivismo.
    IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI CON IL PRIMATO DELLA VOCE     La nostra voce è uno strumento di espressione molto differenziato, che orchestra e interpreta il nostro discorso: il timbro della voce, l’altezza del suono, il volume, il modo di usare il respiro, il ritmo dell’articolazione, la risonanza, la velocità e la lentezza nel parlare: tutto questo dice parecchio di chi parla, a volte più che non il contenuto del messaggio.
Si possono comprendere anche aspetti della personalità di chi parla, se si fa attenzione alla sua voce.
  – Come gestire chi parla troppo   Quando nel gruppo ci troviamo di fronte ad una persona che parla tanto e velocemente, un modo per aiutarla a contenersi e modellizzare un nuovo comportamento è quello di rispondere con un timbro molto basso e lentamente.
Certo, il limite di questa considerazione, che qui facciamo, sta nel fatto che non possiamo vedere quello che realmente succede.
Se provate però ad avvicinarvi alla persona che parla troppo veloce e provate a rispondere in maniera lenta, vedrete gli effetti.
A bassa voce potreste dire: “Mi chiedo qual è l’obiettivo di questa tua considerazione.
Ti chiedo di fermarti, perché faccio fatica a seguirti e voglio dare spazio anche agli altri”.
  –          Come gestire il tacere   Talvolta capita che all’inizio di un incontro, la persona più timida per evitare di esplorare lo spazio della stanza si siede sulla prima sedia che trova libera e cioè quella più vicina alla porta.
Questa persona osserva, ascolta, ma in silenzio.
Un primo modo per aiutarla ad entrare nella relazione con il gruppo è quello di avvicinarsi e, mentre si parla, mettere la mano sulla spalla in modo tale che sul piano non verbale lo si include nel processo comunicativo.
Sul piano della comunicazione verbale si può chiedere un parere su quello che si dice, mostrandogli così stima e considerazione.
Naturalmente tutto questo dovrà essere fatto con autenticità: se facciamo finta di includere una persona taciturna, l’effetto di questa azione sarà il rinforzo delle sue resistenze.
Il silenzio dell’intero gruppo può indicare che le idee di base di una discussione non sono chiare.
In questo caso il facilitatore può essere di aiuto collegando le idee dei singoli partecipanti e facendo, per esempio, uno schema di sintesi.
Inoltre il silenzio può provenire dalla paura di impegnarsi e di esporsi, se c’è poca fiducia negli altri membri del gruppo.
Il silenzio può inoltre esprimere noia se i partecipanti pensano che si pretende troppo poco nel gruppo o se le loro aspettative non corrispondono all’azione del momento del gruppo.
Il facilitatore per tentare di risolvere la situazione di silenzio nel gruppo può chiedere cosa si pensa del silenzio e che cosa si è pensato e sentito durante tale periodo.
Il silenzio del singolo partecipante inoltre può essere un’azione consapevole del soggetto per “punire” il facilitatore o altri partecipanti.
Il silenzio inoltre può essere una fuga per contattare, per via immaginativa, altre scene primarie della storia personale.
Il silenzio può dunque esprimere aspetti molti diversi della situazione del gruppo.
Non c’è uno schema prestabilito secondo il quale il facilitatore potrebbe agire, ma rispetto al silenzio il facilitatore dovrà essere lucido, prendersi del tempo e porsi alcune domande:   –          se e in quale misura il facilitatore è preoccupato per tale silenzio e quale sia la sua reazione emozionale; –          se e in quale misura il gruppo sia preoccupato del silenzio stesso; –          se un certo partecipante con il silenzio esprima una ritirata improduttiva; –          quale sia il messaggio specifico del silenzio; –          e in ultimo, il fattore più importante, quali segnali non verbali del gruppo “commentano” il silenzio…   Ecco alcune vie verbali per entrare in contatto: il facilitatore potrebbe dire: “Al momento ho poco contatto con te e vorrei sapere che cosa ci comunichi con il tuo silenzio”.
Se tace tutto il gruppo invece, il facilitatore potrebbe dire: “Non sono sicuro di che cosa voglia dire il vostro silenzio.
Che cosa volete esprimere con questo silenzio?”   –          Come gestire il generalizzare   Di solito una comunicazione efficace con le persone che generalizzano si esprime con una domanda: “Ti chiedo, per favore, di fare un esempio concreto.
Prova ad immaginare di parlare ad un bimbo di sei anni”.
In tal modo, chi di solito generalizza apprende gradualmente l’importanza di essere concreto e circostanziato.
Non sono gli altri che devono capire o gli altri che non ascoltano.
Il punto è quanto io ascolto, quanto capisco gli altri, quanto mi assumo la responsabilità di farmi capire.
Chi generalizza non parla di persone, parla di oggetti (loro, quelli, sempre…).
  –          Come gestire chi fa domande in continuazione   Il punto è individuare che tipo di domanda fa il componente del gruppo e perché la fa.
Dalla mia esperienza le domande evidenziano spesso un attacco verso il leader, sono un tentativo di far capire che si conosce bene l’argomento, quasi a intendere che il leader è un sapiente onnisciente che ha ricevuto il “Verbo”.
Con queste persone, se il leader evidenzia che a quella domanda non sa rispondere e dice di prendersi del tempo per studiare la risposta, si modellizza in questo modo l’idea che il leader non è la persona che sa tutto ma al contrario quella che è disposta ad imparare.
  –          Come gestire il frequente interpretare   Ci sono persone che nel gruppo di solito sono influenzate da modelli, teorie, punti di vista, esperienze che talvolta vengono assolutizzati e attraverso i quali si leggono le situazioni, i fatti, le persone, quello che si dice ecc.
Questi modelli vengono applicati senza criterio ad ogni situazione comunicativa e quindi ci si può sentir dire: “Siccome non mi hai guardato negli occhi, tu non mi ascolti” e magari questa comunicazione arriva da uno che sta in fondo alla sala, mentre si lavora in gruppo! Il punto di fondo del frequente interpretare sta nel fatto che molte volte non siamo consapevoli di proiettare il nostro vissuto emotivo e cognitivo sulla vita degli altri.
  –          Come gestire i colloqui “fuori la porta”   Molti partecipanti, durante il lavoro di gruppo, tendono a bisbigliare con il loro vicino mentre sta parlando un’altra persona.
Se il facilitatore non interviene, la coesione del gruppo ne soffrirà notevolmente, perché questi colloqui possono provocare diffidenza e irritazione.
Il facilitatore in questo caso domanderà a coloro che fanno il colloquio a parte se siano disposti a comunicare il contenuto del colloquio a tutto il gruppo.
  –          Come gestire ritardi e assenze   Spesso succede che i singoli partecipanti tardano o non vengono ai gruppi di lavoro, esprimendo così la loro opposizione all’attività di gruppo o nei confronti del facilitatore.
In alcuni casi l’assenza evidenzia il fatto che c’è un’attività che procura paura.
In altri casi alcune esigenze personali sembrano non rispettate.
Cosa deve fare il facilitatore? Una prima ipotesi potrebbe essere la seguente: “Che cosa vuol dire per voi il fatto che questa persona non c’è”.
Il facilitatore dovrà anche parlare del fatto che ognuno ha il diritto di ritirarsi in ogni momento dell’interazione di gruppo, ma è importante che avverta di volersi ritirare.
E’ una indicazione di adultità l’assumersi la responsabilità di non voler lavorare con questo gruppo perché non risponde né ai bisogni personali e nemmeno a quelli professionali.
    PER CONCLUDERE     Gestire i disturbi: non ci sono ricette o procedure standard, è necessario fare esperienze, riflettere e provare nuove strategie.
L’esperienza, l’ascolto e soprattutto la supervisione ci consentono di imparare nuove modalità di aiutare il gruppo a sviluppare le risorse personali e quelle professionali.
Nel prossimo articolo svilupperemo la dimensione teorica di questo approccio al lavoro di gruppo.
Parleremo di costruttivismo.

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