Competenza e imprenditorialità

Della definizione di competenza viene approfondito l’intervento sulla realtà, cioè il passaggio da una teoria, che sta resistendo alla falsificazione, all’azione umana di modificazione della realtà.
Di questo passaggio vengono esplicitati i punti seguenti: è creativo, imprenditoriale e in miglioramento continuo.
Successivamente vengono svolte alcune riflessioni, coerenti con l’impostazione proposta, relative all’attività didattica e alla definizione dei profili e dei piani di studio personalizzati sia nelle scuole che nelle università e nei corsi di formazione, per concludere con un rilievo sull’ambiente formativo.
I due termini in questione, competenza e imprenditorialità, vanno precisati.
Sulla definizione di competenza e su alcune implicazioni di essa mi sono soffermato varie volte (1) e mi sembra che resti sempre aperta a ulteriori risultati la proposta di svilupparla all’interno di una teoria generale della conoscenza umana limitata, fallibile e sempre perfettibile, lasciandoci alle spalle il paradigma illuminista che va dall’estremo di tralasciare la realtà per la conoscenza (nella visione idealistica) o la conoscenza per la realtà (nella visione marxista): in entrambi questi casi, tuttavia, è la conoscenza della realtà che fa la realtà.
Cogliendo la competenza come un processo — il processo conoscitivo umano integralmente inteso — che parte dalla realtà, nella quale ogni persona umana, che conosce, è immersa, e perviene alla realtà dopo lo sviluppo della dimensione logica-astratta, si può immediatamente comprendere che anche l’intervento sulla realtà è conoscenza e che l’azione umana non è semplicemente intervento sulla realtà esterna all’uomo, ma comprende intuizione di attese e bisogni, poiché avviene all’interno di un vissuto; intuisce problemi, sviluppa teorie, deducendone sempre nuove conseguenze e controllandole e falsificandole; e, infine, ritorna alla realtà con progetti e decisioni motivate per trasformarla in risposta, sempre perfettibile, alle attese e ai bisogni in continua evoluzione.
Per lo scopo che mi prefiggo ora, in questa definizione sono da sottolineare due aspetti: anzitutto […] come capacità di attivazione del processo, la competenza — il processo competente — è unica; possono venire distinte varie competenze in base alla diversità delle metodiche di falsificazione approntate (fisica, storia, sociologia, biologia, geologia, ermeneutica, traduzione, chimica, e così via) e alle prestazioni effettuate.
[…] La differenza tra una prestazione medica e la fabbrica di un’automobile non consiste nel processo competente, che è il medesimo, ma nelle metodiche di controllo e, conseguentemente, nelle prestazioni.
Una prestazione, poi, non può non essere «sociale».
Il controllo del processo competente non può non essere insieme e di base e trasversale.
Per poter pervenire a una comprensione del processo competente è necessario procedere da una teoria dell’azione umana, che, oltre a possedere sempre una dimensione economica, è competente quando comprende una prestazione quale risultato di un processo conoscitivo umano integrale.
(2) In secondo luogo […] il processo conoscitivo umano integrale è un metodo che procede per tentativi ed errori, ed è il medesimo procedimento del circolo ermeneutico, «detto in due linguaggi differenti»: (3) dalle attese e dai bisogni, colti in forma limitata, fallibile e sempre perfettibile, intuiamo problemi, elaboriamo teorie esplicative, le falsifichiamo controllandole in forma limitata, fallibile e sempre perfettibile, e perveniamo a interventi di trasformazione della realtà limitati, fallibili e sempre perfettibili per un miglioramento continuo.
E, come «chi si mette a interpretare un testo, attua sempre un progetto», (4) così il processo conoscitivo umano integrale, cioè competente, consiste in un progetto che viene effettivamente portato ad attuazione e valutato in vista di un miglioramento continuo: è un intervento sulla realtà limitato, fallibile, ma sempre perfettibile.
La realizzazione medesima dell’intervento competente, trasformativo della realtà, modifica a sua volta i bisogni e le attese e il circolo procede all’infinito.
(5) La descrizione proposta del processo competente è logica; effettivamente (psicologicamente) i processi si realizzano in infinite modalità diverse; tuttavia un processo conoscitivo umano completo deve sviluppare tutte le dimensioni specificate.
Nel processo competente sono da individuare i seguenti passaggi: • dalle attese e dai bisogni (vissuto) all’intuizione di un problema (a livello logico); • dai problemi, alla teorie e alla deduzione delle conseguenze di esse, che sono infinite (livello logico); • la falsificazione delle teorie (livello logico e sperimentale); • con l’intervento sulla realtà, in continuo miglioramento, in risposta alle attese e ai bisogni in altrettanto continua evoluzione.
In questa sede mi soffermerò sull’intervento sulla realtà, cioè nel passaggio da una teoria, che sta resistendo alla falsificazione, all’azione umana di modificazione della realtà.
Di questo passaggio vorrei esplicitare i punti seguenti: • è creativo; • è imprenditoriale; • è in miglioramento continuo; • è imprenditoriale nel miglioramento continuo.
Una definizione di imprenditorialità verrà proposta quando ne descriverò il punto specifico.
In un secondo tempo presenterò alcune riflessioni sull’attività didattica e sulla definizione dei profili e dei piani di studio personalizzati sia nelle scuole che nelle università e nei corsi di formazione, per concludere con un rilievo sull’ambiente formativo.
1.
Competenza 1.
1.
Dalla teoria all’azione Se, da una parte Hegel sostiene che la dialettica è la legge del pensiero e, dall’altra, Marx che è la legge della realtà, noi ci troviamo di fronte due posizioni contrapposte, ma non contraddittorie, perché anche Marx non può fare a meno della conoscenza e del pensiero per affermare che la dialettica è la legge della realtà: non si può abolire la conoscenza o ridurla a ideologia.
Infatti, che la dialettica sia legge della realtà è un’affermazione logica, astratta, senza una qualche forma di falsificazione.
Tra le posizioni di Hegel e di Marx, che unicamente all’interno di una visione idealista, teorica, astratta possiamo affermare che sono contraddittorie, vi è una serie infinita di altre posizioni intermedie, le quali, tuttavia, o enfatizzano la conoscenza e il pensiero logico astratto, oppure cercano di negarlo in nome della realtà.
Se però approfondiamo il discorso, ci accorgiamo che tutte le posizioni possibili risultano essere anzitutto giudizi logici, astratti, frutto del pensiero umano; e che qualunque forma di falsificazione avviene — o almeno dovrebbe avvenire — sotto il controllo metacognitivo umano limitato, fallibile e sempre perfettibile, con un’asimmetrica logica tra falsificazione e conferma.
L’azione umana, se appunto umana, avviene attraverso il controllo metacognitivo ed è conoscenza che, a sua volta, viene ulteriormente sviluppata sia a livello logico che pratico in un miglioramento continuo: «Tutti i nostri concetti hanno una forza euristica; essi sono anche pronti a identificare nuove esperienze, modificandosi in modo da poterle comprendere.
La pratica di un’abilità è sempre inventiva; concentrandoci sul raggiungimento di un successo, facciamo sorgere in noi nuove capacità».(6) Nessuno di noi può uscire dalla conoscenza e pervenire alla realtà: alla realtà perveniamo attraverso la conoscenza! Noi non siamo in possesso di un criterio di verità, come ci ha fatto comprendere Alfred Tarski.
(7) L’intervento sulla realtà ci mette di fronte alla complessità della realtà, di ogni situazione o contesto, cosicché essi non potranno mai essere pienamente controllati da una mente umana e, tanto meno, dalle forze umane.
Ilya Prigogine ci ha indicato la freccia del tempo e l’irreversibilità di ogni fenomeno.
(8) Il passaggio dalla teoria all’azione è complesso, non lineare.
Inoltre […] la nostra teoria giunge alla conclusione che non soltanto la mente nel suo complesso, ma persino tutti i singoli processi mentali devono eternamente rimanere per noi fenomeni di tipo speciale, che non riusciremo mai a spiegare completamente in termini di leggi fisiche, per quanto essi siano prodotti dagli stessi principî che sappiamo operare nel mondo fisico.
Se si preferisce, si può anche esprimere questo concetto affermando che i fenomeni mentali fondamentalmente non sono «null’altro che» processi fisici; tuttavia, questo non cambia il fatto che nella trattazione dei processi mentali noi non potremo mai evitare l’impiego di termini mentali, e che dovremo sempre rimanere entro i limiti di un dualismo pratico, un dualismo che non si fonda su una qualsiasi asserzione riguardo a una differenza oggettiva tra le due classi di eventi, bensì sulle dimostrabili limitazioni dei poteri della nostra mente rispetto alla piena comprensione dell’ordine unitario a cui essi appartengono.
(9) In conclusione: […] la possibilità di completare il compito della scienza così da poter spiegare dettagliatamente il modo in cui il nostro quadro sensoriale del mondo esterno rappresenta le relazioni esistenti fra le parti di quel mondo implicherebbe che questa riproduzione del mondo includesse una riproduzione di quella riproduzione (o un modello del rapporto modello-oggetto), la quale, a sua volta dovrebbe includere una riproduzione di quella riproduzione, e così via ad infinitum.
Pertanto, l’impossibilità di spiegare interamente qualunque rappresentazione del mondo esterno elaborata dalla mente comporta anche l’impossibilità di spiegare interamente il mondo «fenomenico» esterno.
La concezione di un simile completamento del compito della scienza è una vera e propria contraddizione in termini.
La ricerca che la scienza si propone rappresenta, per la sua stessa natura, un compito che non ha mai fine, in cui ogni passo avanti apre necessariamente nuovi problemi.
(10) Ma bisogna tener conto del «libero arbitrio»: Si può osservare di passaggio che queste considerazioni hanno alcuni riflessi anche sulla controversia di vecchia data in merito al «libero arbitrio».
Anche se potessimo conoscere il principio generale da cui tutta l’attività umana è determinata in modo causale mediante processi fisici, questo non significherebbe che potremo mai riconoscere una particolare azione umana come il risultato necessario di un particolare complesso di circostanze fisiche.
Le decisioni umane ci appariranno sempre come il risultato di un’intera personalità umana — vale a dire di tutta la mente di una persona — la quale, come si è visto, non può essere ridotta a qualcosa d’altro.
(11) Nel passaggio dalla dimensione teorica del processo conoscitivo umano all’intervento sulla realtà noi non conosciamo mai pienamente: • né il punto di partenza, cioè i nostri processi mentali e le nostre conoscenze, né un linguaggio della scienza unificata; (12) • né le conseguenze delle nostre teorie, che sono infinite; • né la realtà, sulla quale dobbiamo intervenire: ogni situazione possiede infinite variabili ed è in continua evoluzione; • né la nostra azione, la quale ha effetti intenzionali e infiniti effetti inintenzionali; • né, quindi, il risultato delle nostre azioni; • né il rapporto tra le nostre conoscenze e la realtà.
Le azioni umane strutturalmente «sono caratterizzate dall’incertezza rispetto al futuro», sicché a esse sono «connessi dei rischi che ne fanno della vere e proprie speculazioni».(13) Indipendentemente dal fatto che «l’azione sia originata da motivi altruistici o egoistici, da una disposizione nobile o bassa; se è diretta verso il raggiungimento di fini materiali o ideali; se scaturisce da un riflessione esauriente e scrupolosa o se segue impulsi passeggeri o passioni», essa ha sempre una dimensione sociale o di scambio.
«Le leggi della scienza catallattica spiegate dall’economia sono valide per ogni scambio, a prescindere dal fatto che coloro che ne sono coinvolti agiscano saggiamente o meno o che siano spinti da motivi economici o non».(14) Questo non significa che le persone non siano responsabili, non debbano essere educate ai valori.
Infine «non esiste competenza che non sia socialmente legittimata, in funzione anche della responsabilità verso terzi.
In caso contrario dovremmo arrestarci a nozioni pure oppure a contenuti psicologici».(15) Una formazione, che si limiti alla gestione di conoscenze teoriche, ritenendo l’intervento sulla realtà come qualcosa di aggiuntivo o di applicativo, non solamente non educa, ma diseduca; non forma ma allontana dall’azione.
1.
2.
Creatività del processo competente Ho affrontato brevemente il discorso del passaggio dalla teoria all’azione nel processo umano competente.
Dall’approfondimento svolto risulta logicamente che tale percorso non è né lineare né deterministico con riferimento alle conoscenze possedute, ma può (e deve) essere progettato.
La riuscita di un intervento sulla realtà è frutto di creatività: è, radicalmente parlando, intuizione.
Precisando, una conseguenza logica delle considerazioni proposte precedentemente è la seguente: il passaggio dalla teoria all’azione è sempre frutto di intuizione creativa nella lettura della situazione reale sulla quale si interviene: sia perché la situazione è sempre aperta e complessa sia perché l’azione umana è, pure, sempre aperta e complessa e ha conseguenze intenzionali e infinite conseguenze inintenzionali.
(16) Le azioni umane sono realtà complesse e aperte e, pertanto, il rapporto tra pensiero e realtà non è mai un’«applicazione», come pretendevano i razionalisti illuministi.
Per agire c’è bisogno di intuire, attraverso il sapere di sfondo e l’occhio clinico, (17) la situazione nella quale si interviene, mai conoscibile integralmente e definitivamente, perché, tra l’altro, in continua evoluzione.
L’intuizione è favorita dal vissuto della persona competente, dalle sue attese e dai bisogni espliciti e impliciti; ma è sempre qualcosa di nuovo, frutto di creatività; non esiste una via logica che porti alla realizzazione di un intervento sulla realtà.(18) Ora l’intervento sulla realtà, tramite l’azione umana, mentre è effettiva conoscenza, che può essere elaborata teoricamente, richiede un progetto, che è, a sua volta, frutto di creatività, limitato, fallibile e sempre perfettibile, in miglioramento continuo; non essendo possibile, per principio, alcuna pianificazione.
(19) Per questo la trasformazione della realtà, prestazione di ogni processo umano competente, non è mai garantita e, soprattutto, non lo è mai in modo ottimale.
Una formazione che non abbia progettato di creare le condizioni per lo sviluppo della creatività per l’intervento sulla realtà, e si limiti alla dimensione teorica del processo conoscitivo umano oppure pervenga solamente a forme di simulazione non è mai completa, proprio dal punto di vista della conoscenza, oltre che senza il risultato competente atteso, e rischia di diseducare.
1.
3.
Imprenditorialità nel processo competente La creatività nel passaggio dalla dimensione teorica del processo competente all’intervento sulla realtà, se ben considerata, ci permette di coglierne un significato profondo: può essere vera e propria imprenditorialità, quando è sviluppata a livello umano competente.
L’intervento sulla realtà, frutto di creatività, poiché non esiste una via logica alla realizzazione di esso — anche se, appunto perché azione umana, dipende da una decisione razionalmente motivata e progettata — va colto e approfondito, nel processo conoscitivo umano competente, quale dimensione di esso e autentica conoscenza, quando viene sviluppato, appunto, a livello umano.
Ci troviamo all’interno dell’azione umana, complessa, sempre aperta, «strutturalmente caratterizzata dall’incertezza», che comporta sempre non solamente scambio — e quindi le dimensioni etica e di comunicazione — ma anche innovazione e investimento.
In sintesi: «Il metodo individualistico (20) concentra la propria attenzione sull’azione umana.
L’uomo agisce perché si trova in una situazione di disequilibrio.
La sua azione produce conseguenze intenzionali e inintenzionali; e ciò significa che l’agire — che è economico, perché i mezzi a nostra disposizione sono scarsi — si svolge attraverso l’utilizzo di una conoscenza che è sempre parziale e fallibile, che rende quindi difficile il superamento di quel disequilibrio».
(21) Mentre la creatività indica formalmente la scoperta di qualcosa di nuovo e viene riferita al primo che vi arriva, l’imprenditorialità, sempre formalmente, denota la capacità di investire la scoperta, di coglierne e sfruttarne i possibili sviluppi produttivi ai vari livelli, compresi, evidentemente, quelli economici, perché l’agire umano è economico.
Kirzner ha deciso di vedere, nella prontezza [alertness] a scoprire nuovi obiettivi, che probabilmente si riveleranno valevoli e nuove risorse probabilmente disponibili, l’elemento imprenditoriale del processo decisionale dell’uomo.
È questo elemento imprenditoriale che è fonte della nostra visione dell’azione umana come attiva, creativa e umana, invece, che passiva, automatica e meccanica.
(22) Il processo di scoperta dell’imprenditore viene così liberato da forme di riduzione all’azione di economizzazione passiva, automatica e meccanica.
La scoperta di nuovi obiettivi e di nuove risorse, appunto perché azione umana, ha bisogno della capacità di identificare problemi, di elaborare teorie esplicative e di falsificarle.
Ma lo specifico imprenditoriale sta nell’arrivarvi prontamente e nello sfruttarle prima di altri, sapendo prendere le decisioni di economizzazione.
La caratteristica dell’imprenditorialità, nella nozione più generale di competenza, è rappresentata, formalmente, dalla prontezza, cioè dal fatto di riuscire a perseguire i nuovi obiettivi e a investirvi le risorse per primi, o comunque in tempi utili: è la dimensione dell’investimento nell’azione umana competente In sintesi, la competenza, come processo conoscitivo umano, in una descrizione logica, è possesso di conoscenze, gestione di conoscenze, prestazione, controllo metacognitivo, comunicazione e deontologia professionale, poiché è azione a livello umano e sempre complessa.
Ora l’investimento delle competenze è frutto di imprenditorialità quale prontezza nell’approfittare e investire le competenze.
Il problema, però, va approfondito, poiché le competenze — in quanto capitale umano, come vedremo — possono sì essere investite da terzi, che ne approfittano con prontezza, ma vi è una metaimprenditorialità (in analogia con la metacognizione) che consiste nella prontezza necessaria per approfittare delle proprie competenze e investirle.
Ritengo che questa forma di metaimprenditorialità risulti essere una componente della competenza.
La metaimprenditorialità, così intesa, ha riferimento pure al miglioramento continuo delle proprie competenze in risposta all’evoluzione delle attese e dei bisogni di una società o nel prevenirli.
Una formazione che non preveda la predisposzione dell’habitat per l’emersione della prontezza imprenditoriale in risposta alle attese in continua evoluzione e in concorrenza con il mercato, non solamente non è formazione, ma rischia proprio di togliere energie alla crescita e al miglioramento.
1.
4.
Miglioramento continuo nel processo competente Le norme ISO 9001:2000 (8.5.4) discorrono di «miglioramento continuo dell’organizzazione» così spiegato: «Per contribuire ad assicurare il futuro dell’organizzazione e la soddisfazione delle parti interessate, la direzione dovrebbe creare una cultura che coinvolga il personale nelle ricerca di opportunità per migliorare le prestazioni dei processi, delle attività e dei prodotti.
Per coinvolgere il personale, l’alta direzione dovrebbe creare un ambiente in cui l’autorità sia delegata, in modo che il personale abbia i poteri e sia investito della responsabilità per individuare dove esistono delle opportunità, per l’organizzazione, di migliorare le sue prestazioni».
Nella definizione di competenza proposta l’apertura al miglioramento continuo è strutturalmente presente, tra l’altro, nel passaggio dalla teoria all’azione.
Infatti, se da una parte questo passaggio è frutto di creatività, perché ogni situazione è unica e in continua evoluzione, ne consegue che il processo competente non potrà mai consistere in un esercizio o in un addestramento, ma in un miglioramento continuo per elevare incessantemente la performance delle prestazioni e degli interventi trasformativi della realtà in risposta alle attese e ai bisogni in continua evoluzione.
Il miglioramento continuo può pervenire fino al mutamento di «paradigma», se così posso esprimermi, sia in risposta ai bisogni e alle attese che nel prevenirli.
Dall’altra parte, però, una competenza, per il medesimo ordine di motivazioni, non è mai compiutamente posseduta, perché, appunto, ogni situazione è nuova, unica, irriproducibile, in continua evoluzione.
La conseguenza è evidente: il miglioramento continuo per sviluppare il livello di performance ed essere in grado di intervenire in risposta all’intuizione, all’interpretazione e alla soddisfazione di un’attesa o di un bisogno sempre in continua evoluzione Una formazione, che si limiti alla realizzazione di qualche prestazione, senza sviluppare un vero e proprio apprendistato delle competenze con l’esercizio del miglioramento continuo, documentato, non è formazione, ma rischia unicamente di addestrare.
1.
5.
Imprenditorialità nel miglioramento continuo del processo competente L’imprenditorialità, quale prontezza (alertness) necessaria per approfittare delle conoscenze e investirle, nel passaggio al processo competente, quale processo conoscitivo umano integrale, diviene la prontezza nell’approfittare e investire le competenze; nello specifico della metaimprenditorialità, è la prontezza nell’approfittare e investire le proprie competenze.
Se la metaimprenditorialità ha riferimento pure al miglioramento continuo delle proprie competenze in risposta all’evoluzione delle attese e dei bisogni di una società (o nel prevenirli), e, logicamente il possesso di una competenza non può essere statico, pure l’imprenditorialità e la metaimprenditorialità, in quanto prontezza, non possono essere statiche, ma in continua evoluzione in risposta alle attese e ai bisogni, sempre in continua evoluzione; anzi, appunto perché prontezza, nel prevenirli e nell’anticipare i tempi.
Una formazione che non educhi alla metaimprenditorialità, non solamente non è formazione, ma rischia proprio di bloccare.
2.
Per la formazione Gli sviluppi proposti, conseguenti alla definizione di competenza dalla quale sono partito, hanno riferimento, tra l’altro, alla didattica, alla definizione dei profili e dei piani di studio personalizzati sia nelle scuole che nelle università e nei corsi di formazione.
2.
1.
Per la mediazione didattica Poiché la conoscenza è un’azione umana, che comprende l’intero processo conoscitivo, incluso l’intervento sulla realtà, riteniamo che nessun apprendimento, se avviene a livello umano, possa esserne in qualche modo monco, come farebbe supporre il paradigma illuminista (francese).
Accompagnare il discente a gestire una prestazione di intervento sulla realtà è un’attività conoscitiva e di apprendimento, non solamente per ciò che comporta l’operar con mano, ma per l’acquisizione, a livello umano (per libero convincimento interiore e con decisioni liberamente motivate e responsabili), di ogni conoscenza: è un apprendistato, non un addestramento.
(23) Ed è un discorso che è pienamente coerente con la personalizzazione dei processi di insegnamento e di apprendimento.
Infatti, dal punto di vista psicologico, il processo competente segue le attitudini e le capacità di ogni persona e avviene nelle forme più disparate.
Nella definizione ho presentato necessariamente una descrizione logica, ma nella realtà non si realizza un procedimento logico: si può partire da qualunque dimensione o momento, che ho descritto logicamente, del processo competente; e ci si può muovere a causa di motivazioni diversissime e all’interno di situazioni le più disparate, persino in una classe.
Ho presentato una procedura sia per le Unità di Apprendimento.
(24) che per i crediti universitari (ECTS).
(25) Tali procedure possono divenire anche questionari per una rilevazione sia qualitativa che quantitativa delle azioni di insegnamento e di apprendimento.
(26) Per lo sviluppo di un apprendimento, che sia un vero e proprio apprendistato, ritengo importante, tra l’altro, una descrizione metacognitiva del proprio apprendimento, come è indicato nelle procedure proposte, certificabili ai sensi delle norme ISO 2000:9001.
Nel trattare del passaggio Dalla scuola all’università, affermavo che […] il percorso formativo dovrebbe prevedere: • lo sviluppo graduale della metacognizione dall’età della preadolescenza; • la collaborazione progressiva con i docenti nella redazione delle UA (almeno dopo il biennio superiore di scuola); • la redazione degli ECTS, con la collaborazione e il controllo dei docenti, da parte degli studenti universitari: è, chiaramente, un’azione di tutoring.
È una modalità di attivare la continuità tra scuola e università.
(27) 2.
2.
Per i Profili Anzitutto i Profili vanno strutturati per competenze.
Una domanda emerge immediatamente: le competenze dei Profili devono essere professionalmente qualificate oppure devono fare riferimento ai compiti dello sviluppo? La risposta che propongo è la seguente: i compiti dello sviluppo prevedono la maturazione delle varie dimensioni della persona a livello pienamente umano, non ancora, però, professionalmente qualificato.
Le competenze del profilo, coerentemente, saranno definite dai compiti dell’età evolutiva fino a una maturazione pienamente umana e responsabilmente umana, prevista, per legge, a 18 anni.
Non prevediamo ancora [nella scuola] alcuna qualifica professionale per l’inserimento nel mondo del lavoro, poiché essa richiederebbe la specificazione di competenze legate all’esercizio di una professione determinata e socialmente riconosciuta.
Riteniamo che questa specificazione debba essere attribuita ai percorsi di istruzione e formazione professionale e universitari.
(28) Un secondo problema nasce dall’epistemologia proposta del processo competente: è unico, ma si diversifica solamente per le metodiche di falsificazione e per le prestazioni, in risposta a situazioni sempre diverse.
Una soluzione coerente è la seguente: i compiti dell’età evolutiva riguardano le varie dimensioni del processo umano competente, compreso nella sua visione integrale e, quindi, con le prestazioni, che sono conoscenza, se realizzate a livello umano.
Ne consegue che la distinzione di competenze nei profili da noi considerati [al termine del Primo e del Secondo Ciclo] riguarda le varie dimensioni della maturazione umana di ogni persona, e, quindi, necessariamente, essendo il processo competente fondamentalmente unico, le cosiddette “competenze”del profilo pongono l’attenzione e precisano vari momenti del processo competente, legati, nell’età scolare, allo sviluppo integrale della persona.
Ecco perché usiamo l’espressione: “dimensioni del processo competente”.
Analogamente riteniamo si debba procedere per la specificazione delle “competenze” di una determinata professione (29) e, quindi, anche nei Profili al termine dei corsi di Laurea universitari e dell’Istruzione e Formazione Professionale.
Il Profilo rappresenta il capitale umano (HC), atteso al termine dei corsi di studio o di formazione, «definibile come l’incremento di conoscenze e attitudine al lavoro dovuto a istruzione, formazione, miglioramento delle condizioni di salute e psicofisiche (Mincer, 1958; Mincer, 1970; Becker, 1962; Becker, 1964).
Ciò premesso tale concetto può essere preso in considerazione in senso stretto, facendo riferimento alle definizione presente in letteratura o in senso lato come “capitale umano potenziale” inteso come capacità di primo inserimento nel mercato del lavoro grazie agli studi universitari (Cammelli, 2003)» (Giorgio Vittadini).
VEDERE CON BORDIGNON.
Il capitale umano, senza il riferimento all’investimento, e, quindi, all’imprenditorialità e alla metaimprenditorialità, risulta mancante.
Non abbiamo altra modalità che l’investimento di fatto delle competenze del Profilo per valutare il capitale umano, poiché l’imprenditorialità non è unicamente di terzi, ma pure dello studente stesso.
Se non si realizza, la causa (siamo all’interno della complessità) non è mai solamente del mercato del lavoro e delle professioni, ma anche dello studente, che non è riuscito a essere imprenditore di se stesso.
E questo si può documentare per mezzo di un confronto con gli studenti, che, invece, sono riusciti a investire le proprie competenze.
2.
3.
Per i Piani di Studio Personalizzati Ho definito il Piano di Studi Personalizzato (PSP) «come il percorso di apprendimento che gli studenti compiono, con l’apporto di tutti i processi di insegnamento (relativi a discipline di studio, attività, laboratori, tirocini), al fine di realizzare il Profilo educativo, culturale e professionale».
(30) Il PSP nella scuola è documentato dalla descrizione procedurale delle Unità di Apprendimento e nell’Università degli ECTS.
Lavorando su questa documentazione, i vari consigli di classe o di corso — oppure organi con analoghe competenze — possono, da una parte, seguire il percorso effettivamente compiuto da ogni studente; e dall’altra, procedere verso un miglioramento continuo secondo le prospettive indicate.
(31) Il PSP obbliga a sviluppare l’orientamento effettivo dello studente (spendibilità, implementazione, integrazione degli apprendimenti), il quale deve elaborare e iniziare a realizzare un progetto personale di apprendimento lifelong learning, un progetto professionale e vocazionale personale, per un progetto personale di vita, con l’inserimento nella società civile e nella comunità ecclesiale tramite prestazioni concrete di competenze acquisite in continuo miglioramento.
Ritengo che questo modo di procedere porti in modo efficace alla personalizzazione dell’apprendimento.
3.
L’ambiente formativo L’imprenditorialità — o metaimprenditorialità — di una persona si rivela proprio nella strutturazione e realizzazione di un progetto personale di apprendimento lifelong learning, di un progetto professionale e vocazionale personale, per un progetto personale di vita, evidentemente in continua evoluzione e arricchimento.
L’ambiente formativo, sia nelle dimensioni simmetriche che asimmetriche, dovrà sviluppare competenze intese nel significato di un processo conoscitivo umano integrale.
L’interazione tra studenti dovrà favorire lo sviluppo delle attitudini e capacità di ciascuno in vista dell’acquisizione di competenze spendibili effettivamente e di fatto investite in rapporto con l’ambiente del lavoro e delle professioni.
L’interazione studenti-formatori comporta, da una parte, nel formatore la ricerca della realizzazione di ognuno degli studenti, secondo i progetti propri di ciascun allievo, senza mai imporre le proprie vedute o prospettive, solamente impedendo ciò che è negativo; dall’altra che lo studente, conscio e impegnato nella realizzazione dei propri progetti, percepisca il formatore come uno che ne cerca effettivamente il bene, cioè la realizzazione.
L’ambiente formativo deve divenire un luogo attivo nel quale le competenze vengono acquisite, investite nel miglior modo possibile in interazione con l’ambiente circostante, che non è semplicemente luogo di impiego, ma anche di acquisizione e sviluppo delle competenze.
Sono caratteristiche di un ambiente formativo (scuola, università, istruzione e formazione professionale) non solamente l’acquisizione di conoscenze o di «pratiche», ma lo sviluppo di imprenditorialità e di investimento delle competenze, in un miglioramento continuo, nell’interazione con la domanda, in concorrenza con l’offerta, prevenendo, se possibile, la prima e, certamente, la seconda.
Scuola e ambiente di lavoro (impresa) devono essere collegati e interagenti: acquisizione di conoscenze, progettazione e realizzazione con riprogettazione per un miglioramento continuo è il processo di un apprendimento, che è un apprendistato.
La visione sia di competenza che di apprendimento prospettate «ci permette di dire che non esiste competenza che non sia socialmente legittimata, in funzione anche della responsabilità verso terzi.
In caso contrario dovremmo arrestarci a nozioni oppure a contenuti psicologici».
L’introduzione delle competenze nelle scuole, nelle università e nella formazione […] permette di superarne alcuni gravi limiti: • la perdita di contatto con l’esperienza, che è all’origine dell’insegnamento quale proposta di contenuti da apprendere (visione illuminista dell’insegnamento); • l’incapacità di attingere alla trasformazione progettuale della realtà attraverso i processi di insegnamento e di apprendimento; • e, infine, il lasciare i giovani inattivi per anni e anni, lontani dal contatto con i problemi e impediti di un loro apporto di collaborazione sociale».
(32) La personalizzazione dell’apprendimento, accolta anche nell’ambiente anglosassone, (33) porta coerentemente a sviluppare le attitudini e capacità degli studenti verso l’acquisizione delle competenze, che comportano non solamente l’intervento sulla realtà, ma anche un investimento imprenditoriale di esse.
Gli ambienti formativi non devono arrestarsi alla simulazione del processo competenze- conoscenze-progettazione-realizzazione, ma devono condurre gli studenti e gli allievi fino all’investimento imprenditoriale delle competenze acquisite, in un miglioramento continuo, in risposta alla domanda e in concorrenza con l’offerta.
L’apprendimento, che è un apprendistato, non si ferma alle soglie della struttura scolastica, universitaria o di formazione, ma la sorpassa ed entra nel territorio per rispondere alla domanda e in concorrenza con l’offerta.
Il che significa che scuole, università, strutture formative saranno all’altezza della loro missione solamente nell’interazione continua con le imprese e con il mercato del lavoro e delle professioni, non tanto per offrire alle persone in formazione un mero posto di lavoro (che non è da disprezzare!), ma per rendere le persone in formazione imprenditori e in grado di investire le competenze acquisite.
NOTE 1.  Si vedano soprattutto i primi due capitoli di B.
Bordignon, Certificazione delle competenze.
Premesse teoriche, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2006: Cos’è competenza? (pp.
11-39); Quando una persona possiede un competenza (pp.
41-65).
Ora anche in: http://books.google.com/books?id=QQd4yz6SfNMC&dq=Bruno+Bordignon&printsec=frontco ver&source=bl&ots=–l3E_25iH&sig=_Rsrx_xJQ6m6RQ7BdYBT9eoG3n8&hl=it&ei=wXQvS r7EGoPE_Qadn_jHCg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=4 2.  B.
Bordignon, Certificazione delle competenze.
Premesse teoriche, op.
cit., pp.
11; 14-15.
3.  D.
Antiseri, Teoria unificata del metodo, Torino, Utet Libreria, 2001, nuova edizione, p.
129.
Dario Antiseri si era introdotto: «Qua giunti, una domanda sorge spontanea: c’è davvero qualche differenza fra la teoria ermeneutica di H.-G.
Gadamer e la teoria epistemologica di K.
R.
Popper? Il circolo ermeneutico descrive (e prescrive) un procedimento diverso da quello descritto (e prescritto) dal metodo risolventesi nei tre passaggi problemi-teorie-critiche? In breve: esistono differenze tra l’ermeneutica e l’espistemologia?» (pp.
129-130).
4.  H.-G.
Gadamer, Verità e metodo, Milano, Fabbri, 1972, pp.
313-314: «Chi si mette a interpretare un testo, attua sempre un progetto.
Sulla base del più immediato senso che il testo gli esibisce, egli abbozza preliminarmente un significato del tutto.
E anche il senso più immediato il testo lo esibisce solo in quanto lo si legge con certe attese determinate.
La comprensione di ciò che si dà da comprendere consiste tutta nella elaborazione di questo progetto preliminare, che ovviamente viene continuamente riveduto in base a ciò che risulta dall’ulteriore penetrazione del testo».
5.  B.
Bordignon, Personalizzazione dei processi di apprendimento, «Orientamenti Pedagogici», n.1, 2008, pp.
90-91.
6.  M.
Polanyi, La conoscenza personale.
Verso una filosofia post-critica, a cura di E.
Riverso, Milano, Rusconi, 1990, p.
241.
7.  Per una breve presentazione di questa problematica in Tarski si può vedere: D.
Antiseri, Manuale di Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, Utet Libreria, 1996, p.
196 (Alfred Tarski risponde alla domanda di Pilato).
8.  Vedi, ad esempio: I.
Prigogine, Le leggi del caos, Roma-Bari, Laterza, 2006².
9.  F.A.
von Hayek, L’ordine sensoriale.
I fondamenti della psicologia teorica, introduzione di H.
Klüver, edizione italiana a cura di F.
Marucci e A.M.
Petroni, Milano, Rusconi, 1990, p.
271.
10.  F.A.
von Hayek, op.
cit., pp.
275-276.
Il titolo originale dell’opera: The Sensory Order.
An Inquiry into the Foundation of Theoretical Psycology, London, Routledge, 1952.
Ma, come dice Hayek nella Prefazione, «le origini di questo libro […] risalgono ad un approccio al problema in voga una generazione fa […] Trent’anni dopo, esaminando la letteratura psicologica, ho scoperto con grande sorpresa che il problema specifico a cui mi ero interessato era rimasto per lo più nello stesso stato in cui versava quando me ne ero occupato per la prima volta» (pp.
6-7).
11.  F.A.
von Hayek, op.
cit., p.
274.
In nota Hayek scrive : «per una discussione più approfondita su questo punto si veda F.A.
Hayek, 1942, pp.
290 e ss.» e cioè Scientism and the Study of Society, «Economica», n.
9, 1942, pp.
267-291; n.
10, 1943, pp.
34-63; n.
11, 1944, pp.
27-39, rist.
in The Counter-Revolution of Science, Glencoe, Free Press, 1952; trad.
it.
L’abuso della ragione, Firenze, Vallecchi, 1967.
12.  «È chiaro che questa tesi di un unico linguaggio universale della scienza unificata, è strettamente legata a quella dell’eliminazione della metafisica […].
Ora, la cosa strana di questa tesi di un unico linguaggio universale è che, prima che fosse pubblicata (il 30 dicembre del 1932), essa era stata confutata da uno dei colleghi di Carnap nel Circolo di Vienna.
Gödel infatti, con i suoi due famosi teoremi di incompletezza, aveva dimostrato che un linguaggio unificato non risulterebbe abbastanza universale neppure ai fini della teoria elementare dei numeri: anche se è possibile costruire un linguaggio in cui vengano espresse tutte le asserzioni di questa teoria, esso tuttavia non consente di formalizzare tutte le dimostrazioni delle asserzioni che (in qualche altro linguaggio) possono essere dimostrate.
Sarebbe stato meglio, pertanto, scartare senz’altro questa dottrina di un unico linguaggio universale di un’unica scienza universale (particolarmente in considerazione del secondo teorema di Gödel, il quale mostrava che era inutile cercare di discutere della coerenza di un linguaggio in quello stesso linguaggio).
Ma da allora è emerso ancora dell’altro a dimostrazione dell’insostenibilità della tesi del linguaggio universale, e mi riferisco principalmente alla dimostrazione di Tarski secondo cui ogni linguaggio universale è paradossale (tesi pubblicata per la prima volta in polacco nel 1933, e in tedesco nel 1935)» (K.R.
Popper, La demarcazione tra scienza e metafisica.
In Congetture e confutazioni.
Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Bologna, il Mulino, 1972, pp.
457-458.
L’edizione originale è del 1969: Conjectures and Refutation, London, Routledge and Kegan Paul).
13.  L.
von Mises, Socialismo, trad.
it., Milano, Rusconi, 1990, p.
239.
Si veda la Prefazione di L.
Infantino a Burocrazia di prossima edizione per Rubbettino.
14.  L.
von Mises, Problemi epistemologici dell’economia, Roma, Armando Editore, 1988, p.
57.
15.  B.
Bordignon, Certificazione delle competenze.
Premesse teoriche, op.
cit., pp.
64-65.
16.  L’analisi delle quali è, poi, il compito, come precisa Dario Antiseri, delle Scienze sociali teoriche: «Le scienze sociali hanno come loro (principale ovvero) esclusivo compito quello di analizzare le conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali» (Trattato di Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, p.
470.
Ma si veda tutto il Capitolo venticinquesimo, pp.
467-487).
17.  Ho sviluppato questi argomenti in Certificazione delle competenze.
Premesse teoriche, op.
cit., pp.
42-57: Problema ed esercizio (pp.
42-45); Competenza e abilità (pp.
45-46); Un esempio classico: l’«occhio clinico» (pp.
46-50); Apprendimento e addestramento (pp.
50-54); Competenza e transfer degli apprendimenti (pp.
54-55).
18.  Per questo, anche se da tempo sostengo che, nell’insegnamento delle materie scientifiche, è necessaria la Storia della scienza e delle scoperte, non riesco a «comprendere» il tentativo di Alberto Corsero-Lecca di pervenire a «un approccio sistemico per l’educazione creativa alla scoperta scientifica» (L’apprendimento delle scienze inteso come evoluzione di un sistema complesso: un progetto di ricerca.
In Complessità dinamica dei processi educativi.
Aspetti teorici e pratici, a cura di F.
Abbona, G.
del Re, G.
Monaco, Milano, FrancoAngeli, 2008, pp.
86-105).
Probabilmente è da distinguere meglio ciò che è preparazione dell’humus culturale, che può favorire la scoperta e la creatività della scoperta medesima, mai frutto di causazione lineare, poiché non esiste una «via logica alla scoperta scientifica».
Sull’argomento si veda di Dario Antiseri, La creazione delle ipotesi (pp.
10-17).
In Teoria unificata del metodo, Torino, UTET Libreria, 2001, nuova edizione.
19.  Per la tesi sull’impossibilità della pianificazione F.A.
von Hayek ha vinto il premio Nobel nel 1974.
Si può leggere nella edizione italiana (Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, Traduzione di G.
Minotti a cura di E.
Coccia, Roma, Armando Editore, 1988, pp.
32-44) con il titolo La presunzione di conoscere, il discorso pronunciato a Stoccolma l’11 dicembre 1974, in occasione del conferimento dei Premi Nobel, e ristampato da Les prix Nobel en 1974, Stoccolma 1975.
20.  Poiché sono un individualista metodologico, ritengo che esistano unicamente le persone umane e le azioni che queste mettono in atto: le organizzazioni sono uno «stenogramma», come lo definisce Lorenzo Infantino, per intendere un intreccio, congegnato in infinite forme, di persone e di azioni umane.
Di Infantino si veda per esempio, L’ordine senza piano.
Le ragioni dell’individualismo metodologico, Roma, Armando Editore, 2008 (nuova edizione, p.
14): «Il problema non sta quindi nel se, ma nel come usare i concetti collettivi.
Abbiamo bisogno di essi, perché sono degli stenogrammi che ci consentono di comunicare con grande immediatezza e risparmio di tempo.
Non sono però delle entità dotate di una vita separata, autonoma o, come diceva Salvemini, “sdoppiata dagli avvenimenti e creatrice degli avvenimenti stessi”».
Infantino aggiunge in nota: «In tal caso, come Böhm-Bawerk […] ha posto in evidenza, si cade in un”flagrante errore di duplicazione” della realtà».
Per una prima presentazione dell’individualismo metodologico si può leggere il capitolo XXIV L’individualismo metodologico: i suoi problemi e i suoi teorici, di D.
Antiseri, Trattato di metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, pp.
440-466.
21.  L.
Infantino, Prefazione all’edizione italiana di I.M.
Kirzner, Concorrenza e imprenditorialità, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1997, p.
10.
22.  È la tesi di I.M.
Kirzner, Concorrenza e imprenditorialità, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1997.
23.  B.
Bordignon, L’apprendimento è un apprendistato, «Orientamenti Pedagogici», n.
5, 2008, p.
768.
24.  B.
Bordignon, La struttura dell’Unità di Apprendimento.
Una sperimentazione delle Scuole Salesiane, «Orientamenti Pedagogici», n.
4, 2007, pp.
635-664.
25.  B.
Bordignon e R.
Caputi, Certificazione delle competenze.
Una sperimentazione delle Scuole Salesiane, Roma, Armando, 2009, pp.
543-593.
26.  B.
Bordignon, Unità di Apprendimento (UA) e Nuova Ricerca Didattica (NRD).
Una sperimentazione delle Scuole Salesiane, «Orientamenti Pedagogici», n.1, 2009, pp.
91-104.
27.  B.
Bordignon e R.
Caputi, Certificazione delle competenze.
Una sperimentazione delle Scuole Salesiane, op.
cit., p.
194.
28.  B.
Bordignon e R.
Caputi, ibidem, p.
437.
29.  B.
Bordignon e R.
Caputi, ibidem, p.
437-438.
In questo volume sono riportati due esempi di Profilo (al termine del primo anno della scuola secondaria di primo grado e al termine del terzo anno della scuola secondaria di secondo grado), alle pp.
439-464.
30.  B.
Bordignon, Personalizzazione dei processi di apprendimento, «Orientamenti Pedagogici», n.
1, 2008, p.
102.
31.  Per una esemplificazione relativa a una Terza Liceo Scientifico si può vedere Avvio alla strutturazione di Piani di Studio Personalizzati (PSP).
In B.
Bordignon e R.
Caputi, Certificazione delle competenze.
Una sperimentazione delle Scuole Salesiane, op.
cit., pp.
101-161.
32.  B.
Bordignon, Certificazione delle competenze.
Premesse teoriche, op.
cit., pp.
64-65.
33.  Si veda CERI-OCSE, Personalizzare l’insegnamento, Bologna, il Mulino, 2008.
L’edizione originale: Personalising Education / Personaliser l’education, Paris, Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), 2006.
Orientamenti Pedagogici Vol.
56, n.
6, novembre-dicembre 2009 (pp.
xx)

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