Il significato della decisione del CdS non è solo nel risultato finale, che indubbiamente soddisfa le attese degli Idr, ma soprattutto nelle considerazioni di merito su cui i giudici ritengono opportuno dilungarsi con argomentazioni limpide e a nostro parere inoppugnabili, in cui si fa ampio ricorso alle posizioni a suo tempo espresse dalla Corte costituzionale, collocando perciò la questione in un quadro di riferimenti fondativi estremamente forte.
In primo luogo, infatti, il CdS dichiara che le ordinanze ministeriali impugnate si pongono all’interno del quadro giuridico delineato dalla giurisprudenza costituzionale e quindi sono assolutamente legittime.
Non esiste infatti alcun condizionamento o discriminazione per coloro che scelgono di non avvalersi dell’Irc trovandosi a non poter fruire dell’eventuale relativo punteggio nel credito scolastico.
Come infatti afferma la Corte costituzionale, «l’insegnamento della religione è facoltativo solo nel senso che di esso si ci può non avvalere, ma una volta esercitato il diritto di avvalersi diviene un insegnamento obbligatorio.
Nasce cioè l’obbligo scolastico di seguirlo, ed è allora ragionevole che il titolare di quell’insegnamento (a quel punto divenuto obbligatorio) possa partecipare alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico.
Le stesse considerazioni valgono per gli insegnamento alternativi che, una volta scelti, diventano insegnamenti obbligatori».
All’opposto, lo studente che non si avvale né dell’Irc né delle attività alternative «non può certo pretendere di essere valutato per attività che, nell’esercizio di un diritto costituzionale, ha deciso di non svolgere, ma non può nemmeno pretendere che tali attività non siano valutabili a favore di altri che, nell’esercizio dello stesso diritto costituzionale, hanno deciso di svolgerle».
Una volta riconosciuto che in forza della scelta di avvalersi dell’Irc lo studente si sottopone all’obbligo di frequentarne le lezioni, «discende la necessità di valutare in senso positivo o negativo, come quell’obbligo scolastico sia stato adempiuto.
Non farlo rischierebbe di dare luogo ad una sorta di discriminazione alla rovescia, perché lo stato di “non obbligo” andrebbe ad estendersi anche a coloro che invece hanno scelto di obbligarsi a seguire l’insegnamento della religione cattolica o altro insegnamento alternativo.
In altri termini, l’insegnamento non è obbligatorio per chi non se ne avvale, ma per chi se ne avvale è certamente insegnamento obbligatorio: la libertà religiosa dei non avvalentisi non può, quindi, arrivare a neutralizzare la scelta di chi, nell’esercizio della stessa libertà religiosa, ha scelto di seguire quell’insegnamento e che, dunque, ha il diritto-dovere di frequentarlo e di essere valutato per l’interesse e il profitto dimostrato».
Non è quindi lamentabile alcuna forma di discriminazione, perché «chi segue religione (o l’insegnamento alternativo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l’interesse che mostra e il profitto che consegue anche nell’ora di religione (o del corso alternativo).
Chi non segue religione né il corso alternativo, ugualmente, non è discriminato né favorito: semplicemente non viene valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell’ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore».
Il CdS fonda la sua argomentazione su una duplice par condicio: in primo luogo quella che si deve realizzare tra chi si avvale e chi non si avvale dell’Irc, i quali non devono essere – entrambi – condizionati nella loro scelta da possibili conseguenze di carattere valutativo; in secondo luogo la parità di trattamento di cui debbono godere coloro che hanno scelto l’Irc e coloro che hanno optato per una attività alternativa.
Ma proprio su questo secondo aspetto si presentano sviluppi nuovi a seguito dell’entrata in vigore del DPR 122/09, il regolamento della valutazione che ha attribuito piena potestà valutativa all’Idr e solo potere consultivo all’insegnante delle attività alternative, contrariamente alla prassi più che ventennale finora applicata.
In relazione al quadro giuridico precedente, quindi, le argomentazioni del CdS sono assolutamente fondate, ma in prospettiva si trovano in conflitto con il nuovo quadro normativo.
Anzi, il Cds, con una scelta piuttosto inusuale, ritiene di doversi soffermare su una condizione di fatto che non ha alcuna rilevanza ai fini della decisione ma che costituisce un problema cui l’amministrazione scolastica presto o tardi «dovrà necessariamente farsi carico».
Si tratta della mancata attivazione dell’ora alternativa, che in molte scuole vanifica le opzioni di tanti non avvalentisi.
Con tale raccomandazione il CdS invia un doppio messaggio: a coloro che hanno già promosso ricorsi contro il regolamento della valutazione lascia intendere che la disparità di trattamento tra Irc e attività alternative presenta quel fumus boni juris che può condurre all’annullamento delle disposizioni contenute nel DPR 122/09; al Ministero chiede contestualmente di provvedere a rendere almeno effettivo il diritto di frequentare attività alternative all’Irc, diritto che soprattutto in questo ultimo anno scolastico è stato messo in seria crisi dai tagli sul personale (che hanno ridotto o annullato la presenza di docenti a disposizione e utilizzabili proprio per le attività alternative).
Perciò, fermo restando che la scelta sull’Irc è del tutto indifferente alla presenza di attività alternative o di crediti scolastici, il CdS esprime la sua preferenza – come aveva fatto oltre venti anni fa, prima di essere smentito dalla Corte costituzionale – per un regime di effettiva opzionalità tra Irc e attività alternative da realizzarsi a valle della scelta.
Al Ministero spetta adesso dare risposta alle sollecitazioni del CdS, fornendo istruzioni (e finanziamenti) alle scuole.
Come si ricorderà, la sentenza 7076/09 del Tar del Lazio aveva disposto l’annullamento delle ordinanze ministeriali sugli esami di stato nella parte in cui prevedevano la partecipazione a pieno titolo degli insegnanti di religione cattolica alla determinazione del credito scolastico assegnato a fine anno in vista degli esami.
La sentenza aveva avuto vasta eco sulla stampa nella scorsa estate ed aveva indotto il ministro Gelmini a fare appello al CdS per ristabilire la certezza del diritto in materia.
Il Tar era infatti intervenuto, con una sentenza di fatto priva di efficacia, sulle ordinanze relative agli anni scolastici 2006-07 e 2007-08 che si erano da tempo conclusi; ma le obiezioni potevano incrinare le procedure degli anni successivi.
Nel frattempo, proprio pochi giorni prima del deposito della decisione del CdS, il Ministero ha emanato per l’anno scolastico in corso l’OM 44/10, nella quale conferma sostanzialmente il dettato degli anni precedenti, con alcuni aggiornamenti dovuti al recente regolamento della valutazione relativamente alle attività alternative ma non all’Irc.
Ora, la decisione del CdS rilegittima pienamente la condizione valutativa dell’Irc e del suo insegnante, nonché le posizioni assunte finora dal Ministero in proposito.
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