Chiesa dei peccatori, Chiesa dei santi

Chiesa dei peccatori, Chiesa dei santi Anche se si preferisce evitare parole grosse, la rivelazione nelle scorse settimane di molti casi di abusi costituisce una profonda crisi in particolare per la Chiesa cattolica.
Anche se sono implicati molti fattori esterni alla Chiesa, non ha alcun senso puntare il dito prima su altri.
Altrimenti si potrebbe dare l’impressione di voler distogliere l’attenzione dalla responsabilità propria o relativizzare ciò che è accaduto.
Come Chiesa neppure ci dobbiamo meravigliare se veniamo giudicati severamente – certo talvolta anche con malignità e malevolenza – con gli stessi criteri con cui la Chiesa in altre situazioni presenta le sue convinzioni morali, in particolare in riferimento alla sessualità.
I casi di abusi scoperti funzionano qui come un boomerang.
Certo non dobbiamo lasciarci tappare la bocca e dobbiamo dire con nettezza che si tratta chiaramente di un malcostume sociale, di cui la maggior parte di noi non aveva sospettato l’entità.
Lentamente vengono scoperti comportamenti negativi anche in luoghi finora poco sospetti.
Le indicazioni numeriche relative ai casi conosciuti e le stime dei casi presunti si differenziano di molto.
Anche se è doloroso, si può comunque esprimere sollievo per il fatto che ora molti casi vengano a galla.
E non ci si deve meravigliare che ci siano opportunisti di vario tipo che sfruttano l’onda sulla scia dei media.
Perché c’è voluto così tanto tempo prima che si parlasse pubblicamente e in modo così esteso di simili delitti? Già negli anni novanta una suora americana psicoterapeuta e professionalmente molto esperta mi disse qualcosa che all’inizio mi spaventò, e che però più tardi mi ha molto aiutato a trattare il fenomeno in maniera obiettiva: “Bisogna sempre fare i conti col fatto che i colpevoli tacciono fino alla fine, molto più di qualsiasi alcolista.” Molte cose non hanno potuto essere chiarite – e devo dire questo per i 27 anni nei quali ho avuto la responsabilità della diocesi di Magonza – perché ha continuato ad esserci questo silenzio impenetrabile.
Ho spesso brancolato a lungo nel buio, anche quando ho fatto enormi sforzi per avere chiarimenti.
L’interesse e l’attenzione alle vittime reali o possibili devono stare inequivocabilmente al primo posto in questo lavoro di chiarificazione.
Tuttavia, fino a prova contraria, non si deve passar sopra alla presunzione di innocenza di un sospettato, considerandolo personalmente responsabile.
Anche una calunnia, che in seguito si rivela infondata, può recare danno per tutta la vita.
Chi imprudentemente parla di “insabbiamento”, non ha alcuna idea di quanto sia difficile trovarsi a lungo in una situazione poco chiara.
A ciò si aggiunge la abissale intimidazione delle vittime.
Offese nell’ambito dell’abuso sessuale vivono il tutto come un tabù.
È molto difficile per le persone colpite confidarsi con qualcuno.
Anche nelle famiglie spesso non si desiderava ammettere tali mancanze.
Questo silenzio ha per le vittime delle conseguenze gravi.
Non potendo raccontare nulla, non possono neanche rielaborare i danni, che spesso continuano ad avere un effetto nel tempo.
In molti casi è soprattutto lo sviluppo sessuale ad essere pregiudicato.
Esperienze traumatiche nell’infanzia e nella giovinezza possono influire negativamente e gravemente su futuri rapporti di coppia.
Un’intera vita può quindi venire profondamente distrutta.
Un’altra cosa mi è diventata più chiara negli anni e nei decenni scorsi.
Non è da molto che in un certo senso si può definire chiaramente il fenomeno della pedofilia.
In manuali della medicina sessuale e dei disturbi sessuali si possono trovare fino a 23 diverse definizioni e descrizioni di “abuso sessuale”.
Anche esperti psicologi mi hanno continuamente assicurato, che occorre una specifica formazione ed esperienza per emettere una diagnosi differenziata di pedofilia con la necessaria certezza.
Da quando però il fenomeno della pedofilia, che effettivamente viene limitato alla inclinazione per bambini in una fase di sviluppo prepuberale, può essere meglio definito o delimitato, si apre un’altra, dapprima spaventosa constatazione: la pedofilia in questo stretto senso non ha nulla a che fare con un’occasionale “scivolata” morale, ma corrisponde ad una inclinazione profonda e radicale, che molti professionisti ritengono non curabile.
Questa cognizione si è diffusa solo negli ultimi decenni.
Anche a causa di ciò proprio da parte ecclesiale si è sopravvalutata la capacità dei colpevoli al cambiamento e alla guarigione.
In buona fede ci siamo spesso affidati alla dichiarata buona volontà.
Per questo si è giunti anche alle pratiche sbagliate e da lungo tempo certo imperdonabili, semplicemente di trasferire un colpevole, talvolta anche con sentenza passata in giudicato, ad un altro posto.
Si doveva riconoscere una cosa che un pastore d’anime non può facilmente accettare, e che mi aveva comunicato la succitata suora sulla base della sua esperienza: “Vescovo, non si faccia illusioni, l’uomo non deve in nessun caso più tornare alla cura d’anime, perché vi troverà ovunque dei bambini.” Gli equivoci, che erano legati ad un atteggiamento che si presumeva comprensivo nei confronti di un colpevole, sono grazie a Dio tutti crollati.
Ma anche altre illusioni si sono dissolte.
La sessualità umana non è così innocentemente romantica, come spesso si pensava – di fronte a tutte le demonizzazioni del sessuale.
Essa può condurre come stimolo generale dell’essere umano ad altezze meravigliose, che possono costituire la felicità terrena della persona, presenta però anche delle bassezze abissali, che mostrano una perversione dell’umano.
L’arte illustra entrambi gli aspetti.
Chi nega una di queste dimensioni, mente.
Di questi estremi abissi fanno parte le violenze sessuali su bambini e adolescenti.
Sono così negative anche per il fatto che in questo spesso l’autore nasconde la sua forza.
Infatti non è, come alcuni movimenti di pedofili suggeriscono, che le vittime bambine o adolescenti nel silenzio accondiscendano.
Ma piuttosto che le naturali inibizioni e resistenze vengono superate con perfida raffinatezza.
Non si deve nascondere la differenza di potere proprio tra adulti e bambini.
Non è necessario l’uso della forza fisica là dove possono essere sfruttate la debolezza e la dipendenza infantili dovute ad affettività e devozione.
In questo contesto sta anche il giusto modo di intendere l’educazione.
Quest’ultima vive sempre di una mescolanza di vicinanza e distanza.
Una distanza assoluta può accompagnarsi ad una spietata sete di potere.
Per questo la cattiva pedagogia degli scorsi decenni, nella quale non raramente si giungeva a insopportabili castighi e punizioni corporali, viene giustamente fustigata.
Ma non bisogna considerare alla stessa stregua questi eventi e gli abusi sessuali.
A tale riguardo, avevano fatto bene certi rami della pedagogia moderna (non era solo la “pedagogia della riforma”), ad accentuare nell’educazione più fortemente la vicinanza tra adulti e bambini.
A cui si lega però sempre anche una grande disinvoltura.
Ma vicinanza non deve significare nascondere distanza e differenza, né mancare di rispetto per la personalità dei bambini.
Non si può infatti negare che il movimento dei pedofili abbia cercato di istigare ad un’irresponsabile dimestichezza coi bambini (“Lust am Kind”).
Vi si aggiungeva una esaltazione “abbellita” dell’antica pederastia.
Grazie a Dio tutto questo negli ultimi vent’anni ha perso influenza.
Ma comunque sia, non si può mai offrire la minima scusa per azioni che in ogni caso sono criminali e peccaminose.
Tali scuse potrebbero indebolire le resistenze in qualcuno che potesse sentire in sé tali forti inclinazioni.
Ed è anche vero che specialmente in area europea si è sempre cercato di liberalizzare le leggi relative a contatti sessuali con minorenni.
È tragico che la dottrina della Chiesa mai ammettesse un dubbio sul fatto che ogni forma di abuso sessuale fondamentalmente sia e rimanga riprovevole, e che però i responsabili della Chiesa nel proprio contesto non abbiano in alcuni casi gestito con estrema meticolosità ed indipendenza una ricognizione completa.
In questo possono aver svolto un ruolo molti motivi e certi atteggiamenti e mentalità.
Il peggiore era l’atteggiamento di doversi preoccupare più degli autori che delle vittime.
È anche vergognoso, che in alcuni casi si sia cercato di proteggere l’istituzione Chiesa e anche suoi dipendenti da una macchia attraverso un veloce respingimento o copertura di un sospetto o addirittura di una colpa.
Certamente poteva esserci in questo anche un certo rapporto tra persone, come è possibile che si instauri in alcuni “sistemi chiusi” nei quali nessuno dall’esterno riesce a vedere chiaramente.
È ad ogni modo spaventoso che qui la sensibilità della coscienza, che proprio per persone religiosamente ed ecclesialmente impegnate deve essere quotidianamente curata, non abbia saputo emergere da tutte le coperture.
Ma proprio ammettendo questo, si deve però anche osservare, che la Chiesa, pur con tanta perplessità ha adottato, dopo una migliore comprensione psicologica della pedofilia, adeguate contromisure.
Quando, verso la fine del millennio e immediatamente dopo, sono venuti alla luce alcuni casi di abusi, la Conferenza episcopale tedesca ha cercato delle vie per coordinare un corretto modo di procedere.
La prassi corrente era che ogni diocesi completamente indipendente si occupasse dei casi e non dovesse mettere a conoscenza di questo nessun altro organismo ecclesiale, né la segreteria della Conferenza episcopale, né le autorità vaticane.
Questo sarebbe cambiato in parte solo nel 2002.
Fino a quel momento la mancanza di chiarezza e il deficit di informazioni, anche in considerazione dello scalpore mediatico del momento, erano molto alti.
Specialmente in seguito ai fatti avvenuti negli Stati Uniti divenne inoltre chiaro che occorreva un ammodernamento e che si dovevano percorrere vie nuove, con un fondamentale accompagnamento critico di professionisti.
Così si arrivò al primo congresso mondiale sulla pedofilia, che ebbe luogo a Roma nel 2003 con una molteplicità di professionisti non legati all’ambito ecclesiale.
L’anno successivo furono pubblicati in inglese gli atti del congresso (“Sexual Abuse in the Catholic Church.
Scientific and Legal Perspetives”, editi da R.
K.
Hanson, F.
Pfäffin e M.
Lütz, Vaticano 2004).
Già tempo addietro i vescovi tedeschi avevano fatto i primi passi e formulato le linee guida “Zum Vorgehen bei sexueller Missbrauch Minderjähriger durch Geistliche im Bereich der Deutschen Bischofskonferenz” (Del modo di procedere in casi di abusi sessuali su minorenni da parte di religiosi nell’ambito della Conferenza episcopale tedesca).
In queste linee guida, che furono pubblicate il 26 settembre 2002 sugli organi ufficiali di tutte le diocesi, si è giunti anche a riconoscere che, per i colpevoli, l’inclinazione pedofila fosse “strutturale e non modificabile”.
Nello stesso periodo o ancora prima almeno sei grandi conferenze episcopali della Chiesa cattolica hanno attuato proprie linee guida.
In Germania non c’erano per queste linee guida né precursori né esempi.
Esse furono verificate nel 2005 dopo le prime esperienze e ancora una volta nel 2008.
Secondo l’opinione dominante esse hanno superato bene la prova del fuoco.
Tuttavia le linee guida possono essere ulteriormente migliorate.
Veramente ora nella Chiesa sono spesso quelli che le hanno appena lette o – peggio – le hanno poco niente attuate, che gridano chiedendo un miglioramento.
In una ulteriore revisione delle linee guida prima di tutto c’è da considerare il fatto, se le inchieste interne alla Chiesa debbano essere poste in mani neutrali e se la collaborazione con le autorità che si occupano dell’azione penale debba diventare un obbligo in ogni singolo caso.
Nel passato del resto tale collaborazione è già avvenuta in molti casi.
Certamente le migliori linee guida non servono se non vengono seguite severamente e senza riguardo alla persona e all’istituzione.
Nell’attuale discussione su abusi sessuali su bambini colpisce una particolarità: la richiesta di responsabilità e riparazione, non ultima anche per risarcimenti, si rivolge molto spesso solo alle istituzioni.
Riguardo all’entità delle rivelazioni avvenute nelle passate settimane, essa è in un certo modo comprensibile.
L’accumulo dei casi riguarda indubbiamente anche l’istituzione Chiesa, in molte dimensioni.
Tuttavia sorprende quanto poco si parli del singolo autore e della sua responsabilità.
Almeno in ambito ecclesiale sa infatti ogni pederasta in quale misura egli faccia del male.
Non è comprensibile che nella discussione pubblica non si parli della responsabilità, della garanzia di singoli autori per i danni da loro causati.
Ma già da molto tempo si cerca la colpa prima nel collettivo e quasi sempre nel “sistema”.
Specialmente all’inizio della discussione si sostenne non raramente in modo generico che ci fosse un rapporto causale tra il celibato del prete e le violenze su bambini ed adolescenti.
Professionisti di diverse discipline hanno nel frattempo contraddetto tali supposizioni.
Però certamente c’è qualcosa da ripensare nel problema di possibili rapporti tra celibato e casi di abuso: innanzitutto la Chiesa, comprendendo preti e molte altre professioni, si occupa come poche istituzioni della nostra società (eccetto scuole di ogni tipo) quotidianamente di un grandissimo numero di bambini ed adolescenti.
Questo aumenta indubbiamente le possibilità di contatto e di conflitto.
Io spero che l’attuale discussione, che è inevitabile, non tolga a molte donne e uomini in innumerevoli istituti della Chiesa la loro piena disinvoltura nelle relazioni con bambini e adolescenti.
La Chiesa deve certamente riflettere obiettivamente fino a che punto la forma di vita presbiterale possa attirare in più alta misura uomini di tendenze pedofile, soprattutto in vista di un impegno in istituti ecclesiali.
In tali istituti non esiste solo la possibilità di incontrare molti bambini in uno spazio protetto, ma anche la probabilità di non venire scoperti per la discrezione pastorale e la tabuizzazione sociale.
I responsabili dei nostri luoghi di istruzione hanno riconosciuto questo pericolo da molto tempo.
Ma anche colloqui con professionisti ed informazioni adeguate non sempre possono escludere con tutta la vigilanza valutazioni sbagliate nel singolo caso.
Indubbiamente c’è bisogno in questa direzione di ancora maggiore attenzione e di risolutezza nel prendere decisioni.
Tutto questo è importante e rimane da considerare.
La rivelazione di casi di abuso significa senza dubbio una crisi della Chiesa.
Non si riferisce però solo al presente e a reati che non sono ancora prescritti.
Nella discussione sono state scoperte molte colpe tabuizzate, che ebbero luogo spesso decenni fa.
Sarebbe sconsiderato promettere di chiarire completamente tutti i casi del passato.
Quasi sempre i responsabili di allora sono morti.
Testimonianze scritte spesso non si trovano, indicazioni retrospettive possono essere molto incomplete.
Questo conferma in maniera dolorosa, quanto profondi siano i solchi scavati dall’abuso su un lungo periodo nella storia di una vita, ma anche la spaventosa tabuizzazione a tutti i livelli.
Proprio per questo non dobbiamo fingere di non vedere questo palo del passato piantato nella carne del presente.
Come Chiesa non siamo solo di oggi, ma – che sia comodo o scomodo – ci poniamo anche di fronte alle debolezze della nostra storia.
Sarebbe meschino semplicemente nascondersi.
Papa Benedetto XVI ha mostrato coraggiosamente con la sua lettera alla Chiesa d’Irlanda del 19 marzo, come i casi di abusi abbiano a che fare anche con fenomeni e trasformazioni legate a crisi nella Chiesa di oggi.
In questo c’è da considerare l’intreccio delle singole Chiese con la storia dei rispettivi paesi.
Ma c’è anche un rapporto che va al di là della particolare situazione e porta l’intera istituzione a doversi assumere la responsabilità.
In questo rientra anche la situazione della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
La mia critica non si riferisce al Vaticano II, ma agli sforzi non riusciti della successiva ricezione.
Era necessaria una rinnovata attenzione al mondo moderno.
Ma si era ancora molto sottovalutata l’azione di risucchio di questo mondo.
Sono cadute delle inibizioni, ha potuto diffondersi una falsa tolleranza.
Il “mondo” si è dimostrato più potente.
La spiritualità, la forza interiore e l’autoconsapevolezza, diventate ancora più importanti per l’attenzione prestata al mondo, sono invece diminuite.
Si sono anche sopravvalutate le possibilità di organizzazione della Chiesa, in sé feconde, in un mondo secolare, e non si sono presi in sufficiente considerazione i deficit.
Purtroppo questo ha anche portato al fatto che la Chiesa nei problemi di impostazione della sessualità umana non ha trovato la via d’uscita da queste tensioni e specialmente nell’annuncio e nell’insegnamento della fede è rimasta come paralizzata.
Anche per questo essa non ha più potuto essere sufficientemente d’aiuto.
Così non si sono sufficientemente accolte certe sfide poste dal Concilio Vaticano II.
Per me sta in questo l’affermazione sulla santità e peccaminosità della Chiesa.
Proprio alla luce del peso oggi duramente avvertito per eventi peccaminosi nella Chiesa, l’aspetto della santità non deve essere nascosto.
Deve rimanere garantito il fatto che la vita divina liberante, che la Chiesa riceve solo da Gesù Cristo, passi veramente attraverso la santità della Chiesa anche all’umanità, e cioè proprio fino al limite del perdersi.
Senza la santità della Chiesa non ci sarebbe alla fine neppure salvezza del mondo.
È del resto un problema dell’intera storia della Chiesa e della teologia, ciò che si afferma sulla tensione tra la santità e la peccaminosità della Chiesa e come si mantiene questa tensione.
Il concilio non si è (ancora) potuto imporre su una univoca affermazione, che la Chiesa stessa non è solo santa ma anche peccatrice.
A questo riguardo si è espresso con una formula molto prudente, affermando che la Chiesa “comprende nel suo seno i peccatori.
È santa e insieme ha sempre bisogno di purificazione, perciò si dà alla penitenza e al rinnovamento” (Costituzione della Chiesa articolo 8).
Questa ammissione è stata un grande passo – e nonostante alcuni buoni inizi, è ben lungi dall’essere ancora stata sufficientemente accettata nella teologia e nella spiritualità del quotidiano.
Già decenni fa sono rimasto impressionato dalle grandi elaborazioni dei teologi Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, come del francese Henri de Lubac.
Con le citazioni sconvolgenti sulla Chiesa “casta meretrice”, che essi trovarono negli scritti dei Padri della Chiesa, mi hanno incoraggiato a parlare, insieme alla difesa della santità, anche di una Chiesa peccatrice.
Questo discorso dialettico ha notevoli conseguenze anche per il nostro argomento.
La Chiesa non è separata dalla vita e dal comportamento dei suoi membri, né si limita a questo.
Anche come istituzione viene colpita nell’intimo quando noi ricusiamo la testimonianza vissuta del vangelo di Gesù Cristo.
Altrimenti si arriva facilmente alla tentazione di attribuire esclusivamente al singolo peccatore le mancanze nella Chiesa, risparmiandole così ogni macchia.
Una tale mentalità ha certamente contribuito a favorire le peggiori pratiche di copertura o di trasferimento del colpevole da luogo a luogo.
Indubbiamente abbiamo fatto poca attenzione alla spiritualità di una chiesa rinnovata, proprio mentre essa osa una maggiore attenzione al mondo.
Per questo c’è talmente tanto deficit e insufficiente sensibilità, prima di tutto anche tra i pederasti e i conniventi.
Qui il “mondo” inteso in senso biblico ha fatto irruzione profondamente nella Chiesa.
Per questo è necessario ora – Papa Benedetto XVI lo dice chiaramente – una autopurificazione incondizionata a tutti i livelli.
Il Papa ha condannato l’abuso sessuale di bambini con estrema chiarezza come crimine abominevole” e “grave peccato” non solo nella lettera alla Chiesa irlandese.
Chi riesce qui a superarlo in chiarezza e risolutezza? Noi abbiamo parlato di abuso sessuale come un malcostume e un’emergenza sociale, e tale si mostra sempre più.
Tavole rotonde e incaricati speciali a tutti i livelli possono aiutare fino ad un certo punto a risvegliare, affinare e soprattutto a tener desta una coscienza responsabile.
La “cultura dell’osservazione attenta” che viene sempre richiesta, deve infatti essere in vari modi ancora costruita.
Anche altrove manca il coraggio civile per questo.
Proprio i più convinti e i più convincenti sono coloro che hanno maggior bisogno di aiuto.
Perciò io ho fiducia, nonostante tutti gli errori che sono stati fatti, nelle energie spirituali e morali della Chiesa.
Essa non ha affatto solo dei falliti e dei criminali nelle sue fila, come certi critici pensano di poter affermare.
Alla Chiesa appartengono, fino al momento attuale, anche dei santi e degli eroi del quotidiano, molto coraggiosi e incorruttibili.
Tuttavia la crisi ci rende umili, tanto più che in futuro ci possono essere ancora delusioni: “Chi quindi pensa si essere in piedi, stia attento a non cadere” (1Cor 10,12).
Per tutto c’è un nuovo inizio, ma nessuna grazia a buon mercato.
Nell’incontro con l’adultera, che spesso è stata indicata dai padri della Chiesa come figura simbolo della Chiesa peccatrice, Gesù dice: “Anch’io non ti condanno.
Va e non peccare più!” (Giov 8,11).
Questo però passa attraverso la Croce.
È necessario un cambiamento di rotta.
Allora anche a Pasqua, più umilmente e più modestamente, possiamo dire un deciso e coraggioso “Nonostante tutto” e, con lo sguardo rivolto al Signore risorto, sperare fiducia e futuro.
di Karl Lehmann in “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 1° aprile 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

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