Aborto in Europa

IL RAPPORTO: Spiega il saldo demografico negativo Nell’Unione Europea ogni anno si praticano oltre 1 milione e 200mila aborti, un numero equivalente al saldo negativo tra nascite e morti.
Vale a dire che il calo demografico in atto sarebbe azzerato se si lasciassero nascere tutti i bambini concepiti.
È questo forse il dato, contenuto nel Rapporto su «L’aborto in Europa e Spagna», che più dovrebbe far riflettere i governanti dell’Unione.
In effetti le statistiche dimostrano che l’aborto è una delle cause principali dei bassi tassi di natalità in Europa, dove nel 2008 si è registrata una contrazione di nascite del 12,5% rispetto al 1982.
E di conseguenza dell’invecchiamento della popolazione, visto che oggi si contano 6.5 milioni di ultrasessantacinquenni in più rispetto ai minori di 14 anni (85 milioni contro 78.5).
Non solo, l’aborto è la principale causa di mortalità in Europa, 30 volte più degli incidenti stradali (39mila morti nel 2008).
Un’Europa a tre velocità.
Il rapporto mette a confronto le tre diverse grandezze dell’Europa.
Considerando anche i Paesi europei al di fuori della Ue, il conto totale degli aborti, riferito al 2008, è di 2.863.649, in pratica un aborto ogni 11 secondi, quasi 7.500 aborti al giorno.
In pratica ogni anno la diffusione dell’aborto provoca l’eliminazione di un numero di persone equivalente alla somma della popolazione di 4 Paesi: Estonia (1.3 milioni di abitanti), Cipro (0.8 milioni), Lussemburgo (0.5 milioni) e Malta (0.4 milioni).
Gli aborti praticati nei 27 Paesi della Ue rappresentano il 42% (1.207.646) del totale, tenendo però conto che la popolazione residente nell’Unione è circa il 68% dell’intera popolazione europea.
All’interno dell’Europa comunitaria però ci sono notevoli differenze tra il gruppo Ue-15 (il nucleo storico dell’Unione Europea, che rappresenta l’83% della popolazione) e il resto dei Paesi.
Infatti mentre nei 12 Paesi dell’allargamento il decennio tra il 1998 e il 2008 ha visto un calo drastico nel numero degli aborti (-49%, da 550.587 a 281.060), nella Ue-15 si è registrato il fenomeno contrario: un aumento di circa 70mila aborti l’anno, da 855.645 a 926.586 (+8,3%).
I record di Romania e Spagna.
In entrambi i casi risultano decisivi due Paesi: tra i 15, è la Spagna che da sola rappresenta l’87% dell’aumento registrato negli ultimi dieci anni (vedi articolo a parte), mentre nei 12 di recente adesione il caso limite è quello della Romania, dove nel 1994 si praticavano 530.191 aborti, scesi nel 2008 a 127.907.
Da sola quindi la Romania ha registrato un calo assoluto maggiore di quello di tutti i 12 Paesi messi insieme.
Mentre considerando gli ultimi 15 anni la Romania è il Paese che ha registrato il più alto numero di aborti (4.065.904, contro i 3.082.816 della Francia, i 2.988.009 del Regno Unito e 1.998.225 dell’Italia), malgrado il nettissimo calo degli ultimi anni, essa rimane il terzo Paese europeo per numero di aborti, preceduta da Regno Unito (215.975) e Francia (209.913).
L’Italia è invece quarta con 121.406.
Rispetto agli altri tre Paesi (compresi tra i 60 e i 64 milioni di abitanti), la Romania però ha una popolazione complessiva nettamente inferiore (21.5 milioni).
Una gravidanza su 5 finisce in aborto.
Nel 2008 il 18.3% delle gravidanze nella Ue-27 è stato interrotto volontariamente.
Su 6.591.836 gravidanze, infatti, solo 5.384.190 sono state completate con la nascita di un bambino.
Il problema delle adolescenti.
Un aborto su 7 (il 14.2%) nella Ue-27 è stato praticato su ragazze minori di 20 anni, per un totale di 170.932.
Numero che sale a 338.217 se si considerano anche i Paesi europei extra-comunitari.
Rimanendo nell’ambito dei 27 è chiaro che il problema è più grave per il Regno Unito, dove nel 2008 hanno abortito 46.897 adolescenti, contro le 31.779 della Francia, le 14.939 della Spagna, le 14.316 della Romania e le 13.775 della Germania.
L’obiezione di coscienza non sempre rispettata.
Soltanto in due Paesi dell’Unione (Irlanda e Malta) l’aborto è illegale, mentre in 14 è ammesso in certe circostanze e in 11 è invece libero.
Nell’ambito della Ue-15, l’obiezione di coscienza è esplicitamente riconosciuta in undici Paesi: non è prevista invece in Grecia, Svezia e Finlandia.
Generalmente è previsto anche un periodo di riflessione intorno a una settimana.
Tale periodo è obbligatorio in Belgio, Francia, Lussemburgo, Italia, Olanda, Germania, Grecia e Portogallo.
Alcune proposte.
Le politiche di prevenzione dell’aborto finora applicate in Europa hanno mostrato chiaramente di non funzionare, per questo l’Istituto di Politica Familiare (Ipf) chiede un cambiamento radicale nell’approccio al problema, che ruota attorno a un obiettivo di fondo: «La promozione di politiche che garantiscano i diritti dei bambini non nati e il diritto delle donne alla maternità, eliminando gli ostacoli che impediscono la maternità e affermando esplicitamente che l’aborto è un atto di aggressione contro le donne».
Tra le proposte concrete avanzate dall’Ipf troviamo quella di un «Aiuto diretto universale» di 1.125 euro per ogni donna incinta (125 euro per nove mesi), una linea diretta di finanziamento per le associazioni che aiutano le donne durante la gravidanza, la riduzione del 50% dell’Iva sui prodotti basilari per l’infanzia.
Ma questo radicale cambiamento di approccio avrebbe tra gli obiettivi anche quello di rispondere alla drammatica crisi demografica dell’Europa.
E l’Ipf chiede perciò la preparazione di un Libro Verde sui tassi di natalità in Europa, per analizzare la situazione, le sue cause e le soluzioni da individuare.
Riccardo Cascioli  Gli appelli generici non bastano più La presentazione del Rapporto sull’aborto in Europa, elaborato dall’Istituto per le politiche familiari e presentato ieri a Bruxelles, piuttosto che assomigliare a un rigoroso resoconto statistico sulla popolazione continentale sembra un bollettino di guerra, l’impietosa fotografia di un massacro silenzioso.
Alcuni dati per capire: in Europa nel 2008 si è consumata la morte di 2,9 milioni di bambini non nati, uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7.468 al giorno.
Negli ultimi 15 anni solo nell’Europa comunitaria la cifra è di 20 milioni di bambini che non hanno visto la luce, e l’Italia, insieme alla Gran Bretagna, la Francia e la Romania fa parte del gruppo di testa di questa impressionante carneficina.
L’aborto ha così ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare in pochi decenni un metodo di controllo delle nascite, entrando nel costume sociale e nel sentire comune come una pratica “normale” che ha progressivamente condotto la coscienza collettiva a non considerarlo un “reato” contro la vita, quanto piuttosto come un “diritto” da parte della donna di autogestire la propria sessualità.
La successiva mistificante evoluzione linguistica, avviata nella Conferenza del Cairo su Popolazione e sviluppo, nel settembre 1994, che ha declinato l’aborto con il concetto di “diritto alla salute riproduttiva”, ha spalancato le porte alle legislazioni nazionali e internazionali, convinte ormai con l’ultima arrivata – la Spagna – che in pieno clima interculturale si debba favorire  la convivenza di un sano pluralismo etico.
Non si avverte però l’abissale differenza che separa la semplice accettazione di idee e di comportamenti diversi con l’ammissione devastante che compromette il diritto di esistere di altre persone.
Non si tratta infatti di manifestare opinioni culturali, prive di incidenze sociali, o di scelte etiche che coinvolgono la singolarità della coscienza personale, ma di opzioni che coinvolgono altri, come bambini non fatti nascere e che invece circostanze favorevoli avevano condotto alle soglie dell’esistenza.
Certo è che gli appelli generici non bastano più.
Va al contrario avviata una rivoluzione culturale che trovi un necessario supporto con decise politiche di garanzia e di sostegno per il figlio e la madre.
Lo ha capito bene l’Istituto estensore del Rapporto che alla fine della sua analisi sul desolante sviluppo zero della demografia europea indica alcune interessanti proposte, come quella di promuovere il diritto alla vita tramite la richiesta alla politica di condizioni sociali favorevoli, volte a supportare gli aiuti alla gravidanza intesa come bene sociale.
Interessante anche l’idea di monitorare la curva demografica all’interno dei singoli Paesi della Ue al fine di sostenere politiche comunitarie che risveglino la cultura dell’accoglienza e favoriscano la percezione sociale che la vita, prima ancora della libertà, è un diritto inalienabile che non può essere soffocato.
Oltre che potenziare centri di aiuto e di ascolto, si reclamano anche politiche finanziarie che, ad esempio riducano le spese dei prodotti per la prima infanzia, e che sostengano – tramite bonus – la preparazione nei nove mesi dell’attesa di quei supporti necessari per l’arrivo del bambino.
Piccoli segni, si dirà, ma indispensabili perché alla cultura dell’individualismo autocentrato e chiuso al futuro possa sostituirsi uno sguardo più aperto al domani, che vogliamo sia ospitale e promettente per quanti – si spera tanti – verranno dopo di noi.
Paola Ricci Sindoni  Con 2.863.649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa, di cui 1.207.646 nella sola Ue, nel Vecchio Continente l’aborto sta diventando la principale causa di morte.
Più del cancro, più dell’infarto, e in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni pari a quello dei morti in incidenti stradali lungo l’intero anno.
A sottolineare il peso che il fenomeno ha sulle società europee potrebbero bastare le nude cifre, che sono in aumento in numerosi Paesi, la Spagna in prima fila.
Ma dalle cifre dello studio «L’aborto in Europa e in Spagna» presentato ieri a Bruxelles dallo spagnolo Istituto di politica familiare (Ipf) si ricavano indicazioni che impressionano su vari piani: sulle tendenze in atto, sul loro impatto anche demografico per cui il numero degli aborti coincide con il deficit demografico dell’Ue, su quel che esse segnalano in termini di evoluzione complessiva nelle nostre società nei confronti di valori fondamentali.
E sulla cadenza incalzante degli aborti praticati nel nostro continente: uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7486 al giorno.
Il tema del rispetto dei valori nella società europea è stato al centro della conferenza stampa in cui, nella sede dell’Europarlamento, è stato illustrato lo studio dell’istituto spagnolo.
Aprendo la riunione Jaime Mayor Oreja, capo della delegazione spagnola nel gruppo parlamentare del Ppe, ha osservato che «la manifestazione più crudele della crisi dei valori è il diritto all’aborto».
Con questa espressione non aveva bisogno di chiarire quanto allarme abbia destato tra i Popolari il voto con cui il 10 febbraio scorso l’Europarlamento ha approvato su proposta di un socialista belga una risoluzione sulla parità di diritti tra uomini e donne in cui si legge che alle donne dovrebbe essere garantito «il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto», e che esse «devono godere di un accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto», nel quadro di un generale impegno dei governi a «migliorare l’accesso delle donne ai servizi della salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili».
Il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro ha approfondito il tema dei valori citando Benedetto XVI sui pericoli del fondamentalismo e del relativismo: e annoverando tra le sue conseguenze la diminuzione del numero dei matrimoni e delle nascite.
«Le cifre del relativismo – ha detto – sono le cifre della decadenza del nostro continente, del fallimento dei governi europei» che tra l’altro continuano a dedicare alla politica della famiglia solo una piccola parte delle spese sociali che nell’Ue assorbono un 28% del prodotto interno lordo.
«Il legame tra aiuti prestati alle famiglie e numero delle nascite è chiarissimo», ha insistito Mauro condannando le tendenze che puntano a «un nuovo concetto di famiglia, che non è famiglia», e a fare dello Stato di diritto una sorta di «supermercato dei diritti».
Il presidente dell’Ipf, Eduardo Hertfelder si è poi soffermato sulle preoccupazioni che si acuiscono per la tendenza sugli aborti nel suo Paese, la Spagna.
Franco Serra

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