Gli alberi della quaresima

Mercoledì, dopo la messa delle Ceneri nella valle, sono tornata a casa di notte, immersa nella nebbia.
La mia lampada illuminava appena quanto bastava per fare un passo dopo l’altro nella neve onnipresente.
Piccola e sola in questa lunga strada deserta che sale attraverso la foresta bianca e nera.
Per quaranta minuti, avanzando con passo regolare nel cuore del grande silenzio, con il rumore della slitta carica di viveri che trascino.
A questa altitudine, sono in una nuvola, una massa opaca e densa di minuscole gocce che mi inzuppano quanto la mia felice traspirazione, cancellando il segno delle ceneri sulla fronte.
Solitudine abitata, piena fede, azione di grazia del corpo che traccia con tutto se stesso il suo percorso nella notte, piedi solidi a terra, cammino verso il cielo, salendo pazientemente verso la casa: concreta penitenza, spogliazione incarnata, buon inizio di quaresima.
E la quaresima, è la festa.
Tra i suoi tre alberi: dono, digiuno, preghiera, sistemo, da ramo a ramo, la mia capanna tra cielo e terra, dove vegliare in una raddoppiata intimità con il cielo e la terra.
Donare, digiunare e pregare fanno parte di uno stesso movimento: privarsi, far posto dentro di sé grazie alla privazione, lo spazio intimo in cui può dispiegarsi la vita, l’incontro reale.
Un po’ come, nello tzsimtzum, Dio si ritira per permettere lo sviluppo del mondo.
Se mi dono, se mi privo, se mi affido, non faccio che offrirmi più che nuda all’amore che mi raggiunge, si dona, si priva, si affida, nel tu per tu donato, privato, offerto.
Se mi spoglio di ciò che non è essenziale, realizzo il mio cammino di essere umano, la mia gioia: andare all’Essenziale.
Come qualcuno che, nella notte e nella nebbia, avanza coraggiosamente verso la sua casa, e vede la notte e la nebbia trasformarsi in grazia.
Lassù, non ci sono né internet né televisione.
A volte mi dico: bisognerà che accenda la radio per le informazioni.
Ma mi dimentico sempre.
Perché mai essere sempre collegati con le miserie del mondo? Le miserie del mondo sono il divertimento nascosto dell’uomo moderno.
E nei divertimenti che manifesta, scoppia la miseria.
Non ho bisogno di riempirmi di informazioni per trovare il mondo, sentirlo, conoscerlo.
Al contrario, più mi riempio di informazioni, più esse fanno schermo ad una percezione profonda, ad una compassione reale.
Parlo di me o di voi, lo faccio per parlare di noi, al nostro cuore, dove siamo uguali.
Al nostro cuore troppo spesso nascosto o addirittura spento sotto mucchi di realtà ingombranti di cui la quaresima ci invita a liberarci.
Denudarci nei nostri rapporti con le cose, con i fatti, con gli uomini.
Nell’ascesi si impara ad accontentarsi.
Accontentarsi di poco, saggezza universale.
Ma non solo.
L’ascesi di quaresima, in particolare, è tesa verso un compimento, un incontro, una resurrezione dell’essere.
È un cammino, un movimento, un desiderio di progressione.
Si tratta di essere capaci di andare al vero, e non di spegnere il desiderio né di morire di fame.
L’abbondanza e la facilità ci divertono e ci paralizzano, ci rendono incapaci di andare fino al fondo dell’amore.
L’ascesi ci libera dalla nostra impotenza liberandoci dalla paura del rischio.
Privarsi, per un po’, di divertimenti, di carni, di dolciumi, di alcolici, si crede che sia difficile, ma basta abbandonare questa credenza, abbandonarsi a farlo, per accorgersi che non è niente.
Per accorgersi che si è guadagnato molto in libertà, e quindi in possibilità di amare veramente.
Ogni mattina, alzandomi, getto nella neve la cenere del giorno prima.
Scia nera nella china bianca sotto la mia casa, che la prossima neve cancellerà.
Quel che è passato è passato, ma già la brace rosseggia di nuovo, tutta la notte il fuoco cova sotto la cenere in fondo alla stufa, tutto il giorno si leva e brucia: allo stesso modo l’amore cova sotto l’ascesi, poi, purificato, si innalza e brucia.
Di giorno cammino, porto la spesa, metto in casa la legna, tolgo la neve davanti alla casa, rompo il ghiaccio…
L’ascesi è fisica – ed è per questo che anche l’amore fisico può essere un’ascesi, se è vissuto come umile, bruciante e innamorata intimità con Dio.
Non c’è spiritualità senza ascesi, non c’è ascesi senza fisico, non c’è amore compiuto senza spiritualità fisica.
“Non sono piccolo, sono lontano”, dice uno dei miei amici montanari.
L’ascesi, è il prendere la giusta distanza.
Distanza necessaria al desiderio, che simultaneamente si annulla e si esaudisce nell’estrema vicinanza che è l’intimità con l’essenziale.
Con l’esercizio della mancanza, l’ascesi abolisce la mancanza.
Abolisce la separazione tra il desiderio e il suo compimento.
Nell’ascesi il mio desiderio non è ciò che mi possiede o ciò che io domino – in un caso come nell’altro ne sarei sempre schiavo.
È ciò che sono: non un essere che gode del suo desiderio (sia che lo idolatri, sia che si applichi a dominarlo, questa situazione è un abisso), ma un essere nella gioia, il cui desiderio è ad immagine del desiderio e della parola di Dio: proprio mentre si esprime, si realizza, come nel Fiat lux! Imparare questo nell’ascesi, questa relazione di desiderio e d’amore con Dio, significa imparare a viverla anche nelle relazioni umane, e nella relazione amorosa.
Accompagniamo Cristo verso la resurrezione.
Veramente, si tratta di tenere a distanza le forze della morte che dobbiamo attraversare.
Quelle forze di divertimento, quelle forze seduttrici, quelle forze falsamente consolatrici, che vogliono farci dimenticare l’uccisione che operano su di noi, solo una grande intimità con Dio può permetterci di tenerle a distanza, anche nel momento in cui si abbattono su di noi, gelose della nostra ribellione alla loro potenza.
Ecco come le affronteremo fino in fondo, ecco come sembreranno vincerci esponendoci nudi e morti d’amore, ecco come ci lasceranno in verità imbattuti, ecco come ci resusciteranno con Cristo.
Vinti, lo siamo, non dagli uomini, ma da Dio in noi stessi.
“Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (San Paolo).
in “Le Monde” del 28 febbraio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org) Alina Reyes, autrice di “Souviens-toi de vivre” (Presses de la Renaissance, 2010) e di “Boucher” (Points, 1997)

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