«La Natura imprevedibile è più forte di noi»

CARLO RUBBIA – «L’uomo — dice per esempio Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica nel 1984 — si sorprende davanti ai grandi eventi della natura, terremoti, eruzioni vulcaniche, cicloni, perché dimentichiamo che il nostro pianeta è in continuo movimento: l’Atlantico si allarga di 2,5 centimetri l’anno, allontanando l’Europa dall’America.
Ma tutto rientra nella storia e nell’evoluzione della terra: basti pensare che duecento milioni di anni fa tutti i continenti erano riuniti in un’unica terra emersa.
Bisogna rendersi conto che i fenomeni della natura coesistono con la vita dell’uomo, il quale deve esserne consapevole.
L’uomo e la natura sono due realtà parallele che convivono».
La nostra fragilità, dice ancora Rubbia, è resa ancora più palese dalle «conseguenze che questa eruzione vulcanica potrebbe avere per il cambiamento climatico: le polveri ridurranno la trasparenza dell’atmosfera e quindi la radiazione del sole riscalderà meno la terra su vaste aree, andando nella direzione contraria all’attuale cambiamento climatico».
PAOLO ROSSI – Una preoccupazione, quella di Rubbia, che si sposa perfettamente con la riflessione di Paolo Rossi, decano italiano dei filosofi della scienza e allievo di Eugenio Garin: «Questa vicenda smentisce due idee molto di moda nel mondo contemporaneo: dimostra innanzitutto che la natura non è affatto buona, e poi che non sappiamo come andrà a finire.
Nel primo caso mi riferisco alla fastidiosa propaganda sulla natura come dolce madre che arriva fino alla pubblicità (è un prodotto naturale: compralo), nel secondo al mito della prevedibilità dei fenomeni fisici ma anche del corso storico.
Le previsioni di lungo periodo si sono dimostrate sempre sbagliate: sia quelle catastrofiche di padre Lombardi quando vedeva i cavalli dei cosacchi abbeverarsi alle fontane di San Pietro, o di Alberto Asor Rosa che oggi predica l’apocalisse, sia quelle ottimistiche degli economisti che fino a un anno fa si illudevano di controllare l’andamento dei mercati».
GIULIO GIORELLO – Un titolo catastrofista, ma solo in funzione editoriale, è quello del libro del vulcanologo Bill McGuire, Guida alla fine del mondo, edito da Raffaello Cortina nella collana diretta da Giulio Giorello, filosofo della scienza alla Statale di Milano.
«Il libro di McGuire, studioso che in questi giorni lavora nel gruppo che gestisce l’emergenza in Gran Bretagna, ci parla delle catastrofi che possono mettere in crisi la nostra civiltà — spiega Giorello —.
Di alcune, come l’eruzione del vulcano islandese, non abbiamo colpa, ma siamo sempre responsabili delle risposte che diamo.
Per non finire come i dinosauri, secondo una teoria scomparsi all’impatto della terra con un gigantesco meteorite, non dobbiamo mai smettere di studiare il nostro pianeta, magari ricordandoci di applicare i risultati delle ricerche, perché per esempio in Italia abbiamo degli ottimi geologi ma non un atlante geologico completo.
E poi affinare le nostre capacità di risposta, attraverso l’elaborazione di modelli matematici sempre più sofisticati che se non prevedono quando un fenomeno si verifica almeno ci dicono come avviene, quindi ci mettono in grado di reagire».
MARGHERITA HACK – Convinta che la scienza possa comunque dare una mano è l’astrofisica Margherita Hack, tuttavia scettica di fronte alla prevedibilità di tutti i fenomeni.
«Non dico che la scienza sia impotente — argomenta la scienziata cui è stato intitolato l’asteroide 8558 — ma nei miei anni di studio e lavoro ho potuto constatare che sulla terra così come su molte stelle non tutto è prevedibile».
Quel che segue sembra un gioco di parole, ma Margherita Hack è convinta che «la scienza può servire anche quando prevede l’assoluta imprevedibilità di certi fatti.
Non sappiamo per esempio quando il Vesuvio andrà in eruzione ma di certo prima o poi accadrà».
NICOLA CABIBBO – Questa concreta preoccupazione per il Vesuvio accomuna la più laica tra gli scienziati al fisico Nicola Cabibbo, noto nel mondo per gli studi sulle interazioni delle particelle elementari e presidente della Pontificia accademia delle scienze.
«Il Vesuvio, vulcano molto pericoloso — sostiene Cabibbo — potrebbe fare disastri ben maggiori di quello islandese anche per la densità della popolazione che vive nell’area.
Viviamo in un mondo che può dare sorprese a tutti i livelli, dai fenomeni singolari come quello partito dall’Islanda, davanti al quale la scienza mi sembra possa ben poco, agli eventi come frane e terremoti, ben frequenti nel nostro Paese ma che ci colgono spesso impreparati.
L’eruzione di quel lontano vulcano che sta emettendo una quantità incredibile di polvere davanti alla quale nulla possono gli scienziati, mi sembra debba servire da monito per la nostra imprudenza».
Dino Messina Corriere della sera 18 aprile 2010 Davanti allo spettacolo terribile del terremoto di Lisbona, che il 1° novembre 1755 uccise dalle sessantamila alle novantamila persone, almeno un quarto degli abitanti di quella città, l’illuminista Voltaire arrivò a mettere in dubbio la provvidenza divina e il filosofo Immanuel Kant, il padre del razionalismo moderno, mise in guardia contro i peccati di orgoglio.
In maniera diversa, un richiamo all’umiltà dell’uomo di fronte agli sconvolgenti fenomeni naturali, come l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökul che da tre giorni sta bloccando il traffico aereo in Europa, viene anche oggi da filosofi e scienziati.

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