Domenica delle Palme (Anno C).

DOMENICA DELLE PALME   Lectio Anno c     Prima lettura: Isaia 50,4-7          Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
    v  Un anticipo di mistero pasquale risuona nella prima lettura che propone la figura del servo di Dio.
Al di là delle difficoltà interpretative, si incontra un uomo totalmente disponibile al piano divino, anche se deve passare nei meandri del dolore.
È la prefigurazione di una vicenda che capovolge la storia.
Infatti, la certezza della fedeltà a Dio nonostante tante prove e difficoltà è ampiamente cantata in questo brano di Isaia.
     Gli studiosi lo classificano come il terzo carme del Servo di Dio.
Chi sia questo personaggio rimane misterioso ed enigmatico.
Qualcuno lo ha identificato con il profeta stesso.
Ma la sua personalità e la sua azione superano di gran lunga la contingenza storica, elevandosi a simbolo di una realtà che troverà solo in Gesù il suo pieno compimento.
 Il Nuovo Testamento sarà esplicito nel riconoscere in Gesù il servo sofferente (cf.
At 8,35; Lc 18,31).
     Il brano ripropone in miniatura il mistero pasquale, qui considerato come sofferenza (morte) in un contesto di dolce intimità con Dio (vita).
Il Signore abilita il suo servo al compito profetico, comunicandogli la sua parola.
Questa viene accolta con disponibilità e ritrasmessa integra e fedele da parte del servo.
Purtroppo i destinatari si mostrano non solo indifferenti, ma perfino ostili al profeta che tiranneggiano e denigrano.
Sarebbe comprensibile uno stato di prostrazione e di abbattimento del profeta davanti all’insuccesso della sua missione.
Eppure non cede alla tentazione dello scoraggiamento e tanto meno dell’abbandono, fondandosi su una granitica certezza: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”.
È una parte sicura, equiparabile ad una risurrezione.
     Il brano, molto stringato e abbastanza sibillino, si scioglie in una luminosa comprensione se riferito a Cristo e al suo mistero pasquale.
  Seconda: Filippesi 2,6-11          Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
              v Paolo trascrive in termini più teologici il significato della passione e morte di Cristo, proponendo la contemplazione di uno stupendo inno cristologico.
In esso trova eco il valore teologico della sofferenza e della morte di Gesù.
Con tutta probabilità Paolo ha trovato nella liturgia questo brano che egli inserisce nella sua lettera per veicolare importanti verità cri

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