I social network e la nuova organizzazione della conoscenza

È Pierre Lèvy a parlare di un nuovo spazio antropologico, lo “spazio del sapere”.
Dice Lèvy:  “Il sapere della comunità pensante non è più un sapere comune, perché ormai è impossibile che un solo essere umano, o anche un gruppo, domini tutte le conoscenze, tutte le competenze (…) è un sapere essenzialmente collettivo, impossibile da riunire in un solo corpo (…) tutti i saperi dell’intellettuale collettivo esprimono divenire singoli, e questi ultimi formano dei mondi”.  Il “collettivo intelligente”, il soggetto dello spazio del sapere, non è identificabile dai “legami di sangue”, o dalla trasmissione dei racconti, ma, essendo aperto ad altri membri, ad altri collettivi, a nuove conoscenze, esso è “errante” nello spazio del sapere.
Il “soggetto della conoscenza” dice Lèvy “si costituisce grazie alla propria enciclopedia”.
Il termine enciclopedia richiama l’originaria oscillazione di “moventesi in circolo”, “circolare” da cui “complessivo, globale” (www.treccani.it).
Infatti, il ruolo dell’enciclopedia è la messa in circolo del sapere o dell’istruzione.
E la sua implicita circolarità connota proprio l’operazione di rinvio indefinito, caratteristica dell’enciclopedia.
La circonferenza che delimita il cerchio, richiamato dal significato di enciclopedia, tuttavia, è pur sempre una linea, una figura a una dimensione, sebbene evochi un’immagine dell’infinito.
La linea rispecchia proprio l’immagine di un sapere che si esprime principalmente sotto forma di testo il quale, seppur complesso, comunque è fisicamente lineare.
Lèvy, e Michel Authier, hanno chiamato “cosmopedia” un nuovo tipo di organizzazione dei saperi, aperta dalle scienze dell’informazione e dei calcolatori, basata sulla rappresentazione e gestione dinamica della conoscenza.
Nella visione dei due filosofi, il cosmo connota uno spazio di rappresentazioni dinamiche e interattive che, a differenza dell’immagine fissa del testo, caratteristica dell’enciclopedia, contempla un numero elevato di forme di espressione come le immagini, fisse e animate, i suoni, le simulazioni interattive, le mappe interattive, le realtà virtuali, le vite artificiali e così via.
Caratteristica principale della cosmopedia è l’eliminazione delle differenze tra le discipline, dove trovano spazio, invece, solo alcuni concetti che, anche se composti, sono in continua ridefinizione.
E i suoi soggetti, i membri del collettivo intelligente, materializzano il proprio sapere, proustianamente, in un’immagine digitale in continua metamorfosi, cercando, consultando ed esplorando.
Una visione della teoria della conoscenza, o epistemologia, vede il soggetto costruire il proprio oggetto di conoscenza, imponendogli le categorie, conosciute come “forme a priori”, attraverso le quali lo coglie e lo interpreta.
Un esempio è lo scienziato, un soggetto che sottomette l’oggetto alle proprie misure, ai propri concetti, alla propria teoria, usando categorie come tempo, spazio o causalità.
Un’altra visione epistemologica, l’empirismo, al contrario, descrive gli oggetti così come si imprimono nel soggetto, considerando l’intelligenza come il prodotto delle proprie esperienze.
Né queste due visioni contrapposte né una serie di posizioni intermedie sembrano offrire, tuttavia, un modello interpretativo valido per lo spazio del sapere.
Secondo Lèvy e Authier queste visioni partono tutte dal soggetto, oppure dall’oggetto, o dalla loro interazione.
I due termini, soggetto e oggetto, sono, tuttavia, “sempre pensati dall’esterno”.
L’intellettuale collettivo, il soggetto dello spazio del sapere, invece, riunisce le proprie pratiche, siano esse speranze, interessi, negoziazioni e così via, in un sapere in rete, non gerarchizzato.
Quale, dunque, può essere un modello conoscitivo e, in generale, interpretativo? Facebook, Linkedin, MySpace o Twitter sono solo alcuni esempi di successo, non solo commerciale, delle diffusissime reti sociali, o social networks.
Esse permettono ai loro utenti di parlare, organizzare eventi, condividere opinioni, fare annunci, incontrare persone e così via.
L’analisi di queste reti indaga le relazioni fra i soggetti che le compongono, mostrando come il comportamento del singolo individuo sia influenzato dai vicini con cui è in contatto.
In altre parole, l’oggetto dell’analisi non è l’individuo ma un’entità che consiste di persone e collegamenti fra esse.
Per le scienze sociali la natura digitale di queste comunità rappresenta un’opportunità senza precedenti per studiare, dettagliatamente e su grande scala, comportamenti collettivi in modelli a rete, appunto non gerarchizzati.
Lo scienziato sociale, infatti, ha la possibilità di formulare e verificare ipotesi in ambienti virtuali simulati in modo da ottenere riscontri dai quali può elaborare teorie riguardanti i fenomeni indagati.
Uno di questi, ad esempio, il fenomeno dei piccoli mondi, o small worlds, ipotizza che la catena delle conoscenze sociali richieste per collegare persone, apparentemente lontane nella rete sociale, è molto corta.
L’ipotesi prende spunto dal noto esperimento dello psicologo americano Stanley Milgram il quale, nel 1967, ha scoperto che due persone, senza alcun contatto, potevano trasmettersi l’un l’altra messaggi attraverso una rete di conoscenze composta, al massimo, di sei persone.
(©L’Osservatore Romano – 21 febbraio 2010 )

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