Ieri l’altro il vescovo di Bruges; giovedì quello di Kildare e Leighlin, ultimo di tre prelati irlandesi; subito prima il vescovo di Augsburg, il vescovo norvegese Muller e monsignor John Magee, ex segretario di vari Papi.
In modo impressionante si susseguono a raffica le dimissioni di alti dignitari della Chiesa cattolica, colpevoli più o meno confessi, nella maggioranza dei casi, di abusi sessuali nei confronti di minori.
Insomma, l’opera di pulizia auspicata con parole di fuoco da Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger ( e quando su questi temi — mi sembra importante notarlo— l’opinione pubblica non si faceva sentire) va avanti con decisione senza guardare in faccia a nessuno.
Si tratta di un’importante opera di disciplinamento e in certo senso di autoriforma della Chiesa, dietro la quale si intravedono però fenomeni più ampi e significativi che non rendono troppo azzardato parlare di una vera svolta storica.
Per la prima volta, infatti, la Chiesa cattolica si spoglia di sua spontanea volontà di ogni funzione di intermediazione — e per ciò stesso, inevitabilmente, di «protezione» — nei confronti dei propri membri.
Si priva di ogni attribuzione e volontà di giudizio nel merito, di decisione sua propria ed autonoma nei loro riguardi.
Lo fa, per giunta, non in seguito a provvedimenti giudiziari emanati da una qualche autorità civile di cui le è giocoforza prendere atto, ma per l’appunto in via preliminare.
Qualunque membro del clero, non importa il suo grado, abbia avuto comportamenti sessuali illeciti ha l’obbligo, per così dire, dell’autodenuncia e di affrontare quindi le conseguenze dei propri atti davanti alla giustizia laica.
Allo stesso modo, sembra di capire, qualunque istanza gerarchica cattolica venga a conoscenza di atti sessuali illeciti commessi da un membro del clero ha l’obbligo d’ora in avanti della denuncia immediata all’autorità civile.
In nessun modo, insomma, il peccato fa più da schermo al reato.
Non so quanti precedenti ci siano di un indirizzo del genere: certo pochissimi, forse nessuno.
Come si sa, infatti, la Chiesa cattolica si è sempre considerata una societas perfecta, un’organizzazione che non riconosceva per principio alcuna istanza umana a lei sovraordinata, a cominciare dallo Stato.
Nella sua ottica essa poteva sì rinunciare, quando fosse il caso, alle più svariate prerogative, competenze, diritti o che altro, ma sempre o per via pattizia (cioè concordataria), o perché costrettavi a forza dallo Stato.
Con l’esplodere del problema della pedofilia si ha, invece, nei fatti, un cambiamento di rotta quanto mai significativo: che è la prova indubbia dell’estrema risolutezza con cui il Papa ha deciso di affrontare la questione non indietreggiando di fronte alle conseguenze.
Tale mutamento di rotta a sua volta ne implica, mi sembra, un altro ancora.
E cioè che in questa circostanza la Chiesa ha finito per fare rapidamente proprio, senza riserve o scostamenti di sorta, il punto di vista affermatosi (peraltro recentemente e a fatica, ricordiamocelo) nella società laica occidentale.
Non voglio certo dire che la Chiesa ha avuto bisogno del giudizio della società laica per considerare l’abuso sessuale sui minori un peccato gravissimo (forse il più grave stando alla lettera del Vangelo).
Ma esso era tale anche dieci, venti o trenta anni fa quando tuttavia veniva quasi sempre coperto.
Se oggi non è più così, non può più essere così, se oggi da quella gravità la Chiesa ha tratto le nuove e drastiche conseguenze che sono sotto i nostri occhi, con tutta evidenza ciò è accaduto solo perché il giudizio della società sugli abusi pedofili è anch’esso nel frattempo mutato.
Cosicché, mentre su ogni altro uso della sessualità o pratiche connesse, essa ha adottato, e tuttora adotta, un suo proprio metro di giudizio, più o meno diverso rispetto a quello comunemente accettato, in questo caso vediamo invece che si conforma al punto di vista della società.
Si tratta beninteso del punto di vista della società occidentale, non molto condiviso, come si sa, da altre società come quelle islamiche o afro-asiatiche.
Il che mi sembra indicativo di un ultimo dato di rilievo contenuto in questa vicenda.
Vale a dire che il Cristianesimo romano e la sua Chiesa, pur a dispetto di ogni loro eventuale opinione o affermazione contraria (pur volendosi «cattolici» e cioè universali), mantengono comunque, però, un legame ineludibile con l’area di civiltà nel cui ambito geografico hanno messo le loro prime radici, che poi hanno modellato in modo decisivo, ma dalla quale, alla fine, non possono non essere anch’essi modellati.
Forse è vero, insomma, che il futuro dell’Occidente si avvia a non essere più un futuro cristiano; ma ciò nonostante, in un modo o nell’altro e chissà ancora per quanto tempo, il Cristianesimo continuerà ad essere essenzialmente occidentale.
in “Corriere della Sera” del 26 aprile 2010
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