In occasione dell’ottavo centenario dell’approvazione della Regola di san Francesco, l’11 aprile s’inaugura, presso la basilica di San Francesco ad Assisi e al Palazzo del Monte Frumentario, la mostra “I colori di Giotto.
La basilica di Assisi tra restauro e restituzione virtuale” curata da Giuseppe Basile.
Nell’occasione – e fino al 5 settembre – si apre ai visitatori il cantiere di restauro dei dipinti murali di Giotto nella Cappella di San Nicola della Basilica inferiore.
Pubblichiamo un testo del direttore dei Musei Vaticani, che è anche il presidente del Comitato scientifico della manifestazione.
Questo anno 2010 segna l’ottavo centenario dalla approvazione della Regola Francescana.
Da Assisi è nato il grande incendio che ha investito l’intera cristianità dalla Scozia alla Sicilia, dal Portogallo ai Balcani e alla Terra Santa.
Non basterebbe una intera biblioteca per contenere tutto quello che è stato scritto, in otto secoli, su san Francesco, sui suoi discepoli, sulla diffusione dell’ordine in tutte le sue varianti (i conventuali, gli osservanti, i cappuccini), sulla infinita gemmazione di sapienza e di bellezza che l’insegnamento del maestro ha prodotto ai quattro angoli del mondo in ottocento anni.
Nella teologia, nella filosofia, nella poesia, nella musica, nell’architettura, nelle arti figurative.
Tutto è nato ad Assisi.
Da Assisi l’imago Francisci si è diffusa nel mondo cristiano, lo ha abitato e lo ha fecondato.
Alla base della fortuna planetaria che ha accompagnato fino a oggi le opere e i giorni del santo, ci sono gli affreschi nella Chiesa Superiore di Assisi.
Da lì bisogna partire per intendere quel fenomeno grandiosamente epico che è stato il francescanesimo.
Ed ecco la mostra che, voluta dal sindaco Claudio Ricci e dal custode del Sacro Convento, Giuseppe Piemontese, curata da Giuseppe Basile è stata inaugurata in Assisi il 10 aprile per rimanere aperta fino al 5 settembre.
Le sedi espositive sono la basilica stessa e il Palazzo del Monte Frumentario.
Il titolo “I colori di Giotto tra restauro e restituzione virtuale” fa intendere bene l’obiettivo dell’iniziativa; una iniziativa che sta in bilico fra una filologia storico artistica squisitamente raffinata e il dispiego delle più sofisticate tecnologie digitali ad alta definizione.
Da ciò le ragioni del suo fascino.
Chi, nei prossimi giorni, si recherà ad Assisi potrà vedere da vicino e dal vero i colori di Giotto salendo sui ponteggi della Cappella di San Nicola, nella Basilica Inferiore.
Attualmente è in corso il restauro guidato da Sergio Fusetti e sarà questa l’occasione per capire fino a che punto è lecito sostenere (come io credo) l’autografia del maestro toscano in questo settore del san Francesco.
Nel trecentesco Palazzo detto del “Monte Frumentario”, di recente restaurato, le storie della Basilica Superiore vengono virtualmente riproposte come “dovevano essere”.
Grazie all’impiego di tecniche fotomeccaniche, digitali e di intervento pittorico manuale, sotto la direzione di Giuseppe Basile coordinatore di una equipe dell’Istituto centrale del restauro, e di Fabio Fernetti, gli affreschi – in scala comprensibilmente ridotta rispetto agli originali – saranno resi visibili nel loro aspetto “originario”.
Al netto quindi delle mutazioni materiche e degli interventi di restauro che li hanno fatalmente coinvolti nei più di sette secoli della loro esistenza.
La restituzione virtuale è di eccellente livello e ci invita a riflettere su quella che è stata definita la “questione omerica” dei nostri studi.
La presenza cioè di Giotto nel cantiere di Assisi.
L’ormai antico dilemma: “Giotto non Giotto?” non ha avuto fino a ora una risposta certa, risolutiva e da tutti condivisa.
Ci sono studiosi, prevalentemente di oltre Oceano, che non credono che l’autore delle Storie francescane sia il Giotto di cui parla Dante nell’undecimo del Purgatorio: “Credette Cimabue nella pintura / tenere lo campo ed ora ha Giotto il grido / si che la fama di colui è oscura”.
Gli storici italiani, con la sola cospicua eccezione di Federico Zeri, pensano invece (io fra gli altri) che l’autore delle Storie Francescane sia lo stesso, che, una manciata di anni più tardi, affrescherà per Enrico degli Scrovegni la Cappella dell’Arena a Padova.
Il problema non è tanto il vuoto documentario e l’ambiguità delle fonti più antiche (Vasari) sul ciclo di Assisi a fronte delle certezze antiche e inoppugnabili che possediamo sugli affreschi di Padova.
Il problema è un altro.
Il problema è la grande differenza, non di stile ma di evoluzione e maturità dello stile, che siamo costretti a riscontrare fra l’una e l’altra impresa.
Passare dalle Storie Francescane della Basilica Superiore – scatole prospettiche dove tutto è secco ed essenziale – alla maniera dolce e fusa di Padova, alle scene veterotestamentarie ed evangeliche che sembrano già un anticipo sul Beato Angelico e su Piero della Francesca, è oggettivamente arduo.
Assomiglia a una scalata acrobatica di sesto grado superiore.
Eppure per chi, come me, crede nella autografia di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, l’impasse si supera solo se si tiene conto dei tempi del genio che conoscono accelerazioni vertiginose.
Il Giotto di Padova è già presente in Assisi nel dominio dello spazio, nella scoperta della verità di natura, nella efficacia drammatica e potentemente didascalica delle sceneggiature.
Subito dopo arriva la Cappella degli Scrovegni, cioè l’incipit del Rinascimento.
Per cui, come diceva Berenson, Masaccio altro non è che Giotto “rinato” (born again).
A ben guardare non diversa è stata la traiettoria velocissima di Dante Alighieri dalle prime composizioni “dolcestilnoviste” alla Cavalcanti e alla Guinicelli, al canto dei lussuriosi nell’Inferno.
Per cui quel verso messo in bocca a Francesca (“la bocca mi baciò tutto tremante”) è già Baudelaire, è già la poesia moderna.
di Antonio Paolucci (©L’Osservatore Romano – 11 aprile 2010)
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