Il novantenne cardinale gesuita moravo Tomás Spidlík, punto di riferimento della spiritualità orientale, è morto alle 21 di venerdì 16 aprile al centro Ezio Aletti di Roma da lui fondato e dove viveva dal 1991.
Nato il 17 dicembre 1919 a Boskovice, nella diocesi di Brno, nell’odierna Repubblica Ceca, era stato ordinato sacerdote il 22 agosto 1949.
Nel concistoro del 21 ottobre 2003, Giovanni Paolo II lo aveva creato e pubblicato cardinale diacono di Sant’Agata dei Goti.
Il 18 aprile 2005 aveva predicato ai cardinali riuniti nella cappella Sistina per il conclave che ha eletto Benedetto XVI.
Le esequie saranno celebrate nella basilica Vaticana martedì 20 aprile, alle ore 11.30, dal cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio.
Al termine della celebrazione eucaristica, Sua Santità Benedetto XVI scenderà in basilica per rivolgere la sua parola ai presenti e presiedere il rito dell’ Ultima Commendatio e della Valedictio.
La salma sarà esposta nella cappella del centro Aletti, in via Paolina 25, fino alla sera di lunedì 19 aprile.
Il cardinale Spidlík sarà poi sepolto a Velehrad in Moravia, luogo a lui particolarmente caro perché legato all’evangelizzazione dei santi Cirillo e Metodio e crocevia di popoli e culture. “Per tutta la vita ho cercato il volto di Gesù e ora sono felice e sereno perché sto per andare a vederlo”.
C’è il senso di un’intera esistenza nelle ultime parole del cardinale Spidlík, morto a novant’anni e quattro mesi per un tumore che non gli aveva però impedito di continuare fino alla fine, con incontri e confronti, ad approfondire la tradizione dell’Oriente cristiano nella sua relazione con il mondo contemporaneo.
Le sue ultime uscite pubbliche sono state per un atto accademico in suo onore al Pontificio Istituto Orientale – dove ha insegnato per mezzo secolo – e per predicare gli esercizi spirituali quaresimali alla Gendarmeria vaticana.
Nel giorno del suo novantesimo compleanno, il 17 dicembre scorso, Benedetto XVI gli aveva fatto il grande regalo di celebrare con lui la Messa nella cappella Redemptoris Mater, opera d’arte nata proprio dal pensiero di Spidlík e dalle mani del suo primo discepolo padre Rupnik.
E il cardinale che amava gli scherzi disse, in una lunga intervista a “L’Osservatore Romano”, che, in quella occasione, la Provvidenza era stata “più brava” di lui “a fare gli scherzi”, facendogliene “uno sorprendente” per regalargli “il compleanno più bello” accanto al Papa.
Tomás Spidlík è stato un maestro di spiritualità orientale, capace di fondare una vera e propria scuola radicata anche nell’arte, nella cultura e nella storia in Oriente come in Occidente.
La sua opera oggi non è vista semplicemente come un lavoro di storia della spiritualità, ma rappresenta una visione teologica organica.
“Cerco di propagare – ha detto di se stesso pochi giorni prima di morire – la bellezza che salva, una visione teologica dove prevale un approccio simbolico, liturgico, e dove l’immagine visuale è uguale alle testimonianze di fede dette o scritte”.
Il “metodo Spidlík”, spiega padre Milan Zust, che gli è stato vicino fino all’ultimo, si è fondato sulla capacità di “vedere l’insieme delle cose”, di trattare “i diversi temi dal punto di vista storico, culturale e religioso, ma soprattutto in rapporto alla vita concreta, mettendo le Persone della Santissima Trinità e la persona creata, sua immagine, al centro di tutto.
Nel profondo del cuore padre Tomás ha avuto lo stesso atteggiamento come guida spirituale e come ricercatore e insegnante”.
Un padre, dunque, uno starec che ha insegnato con la sua stessa vita.
In ambito accademico, infatti, è rimasto sempre per tutti “padre Tomás”: nessuno si rivolgeva a lui chiamandolo seriosamente “professore” o solennemente “eminenza”.
Per padre Richard Cemus, suo successore sulla cattedra di spiritualità orientale al Pontificio Istituto Orientale, la ragione è presto detta: “Dove l’intelletto è unito al cuore la parola non solo comunica la scienza ma genera la vita”, dunque “professore si diventa per mezzo di una paternità”.
Infatti da Spidlík ci si attendeva “sempre una parola che genera la vita nello Spirito e non solo un’informazione che soddisfi una curiosità”.
In lui si cercava “un padre spirituale e non solo un professore, insomma quello che i tedeschi chiamano doktorvater.
E Spidlík lo è stato, innanzitutto per aver dato vita a una sua vera e propria scuola di pensiero”.
Una scuola sorretta da tre pilastri: il primato della vita, il primato della persona, la vita spirituale come arte.
“Non le idee e i ragionamenti – dice padre Cemus per spiegare il pensiero di Spidlík – precedono la vita, ma è la vita stessa a rivelare le sue ragioni intrinseche a chi sa contemplarla”.
Spidlík ha impresso l’accelerazione decisiva per l’affermazione della spiritualità orientale, sulla scia del suo maestro padre Iréneé Hausherr.
Così l’opera di Spidlík rappresenta un unicum nella riflessione teologica della seconda metà del ventesimo secolo, aprendo definitivamente e sviluppando il nuovo campo di ricerca della spiritualità dei popoli slavi.
Secondo padre Edward Farrugia, decano della facoltà di scienze ecclesiastiche orientali del Pontificio Istituto Orientale, “il lavoro di Spidlík apre una finestra che come il laser raggiunge le cose in profondità” e mostra come “la dialettica orientale non vada avanti dritta come un carro armato, ma come una trottola che nel suo movimento circolare comprendere associazioni, paradossi e umorismo.
Il divertire attraverso enigmi e apoftegmi fa parte essenziale del corredo orientale.
Sarebbe inconcepibile parlare di Spidlík senza ricordare i suoi anedotti umoristici, specie di follia sana e contagiosa”.
E proprio nell’ultima intervista al nostro giornale, pubblicata il 16 dicembre 2009, Spidlík aveva suggerito che un filo di umorismo non guasta mai.
Considerava lo “scherzare utile in un’esperienza cristiana autentica, non serve solo per restare svegli.
E poi non si tratta solo di battute di spirito: lo scherzo è davvero una cosa seria.
Il razionalismo e il tecnicismo assolutizzano ogni affermazione parziale.
Lo scherzo la relativizza.
Non nel senso che la verità come tale possa essere relativa, ma dobbiamo sempre tener conto della nostra conoscenza parziale dei misteri.
La parola eresia vuol dire prendere una parte per l’intero.
Lo scherzo è quindi un’arma efficace contro le eresie”.
E scherzava anche sui suoi novant’anni: “Per sapere cosa vuol fare ancora la Provvidenza con me bisognerebbe fare l’intervista a Lei! Nella mia vita ho fatto cose che neppure immaginavo e solo dopo ho scoperto che le speravo inconsciamente nel cuore.
Per dirne una, mai avrei pensato di festeggiare i miei novant’anni con il Papa e vestito in porpora.
Di certo non lo immaginavo quando, all’inizio della seconda guerra mondiale, l’irruzione del nazismo in Moravia, oggi in Repubblica Ceca, ha brutalmente interrotto i miei studi di letteratura all’università di Brno sconvolgendo le prospettive della mia vita.
Già allora la Provvidenza ha avuto tanto lavoro con me”.
Aveva imparato fin da piccolo a fare sacrifici, non nascondeva di essersi “guadagnato da solo i soldi per studiare al liceo” a Boskovice dove era nato in una famiglia poverissima.
“Non ho però mai avvertito la sensazione dell’ingiustizia sociale paragonandomi con i ragazzi benestanti.
Anzi, ero orgoglioso della mia indipendenza.
Con la spensieratezza di un proletario mi sono iscritto all’università per studiare letteratura.
Ne ero affascinato.
Al secondo anno, all’improvviso, mi piombò addosso la vera prova: la guerra”.
Nel 1939 aveva vent’anni e le sue “speranze erano sottozero, gli studi universitari spezzati e una sola possibilità per il futuro: la deportazione”.
In chiesa ci andava “più per disperazione che per devozione” ma poi “ho fatto la grande scoperta che la Provvidenza ti salva e ti conduce, magari anche attraverso situazioni strane, mai pensate prima, eppure coerenti”.
Finito in un campo di concentramento nazista, “è avvenuto l’impensabile: un agente della Gestapo si è trasformato in angelo visibile liberandomi dal campo, mentre l’angelo custode invisibile mi ha condotto nella compagnia di Gesù.
Poi, dal cielo, sant’Ignazio ha stabilito per me altre sorprese: il noviziato a Benesov e poi a Velehrad, lo studio della filosofia durante lavori forzati, prima con i soldati tedeschi e poi con quelli russi e romeni”.
Sembra un paradosso: uno dei più noti pensatori che ha iniziato a studiare filosofia ai lavori forzati.
La fine della guerra ha significato lo studio della teologia a Maastricht, nei Paesi Bassi, dove è stato ordinato sacerdote nel 1949.
Da prete, era pronto a tornare “con nuove idee in patria.
Il regime totalitario comunista non me lo ha permesso”.
Oltretutto la provincia dei gesuiti era stata dispersa.
Un’altra volta sembrava tutto perduto.
“Ma ecco, di nuovo, la Provvidenza all’opera: stavolta si è servita di uno sbaglio amministrativo, un mio superiore si è dimenticato di scrivere una lettera così mi sono ritrovato esule a Roma.
Insomma la Provvidenza mi ha dato la possibilità di dedicarmi a ciò che di nascosto già desiderava il mio cuore: lo studio della spiritualità orientale”.
Nel 1951, da esule, ha iniziato a lavorare alla Radio Vaticana e, fino alla morte, il venerdì pomeriggio è sempre andato in onda per commentare le letture della Messa domenicale.
“Ho sempre fatto trasmissioni attingendo alla mia preparazione spirituale centrata sullo studio degli antichi Padri della Chiesa.
La conclusione è che i Padri hanno ancora da dire “qualcosa” per l’oggi e non sono poi così “antichi””.
Con il suo programma ha cercato di aiutare i preti nella predicazione soprattutto nell’est europeo “e sotto il comunismo mi dicono fosse un servizio particolarmente utile: non c’erano né libri né ritiri spirituali”.
Sosteneva che l’essenza del suo pensiero la si poteva “indovinare simbolicamente proprio nella cappella Redemptoris Mater, dove i mosaici cercano di respirare con due polmoni.
Non soltanto gli uomini, ma anche le nazioni hanno la loro propria vocazione, per offrire il loro contributo alla Chiesa universale.
Ho cercato di indovinare il messaggio cristiano dell’Oriente europeo e di prestargli voce in Occidente”.
Teneva molto anche ai suoi trentotto anni come padre spirituale del Pontificio Collegio Nepomuceno, grazie ai quali aveva “sperimentato la distinzione fra un moralista, che conosce le regole della vita spirituale, e un padre spirituale, che deve avere la conoscenza delle persone.
Il secondo senza il primo si espone al pericolo di un vago carismatismo.
Il primo senza il secondo rimane paralizzato”.
Come padre spirituale del Collegio aveva avuto anche l’opportunità di incontrare grandi figure.
Di Papa Pacelli, per esempio, ricordava “come fosse informato fin nei dettagli della triste realtà della Cecoslovacchia.
Saputo che ero il padre spirituale del Collegio, mi ha dato ottimi consigli pratici su come risolvere certi dubbi sulla vocazione dei candidati al sacerdozio”.
Nel Collegio Nepomuceno, Spidlík ha vissuto accanto al cardinale Beran, espulso da Praga nel 1965.
“Un’esperienza spirituale forte durata quattro anni”.
Era accanto anche a lui nel momento della morte, il 17 maggio 1969, quando Paolo VI accorse per l’ultimo saluto.
Nel 1991 aveva scelto di vivere al centro Aletti, vicino a Santa Maria Maggiore, con padre Rupnik e un gruppo di artisti del mosaico.
Negli anni, il centro è divenuto molto più di un luogo di studio della tradizione dell’Oriente cristiano in relazione ai problemi del mondo contemporaneo.
Un rapporto particolare lo ha avuto con Giovanni Paolo II, il primo Papa slavo.
“Mi ha persino creato cardinale – diceva – e credo che l’abbia fatto per dare più visibilità alla spiritualità orientale.
Da parte mia, già allora mi sentivo troppo vecchio per dare una mano al Papa nel guidare la Chiesa e ho chiesto anche la dispensa dall’ordinazione episcopale.
Ho conosciuto Giovanni Paolo II più da vicino nel 1995, durante gli esercizi spirituali quaresimali che mi ha chiesto di predicare in Vaticano”.
Tutta la vita e l’opera di Spidlík si è espressa naturalmente in una grande apertura di dialogo ecumenico.
Sono note le sue relazioni di amicizia nel mondo ortodosso, tanto che tra i suoi allievi c’è anche il Patriarca Ecumenico, Bartolomeo i Lunghissimo, infine, l’elenco dei riconoscimenti accademici internazionali.
Nel 1989 è stato scelto come “uomo dell’anno 1990″ dall'”American Bibliographical Institute of Raleigh” (North Carolina) e un anno dopo lo stesso istituto lo ha indicato come “la personalità più ammirata del decennio”.
Tante le cittadinanze onorarie e i dottorati honoris causa in Russia, in Romania, nella sua Repubblica Ceca e negli Stati Uniti d’America: alla “Sacred Heart University” è stato istituito il “Cardinal Spidlík center for ecumenical understanding”, un centro teologico, spirituale e culturale di dialogo, ricerca, educazione, pubblicazione e collaborazione artistica tra i cristiani “per promuovere una più grande comprensione e cooperazione ecumenica”.
(©L’Osservatore Romano – 18 aprile 2010)
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